Perché faccio troppo per gli altri? | #psyclub

Perché faccio “troppo” per gli altri ma gli altri non fanno niente per me? Perché le mie attenzioni e le mie premure non sono mai ricambiate o, se lo sono, lo sono in minima parte rispetto a ciò che faccio?

È la domanda che le persone mi fanno di più in assoluto quando sanno che sto per diventare psicologa, dando giustamente per scontato che esista una risposta e volendo porre fine alla sofferenza di non sentirsi mai apprezzati. Quando la percezione di fare tanto per gli altri ma di non essere ricambiati a sufficienza è vera (la maggior parte delle volte) questa risposta in realtà è nella domanda stessa e ora la spiegheremo, assieme a quanto il modello cristiano – se esasperato – possa contribuire a creare e legittimare questi comportamenti fonte di sofferenza per molti.

La vera definizione di “troppo”

Solitamente, chi dice di fare troppo per gli altri, intende che prende in carico ogni loro richiesta e, a volte, arriva ad anticipare i bisogni altrui. Questo è un comportamento che può andare bene se ci si prende cura di un figlio o di un bambino, perché incarna il modello materno. Ovviamente in quei casi è lodevole, tuttavia, per lo stesso motivo non funziona altrettanto bene nelle relazioni con gli adolescenti e con gli adulti. Un adolescente ha bisogno dello spazio di libertà per responsabilizzarsi, un adulto già responsabile la percepirà come invadenza o ne approfitterà, chiedendo a chi gliene dia la possibilità di farsi carico di tutto – o quasi – ciò che gli pesa fare. Più raramente può succedere, e questo è indice di vera amicizia se fatto anche con i modi e i toni giusti, che qualcuno ce lo faccia notare, dandoci la spinta ideale per provare a cambiare e migliorare la nostra vita. A volte, non conoscendo o non volendo attuare il modo giusto, lo farà in quello sbagliato, ferendoci.

Fare troppo significa mandare avanti le relazioni da soli

Il che, peraltro, significa non essere in una vera relazione… ma andiamo con ordine:

Bisogna considerare che quando diamo molto nelle relazioni, diamo anche il messaggio anche agli altri che non serve impegnarsi per avere un’ottima relazione con noi, perché noi siamo già in grado (e abbiamo voglia, ma questo non è sempre vero…) di mandare la relazione avanti da soli. Quindi dall’altra parte la domanda sorge spontanea: perché impegnarsi se il piatto è già pronto?

Peraltro, dato che le persone hanno energie fisiche e psichiche limitate, ma non tutte le relazioni richiedono così poco investimento, concentreranno le loro attenzioni su quelle relazioni che reputano importanti e richiedono impegno, tanto noi siamo lì, senza mai dare l’importanza che dando tutto, l’altra persona probabilmente si aspetta di avere.

Per spezzare questo circolo vizioso (ricordiamoci sempre che la massima evangelica è “Ama il prossimo tuo come te stesso, non ama il prossimo tuo più di te stesso”) occorre che la persona che sente di dare troppo agli altri torni a dare valore a se stessa e ad ascoltare i propri bisogni, dandogli la giusta importanza.

Il contatto con i propri bisogni

Non essendo in contatto con i propri bisogni, infatti, le persone che danno troppo agli altri non riescono davvero ad amare se stesse e neanche a chiedere agli altri (che solitamente sono meno perfidi di quanto si pensi) ciò di cui realmente hanno bisogno. Una risposta al perché gli altri non mi danno ciò che vorrei, infatti, può essere proprio “perché non l’ho chiesto” e un’altra, complementare, “perché gli altri non possono sapere di cosa ho bisogno se non lo esprimo”. A volte persone che ci tengono particolarmente a noi potranno cercare di darci ciò che pensano essere quello di cui potremmo avere bisogno, ma sarà più difficile che indovinino senza il nostro contributo. Esprimere i nostri bisogni è sempre una nostra responsabilità (da adulti), come rispondere alla nostra richiesta è responsabilità degli altri. Noi poi ci comporteremo di conseguenza.

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Influenza del modello cristiano

Sicuramente il modello cristiano ha una sua influenza in determinate dinamiche, specie per persone particolarmente religiose e praticanti, davvero desiderose di conformarsi al modello proposto dalla fede cattolica. Tuttavia, questo modello – come tutti gli altri modelli – ha un’influenza particolarmente forte se c’è, alla base una fragilità psicologica e/o se invece di guardare al modello intero, ci soffermiamo su particolari manifestazioni di esso, come per esempio la Passione di Cristo.

Intendiamoci, non c’è nulla di male nel soffermarsi sulla Passione e crocifissione di Cristo, sempre però che non si riduca Cristo alla Passione.

Una domanda utile che possiamo farci quando sentiamo di dare troppo e non avere spazio per noi e le nostre esigenze è: cosa sarebbe accaduto se Gesù, per rispondere alle sicuramente tantissime, esigenze altrui avesse smesso di bere, mangiare, pregare, predicare, condividere il tempo con i discepoli? Se Cristo non era solo divino ma anche umano (come il cattolico crede) difficilmente avrebbe potuto rinunciare a dare valore a sé stesso. Inoltre anche meditare il brano di Marta e Maria può essere d’aiuto: Lc 10,38-42.

Stare bene in relazioni dove non c’è reciprocità

Solitamente, non è possibile… anzi, sarebbe opportuno chiedersi – se accade – perché e come è possibile.

In alcuni casi – santi – aggrappandosi all’amore di Dio si possono superare le montagne, ma io personalmente consiglio sempre di non partire per la scalata prima di aver provato tutte le alternative umane che potrebbero donare sicuramente un maggiore benessere psicologico. Non c’è niente di peggio – questo è un parere personale – di lasciarsi coinvolgere in battaglie che riteniamo essere per conto di Dio, quando Lui in realtà non c’entra proprio nulla e abbiamo fatto tutto da soli. Anche perché mancherebbe la Grazia.

Il mio consiglio è, quindi, di cercare di avere relazioni più equilibrate.

Spunti pratici per avere relazioni più equilibrate

  • Amare sé stessi: sentire dentro di sé di essere degni di avere relazioni in cui ci sia reciprocità, imparare a non anticipare i bisogni altrui e a dire no quando lo si sente necessario. Inizialmente ci si sentirà a disagio e le persone intorno a noi potrebbero reagire non benissimo al cambiamento, ma poi si ricalibrerà sul nuovo assetto e le cose andranno meglio. Soprattutto, avevo respirato l’ossigeno buono non si vorrà tornare all’aria consumata;
  • Avere più fiducia negli altri: sostituirsi a loro può voler anche dire che non ci fidiamo di ciò che potrebbero fare, rischiando di passare per quelli che vogliono castrare gli altri. Chiediamoci, piuttosto, perché non ci fidiamo;
  • Contattare i propri bisogni: se è molto difficile capire e sentire quali sono i propri bisogni può essere utile iniziare un diario in cui raccontarsi. Pian piano emergeranno le nostre emozioni e la scrittura renderà più semplice farci i conti;
  • Contattare un professionista: di sicuro il modo più semplice, sicuro e completo per esplorare in toto sia i propri bisogni che le proprie dinamiche relazionali. Tenendo conto che anche quella con Dio è una relazione, non è detto che non sia anche la fede a beneficiarne.


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