Dialoghi di Pistoia: Il legame tra cibo, religione e identità umana. Siamo ciò che mangiamo? #antropologia #dialoghipistoia

L’uomo, il cibo e e il senso ultimo di tutto. Questo è il tema della quindicesima edizione dei “Dialoghi di Pistoia”. Un evento culturale di cui avevamo sempre sentito parlare e desiderato partecipare; finalmente, in una inattesa e meravigliosa giornata di sole, con gioia abbiamoo preso li treno e partecipato a questo evento culturale nel cuore della Toscana.

Abbiamo potuto partecipare solo a due delle tante conferenze e attività dei i “Dialoghi”, generalmente organizzato su tre giorni. Vi raccontiamo in breve ciò che abbiamo ascoltato.

Marino Niola

Nella prima conferenza che abbiamo ascoltato alla onbra duomo è stato meraviglioso ascoltare Marino Niola che ha tracciato un collegamento fra il cibo, Dio e l’uomo. Sostiene Niola che Ludwig Feuerbach sostiene ”siamo ciò che mangiamo”. Oggi tutto questo prende una forma religiosa; infatti le diete richiedono regole e sacrifici. Assurgono oggi ad essere precetti, sacrifici laici e descrivono l’identità di chi la fa. Diventano una forma di religiosità laica. Già i padri della chiesa si pongono il problema della ortodossia a partire dal cibo e dal corpo. Infatti, la scelta di mangiare altro vuol dire distinguersi dall’altro. Non mangio questo alimento o ques’altro; perciò non sono come te e mi distinguo. Pensiamo ad esempio agli ebioniti, encratiti, o i monaci stiliti e dendriti. Secondo Nioli, Gesù Cristo nell’ultima cena si offre come un Dio liquido. Non nel senso baumanniano del Dio che non esiste o che non si coglie: ma un Dio che si che si dona all’uomo come pane e vino. In questo liquido, entra nell’uomo e gli porge identità e senso; è dunque importante per la Chiesa ribadire che la temperanza è la virtù del cibo, dunque di non mangiare troppo per lasciare qualcosa all’altro. Nel mondo attuale, cercare la dieta migliore è diventata la unica via verso la salvezza ed immortalità, secondo Nioli: è diventa una religione laica che ha le sue regole rituali e anche scismi ed eresie, ed offre un tipo di identità come ad esempio vegani contro vegetariani. Il rischio è che il dietologo diventi una specie di Dio celeste che condanna i grassi e salva i magri. Per purificarsi da questa deriva esasperata, secondo Niola, occorre dunque trovare il senso di temperanza tipico del cattolicesimo. Bellissima la frase con cui il conferenziere ha chiuso:

“Chiudo: Ecco perché per salvarci tutti dal demonio cerchiamo tutti l’ESORCIBO”

Stefania De Pascale

Nella seconda conferenza, tentusai nel vicino al Teatro Bolognini, proprio dietro al Duomo, Stefania De Pascale, insegna orticoltura e floricoltura alla facoltà di agraria dell’università Federico II di Napoli; ha esposto i nuovi progetti ed esperimenti della “Agricoltura spaziale, del piantare patate su Marte”.

La ricercatrice ha spiegato che si sta lavorando, sia presso il suo dipartimento che in altre prestigiose università del mondo e in particolar modo negli Stati Uniti, per la realizzazione di viveri e rifornimenti che astronauti e tecnici dello spazio possano portano con sé durante i viaggi spaziali invece che portare tutto interamente dalla terra sotto forma di cibo liofilizzato. Il lavoro consiste nell’offrire la possibilità di produzione di questi cibi anche all’interno delle stazioni spaziali e in un futuro anche in quei pianeti che sogniamo di raggiungere e colonizzare come ad esempio Marte, il più ostile fra i fra i pianeti esistenti per una vita biologica. Annosa questione per gli astronauti e comunque dell’uomo e dei futuri coloni consiste nel fatto che i cibi portati dalla terra e non può contenere alcuni elementi nutritivi essenziali per la vita umana ad esempio la vitamina C. Dunque, tutti quei prodotti agricoli che contengono vitamina C comunque hanno il difetto di essere fortemente instabili e quindi di ossidarsi con molta facilità.
Per questo sono attualmente allo studio – in realtà già da diversi decenni – serre hi tech in cui è possibile coltivare piccoli quantitativi di piante scelte apposta per la facilità di crescita e riproduzione, per l’alto contenuto nutraceutico delle stesse. Ad esempio, fra le varie specie ce ne sono parecchi: ne citiamo giusti alcuni: il crescione, i Ravanelli, la lattuga ed altre piante selezionate e dopo impiantate in queste micro – serre. I semi anche le piantine vivono grazie all’acqua che sono in grado di produrre da sé stesse. Dunque, hanno bisogno effettivamente di pochissime cure.
Se un domani, ad esempio, si riuscirà a impiantare una qualche coltivazione su Marte, avremo per esempio il grandissimo problema delle radiazioni rilasciate dal pianeta Marte. Quindi queste piante andrebbero coltivate nel sottosuolo se non protette da ampi strati di materiale antiradiazioni.
Una persona che non è impegnata in queste ricerche scientifiche e si potrebbe chiedere ma perché tutto questo sforzo per qualcosa di così avveniristico e di cui non si può cogliere di primo acchito un’utilità.
La professoressa, dunque, ha tenuto a sottolineare il fatto che queste ricerche perlopiù sono sostenute da privati come ad esempio Elon Musk: quindi, la corsa allo spazio in un qualche modo un fiore all’occhiello anche per i facoltosissimi privati che vogliono vantarsi di aver contribuito a queste imprese pionieristiche.
Se riuscissimo a vincere la sfida scientifica di coltivare patate su Marte e in queste difficoltà estreme molto più facile sarebbe poter applicare questi tipi di coltivazione in serra luoghi della terra che attualmente sono del tutto in ospitabili e dove non cresce nulla. Infine, è stato portato l’esempio delle zone desertiche o delle zone artiche dove ci sono i ghiacci. Di conseguenza ci sarebbe questo beneficio per sfruttare ancora di più le possibilità che abbiamo sulla terra.
Infine, applicando queste nuove conoscenze tecnico scientifiche la professoressa De Pascale ha voluto offrire una riflessione finale: in tutto il sistema solare conosciuto certamente la terra è il migliore pianeta su cui potesse nascere la vita. Quindi i nostri sforzi in realtà sono tutti rivolti a conservare e valorizzare è quello che abbiamo; invece che viaggiare con la fantasia verso mondi sconosciuti in ospedali trascurando invece quello che c’è stato già donato. Siamo perfettamente concordi con questa riflessione finale.

Saremmo contenti di tornare per una prossima edizione, se non già per quella dell’anno prossimo. Ci sembra infatti una iniziativa che facendoci confrontare con intellettuali – per lo più antropologi e filosofi – di natura laica, attiva la nostra ricerca su Dio e su quanto Lui voglia dirci nell’uomo, e in particolare nelle sfide dell’uomo nell’adesso concreto del 2024. Come clubbers, piccoli teologi, piccoli filosofi o piccoli curiosi questi Dialoghi accendono anche nuove piste di riflessione sul mistero di noi davanti a Dio.

Fr Gabriele Scardocci Op – Germana Imbraguglio (Club Theologicum Firenze)


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