Quaresima e discriminazione. #quaresima

Discriminazione. Una parola forte, dalla storia lunga ed articolata e dalla fortuna semantica molto ricca. Da essa, discende scriminatura, la riga con cui è possibile tracciare una netta linea di separazione, nelle acconciature con cui sistemiamo i nostri capelli. Dall’etimo latino discrimire, indica l’azione di separare, dividere, preliminare ed inevitabile atto che preceda quello di distinguere.
Discriminare viene dal latino discrimen (separazione). Il discrimine è ciò che separa una cosa da un’altra. Discriminare è attività propria dell’intelligenza, preliminare all’effettuazione di una scelta, di qualunque genere essa sia. Oserei dire: è l’operazione più importante da fare, senza la quale una scelta diviene pressoché impossibile. Separare (prima le parole che designano gli oggetti, poi quelle che indicano termini e concetti) è fondamentale per parlare e comprendersi. Basti pensare a cosa succeda quando fraintendiamo un termine (quando, cioè, siamo convinti che una parola abbia un certo significato, che invece non le è, diciamo così, ufficialmente assegnato dal sistema linguistico di riferimento): se ci inalberiamo nella nostra convinzione, oltre a collezionare una figura imbarazzante dietro l’altra, relativamente a quel termine, arriviamo a sfiorare l’incomunicabilità.
Ecco perché, quindi, è fondamentale attuare, continuamente, una discriminazione tra le parole, che ci consenta una scelta accurata, consapevole e precisa, per poterci esprimere in modo tale che esse corrispondano, il più fedelmente possibile, al nostro pensiero.

In un’epoca segnata dal politicamente corretto, questa parola rischia di cadere in disuso. O meglio, di rivestirsi, indebitamente, di una connotazione negativa, che, invece, originariamente, non le si era mai attagliata.
Al sentire parlare di discriminazione, la mente corre subito a pensare ad un’ingiustizia, compiuta oppure subita (dipende dalla prospettiva con cui se ne parla), che va a colpire una determinata categorie che, per qualche motivo, è stata oppure è soggetta ad essere privata di quei diritti che, al contrario, sono riconosciuti. Discriminazione è assegnato come spiegazione per la segregazione razziale degli autobus a Montgomery, cui, al rifiuto di cedere il posto di Rosa Parks, è seguito il boicottaggio del sistema pubblico dei trasporti, appoggiato, tra gli altri, dallo stesso Martin Luther King e che portò ad una lenta, ma inesorabile, vittoria, nel riconoscimento, l’anno seguente (1956) dell’illiceità di una disparità di trattamento tra cittadini americani, sulla base del colore della pelle.

Discriminazione richiama la disparità nel trattamento economico tra due dipendenti che svolgono una stessa mansione, ma uno è un uomo, l’altro una donna. Insomma, quasi istintivamente, con una certa superficialità, siamo portati a guardare alla discriminazione come un termine da aborrire e che, se fosse associato alla nostra persona, ciò sarebbe motivo di viva vergogna.

Al contrario, la discriminazione è un concetto ampio, profondo e – assolutamente! – essenziale, nello sviluppo di un pensiero libero e fecondo, che si basi su un senso critico efficiente ed approfondito, che ci consenta di evitare le trappole che il pensiero “liquido” del relativismo postmoderno ci pongono innanzi, con cadenza quotidiana.

Anzi, ciò è vero, a maggior ragione, in un tempo, come quello quaresimale, in cui, chiamati ad essenzialità e sobrietà, siamo anche – indirettamente – chiamati alla discriminazione, intesa come l’attuazione, in modo più autentico e vero, di un discernimento interiore, affinché possiamo attuare la parola di Cristo: “sia il vostro parlare: sì, sì, no, no”1

Un itinerario penitenziale, del resto, non può prescindere da una decisione radicale. Una sola. Come per le leggi civili, il loro moltiplicarsi non denota mai la buona salute della democrazia, così la proliferazione dei “buoni propositi” (“fioretti”) quaresimali, porta con sé un forte rischio, che è quello di alimentare false speranze, inesorabilmente disattese, spesso anche con una certa frustrazione.

Una sola decisione, ma determinata e senza possibilità di alibi, è spesso una scelta più feconda di chi si disperda in mille rivoli. Con la precisione di un cecchino, individuare quale sia il punto su cui lavorare, per semplificare e, una volta trovato, effettuare un taglio, netto e deciso, senza ripensamenti. Come quando si pota un albero e, affinché possa essere una buona soluzione per la fecondità successiva dell’albero, è importante che esso non sia frastagliato ma con i bordi accuratamente regolari.

Paradossalmente, è necessario anche discriminare tra le persone, se ciò significa valorizzare la “differenza specifica” che caratterizza ciascuna persona, sancendone pregi e potenzialità di crescita, insieme con aspetti negativi, fragilità e debolezze. Si tratta della prima operazione – fondamentale nell’interiorità, per sfrondare le passioni e i pensieri, tanto quanto lo è per valorizzare al meglio le possibilità di chi ci sta intorno – che ne precede, spesso, tante altre.

Le discriminanti (cioè, precisamente, tutti quegli aspetti che ci caratterizzano e ci fano distinguere gli uni dagli altri), se troviamo il tempo di prestarci attenzione, sono davvero innumerevoli ed ogni sfumatura ci regala un aspetto diverso della bellezza creaturale che la contraddistingue.

Ecco perché dico: evviva la discriminazione. In Quaresima, ma non solo!

Maddalena


  1. Cfr. Mt 5, 37 ↩︎

Fonte immagine: Wikihow


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