Nella tradizione biblica, i giganti sono una razza leggendaria di creature dalle dimensioni enormi e dalla forza prodigiosa. La parola ebraica solitamente tradotta “giganti” è gibbōrîm, che letteralmente significa “forti”. In Gn 6,4 si fa riferimento ai giganti come “i famosi eroi dell’antichità”. Sull’asse natura/cultura, nelle varie società umane vengono in genere indicati come “giganti” quegli individui o popoli che sono concepiti come fisicamente, cronologicamente e/o spazialmente lontani dalle norme di una specifica cultura. I giganti sono quindi fenomeni da baraccone o mostri che non rientrano nei parametri accettati dalla società. Ci si può persino chiedere se debbano essere classificati come umani.
Nell’immaginario popolare antico, i responsabili della costruzione di opere monumentali in pietra del lontano passato (come la mitica Torre di Babele) erano concepiti come esseri sovrumani per dimensioni, forza e prestanza fisica. Così si ritenne spesso che gli antenati dell’attuale genere umano fossero stati in realtà dei giganti, appunto. Per questo lo Pseudo-Eupolemo (II secolo a.C.), ad esempio, parla del patriarca Abramo come di un gignate. La vita spropositatamente lunga attribuita agli antichi progenitori del genere umano nei testi biblici contribuì certamente a dare questa impressione.
Nella letteratura biblica e nella più antica letteratura ebraica extra-biblica, gli esseri definiti giganti (1) sono associati ad alcuni gruppi etnici pre-israeliti che abitavano zone vicine al territorio assegnato da Dio al popolo d’Israele (e, in quanto tali, rappresentano una pericolosa minaccia per la sicurezza di importanti eroi culturali o della nazione nascente); oppure (2) si collocano nel periodo antidiluviano della storia umana e ad essi viene attribuita la colpa principale di aver provocato un diluvio universale durante la generazione di Noè.
La prosopografia di questi giganti è un miscuglio confuso di tradizioni locali. Un lessema ebraico strettamente associato a quello di gigante è il termine ʿănaq. Questo vocabilo si applica a un personaggio leggendario la cui progenie (bĕnê ʿAnaq o ʿAnāqîm; nelle traduzioni moderne: “figli di Anak”, “Anakiti” o “Anakim”) viene incontrata da Israele nel corso delle sue peregrinazione nel deserto. Secondo quanto riferito, il popolo era riluttante ad entrare nella terra promessa a causa della presenza dei “figli di Anak, che erano annoverati tra nĕfîlîm” (Nm 13,33). Che questi fossero considerati giganti emerge dal contesto narrativo immediato e dalla resa versionale del sostantivo proprio nĕfîlîm. L’uso del raro sostantivo nĕfîlîm nel passo di Numeri aveva lo scopo di collegare Anak e la sua progenie con la storia primordiale che coinvolgeva gli angeli, le donne umane, i nĕfîlîm e i “giganti” a cui si allude in Gn 6,1-4.
Le leggende che circondano l’antico sito sacro di Kiriath-arba (Hebron) identificano Anak come “figlio di Arba” (Gs 15,13; 21,11), Arba come “il più grande degli Anakim” (Gs 14,15), e Sheshai, Ahiman e Talmai come la mostruosa progenie di Anak e/o Arba (cfr. Nm 13,22; Gs 11,21-22; 15:13-14; cfr. Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche 5.125, che nota come gli abitanti del luogo continuino a mostrare ai viaggiatori le ossa di questi giganti).
In Dt 2,10-11, gli Anakim sono collegati ai Refaim, un termine con connessioni linguistiche e tematiche con l’antico culto funerario reale cananeo. Inoltre, il libro dei Giubilei afferma apertamente che i Refaim erano giganti (Giubilei 29,9). L’etnologia biblica colloca i Refaim e i clan a loro associati degli Emim (Dt 2,10-11) e degli Zamzummim (Dt 2,20-21) nelle regioni pianeggianti del sud, su entrambi i lati del Giordano e intorno al Mar Morto, nonché nella Transgiordania centrale e settentrionale. Questi gruppi hanno subito una decimazione nel tempo grazie agli effetti distruttivi del saccheggio e della conquista (Gn 14,1-11; Dt 2,4-3,17).
