E’ difficile scrivere un articolo su San Giuseppe: su di lui è stato già detto tutto; eppure, lui non ha detto niente. La storia della letteratura è piena di padri: padri che per timore di essere spodestati dai figli o dai nipoti ne ordinano la morte (salvo poi, a volte pentirsi), padri a loro volta uccisi dai figli, padri buoni e saggi che danno savi consigli, padri assenti, padri con cui i figli sono in contrasto, padri adottivi, padri che i figli se li fabbricano con le proprie mani, e così via. Una delle immagini simbolo del mondo romano, per esempio, è Enea che porta il padre Anchise sulle spalle e tiene per mano il figlioletto Iulio: il presente che venera il passato e accompagna il futuro. In genere, però, i padri sanno che i figli debbano arrivare, o almeno in qualche modo se lo aspettano. San Giuseppe, no: quando poi ti dicono che tua moglie è incinta per opera dello Spirito Santo, forse ti viene più di un dubbio, anche se sei San Giuseppe. Certo, un Messia doveva arrivare e doveva arrivare dalla Casa di Davide, la sua, ma che fosse proprio Maria? E tra l’altro, ancora prima del matrimonio? Per tornare però ai nostri padri letterari, in quale categoria potremmo metterlo? E’ vero che le categorie letterarie lasciano a volte un po’ il tempo che trovano, ma restano utili riferimenti, se non altro per provare a capire personaggi, come il Nostro, così importanti e così, in qualche modo, sfuggenti. Certamente non è un Anchise, anche se le sue vicende si intrecciano inestricabilmente con quelle divine; ancor meno è come il padre di Kafka, al quale il figlio manda una celebre lettera piena di timore, quasi di paura. Forse, San Giuseppe è come mastro Geppetto, e non solo perché i due condividono lo stesso nome – nonché la stessa professione. Come Geppetto, Giuseppe non si aspettava un figlio, e come Geppetto lo accoglie consacrando a lui tutta la sua vita; sempre come Geppetto, anche Giuseppe ha un figlio che non è del tutto suo, ma per il quale soffre Il figlio di Geppetto è famoso per aver portato scompiglio con le sue menzogne: anche il figlio di Giuseppe è famoso per aver portato scompiglio (tantissimo scompiglio); la differenza è che il figlio di Giuseppe questo scompiglio l’ha portato per mezzo della Verità, per mezzo dell’Annuncio più bello. Come sempre, anche questa volta il Vangelo si dimostra il libro più sconvolgente di tutti: sono secoli, millenni anzi, che gli scrittori provano a creare personaggi convincenti, assegnando loro battute sottili, intense, studiate; poi arrivano un pescatore e un medico, e il loro personaggio, che non dice niente, è in realtà quello che ha la forza più straordinaria, la forza di ascoltare l’unica voce che conta – la voce di Dio. Non dà precetti memorabili, forse insegna il mestiere al figlio (ma cosa ha da imparare uno che è il Maestro?), certamente lo avrà aiutato, sostenuto, accompagnato. Il Vangelo non ne parla. Ci dice solo che San Giuseppe, in silenzio, ha fatto il suo dovere, ha detto ogni volta il suo sì al Signore e si è preso carico della sua famiglia, anche quando questo è costato a tutti loro l’esilio. Ecco la ordinaria straordinarietà del Vangelo: anziché una figura reale mutata in un personaggio più confacente ai canoni umani, in San Giuseppe vediamo tutti i padri di famiglia (quelli reali, non quelli della finzione) che, portando dentro di sé i propri pensieri, affrontano la vita sopportandone le prove in silenzio con l’orecchio teso a cogliere i messaggi di Dio. La sua vita, per quello che ne sappiamo, è scandita dal lavoro e dall’obbedienza al volere divino: non ci è dato sapere se ha partecipato a feste o banchetti, ma è verosimile che l’abbia fatto. Chissà, per esempio, cosa mangiava regolarmente a cena la Sacra Famiglia, e se a scuola anche a Gesù le maestre proponevano quei lavoretti per la festa del papà che risultano a volte francamente un po’ cringe. Chissà, soprattutto, se la Madonna gli preparava le zeppole… ma questa è un’altra storia.
Matteo Zacky Zaccaro

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