Una leggenda attribuisce a Mosè e agli israeliti l’uccisione dell'”unico rimasto dei Refaim” (Dt 3,11; Gs 12,4; 13,12), un personaggio chiamato Og, re di Bashan. Il Deuteronomista richiama l’attenzione sul letto di ferro di questo re, esposto a Rabbat-Ammon; potrebbe trattarsi di un riferimento alle dimensioni e al peso impressionanti del suo sarcofago. Il ruolo narrativo di Og come sopravvissuto dei Refaim ha due sensi distinti. Alcune tradizioni identificano il gruppo di Og con i Refaim che Amrafel e i suoi alleati uccisero ad Ashterotkarnaim (Gn 14,5); Og è poi il profugo che rifer la nisceotizia di questa disfatta ad Abramo a Mamre (Gn 14,13).
Continuando questa associazione patriarcale, Tg. Yer. Deut. 3,2 riferisce che Og in seguito ridicolizzò Abramo e Sara per la loro incapacità di generare figli: per questo Dio prolungò la vita di Og per molti anni in modo che alla fine potesse essere ucciso dai loro discendenti. Altre tradizioni (ad esempio, Tg. Ps.-J. Deut. 3,11) fanno un’equazione tra i Refaim di Og e i giganti della tradizione antidiluviana e spiegano che Og era stato l’unico sopravvissuto dei giganti che perirono nelle acque del diluvio al tempo di Noè.
La sovrapposizione del motivo dei giganti con il regno della sessualità e la nozione di unioni proibite (cfr. Giubilei 20,5) caratterizza l’altro luogo testuale di spicco in cui i giganti compaino nella letteratura ebraica antica, ossia il mito a cui si accenna nel già citato Gn 6,1-4, i cui tratti più completi sono visibili in fonti antiche come 1 Enoc e Giubilei. In esso i giganti sono ritenuti la mostruosa progenie di unioni illecite tra donne umane e un gruppo di esseri divini (i bĕnê ha-ʾĕlōhîm o “figli di Dio”). Sebbene il racconto biblico taccia sulle conseguenze di questi incontri sessuali per l’ordine sociale antidiluviano – invitando invece l’uditore/lettore a considerare questi giganti come gli antenati dei giganti autoctoni delle tradizioni di conquista (Gn 6,4) – le altre fonti sono unanimi nella valutazione degli eventi successivi: i giganti provocano così tanto scompiglio nel mondo sublunare che Dio è costretto a intervenire scatenando il diluvio universale.
Le fonti divergono per quanto riguarda il loro destino. Alcune tramandano che costoro perirono nel diluvio (forse Gn 7,19-20 e Gb 26,5; 1 Enoc 9,6; 4Q370 riga 6 fine; CD 2,19-21; Tg. Ps.-J. Deut. 2:11; 3:11; Efrem Siro, Carmina Nisibena 1.4.4-5). Altri invece dicono che giganti si sarebbero uccisi a vicenda in lotte intestine prima dell’inizio del diluvio (Giubilei 5,7-9; 1 Enoc 10,9; 14,6; 88,2). A prescindere da come sia avvenuta la loro morte, le anime dei giganti, però, sopravvivono e continuano ancora ad aggirarsi sulla terra per fare del male agli uomini e per istigarli alla ribellione contro Dio. Sono gli spiriti dei nĕfîlîm a causare le possessioni, dato però che questi sono per natura inferiori agli angeli, sono altresì esorcizabili. La letteratura del Secondo Tempio accenna anche a uno sviluppo narrativo molto più ricco, che i testi biblici tacciono: sia Giubilei (7,21-22) sia 1 Enoc (86,4; 88,2; 7,2 nella versione greca di Sincello) alludono all’esistenza di almeno tre diverse classi di giganti. Tra i Rotoli del Mar Morto sono state recuperate diverse copie di una composizione aramaica contenente storie sui giganti. E i racconti medievali ebraici e musulmani sull’era antidiluviana conservano leggende analoghe, alcune delle quali affondano le loro radici nelle fonti del Secondo Tempio.
Adriano Virgili
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