Una storica della Chiesa opportunamente equilibrata dovrebbe accettare l’evidenza per cui è così che vanno le cose: le devozioni popolari (lo dice il nome stesso) sono fatte per adattarsi ai bisogni della popolazione, sicché è assolutamente naturale che una certa pratica passi di moda e vada a perdersi, o venga soppiantata da qualcosa di nuovo, plasmato sulle esigenze del mondo contemporaneo.
Tutto vero, sulla carta. All’atto pratico, temo che io mi metterò in un angolino a piangere nel giorno in cui (lo ritengo ormai inevitabile) anche l’Italia sarà colonizzata da una delle devozioni popolari che mi stanno più antipatiche in assoluto: quella cioè di benedire gli animali il 4 ottobre, in occasione della festa di san Francesco.
“Ma da quando?”, mi direte voi guardandomi come una pazza, giustamente facendo notare che, da che mondo è mondo, gli animali domestici vengono benedetti a metà gennaio, in occasione della festa di sant’Antonio abate che è loro patrono e protettore.
E io, ticchettando istericamente sulla tastiera per lanciare una ricerca su Google Immagini, vi risponderò con un depresso “dal 1985, a occhio e croce”: e cioè, da quando la chiesa episcopaliana di St. John the Divine, uno dei più grandi edifici di culto di New York, scelse il 4 ottobre per una commemorazione dedicata a san Francesco, nel corso della quale si provvide alla benedizione degli animali domestici di tutti i convenuti. E non solo di quelli: ché gli episcopaliani amano fare le cose in grande, e le loro benedizioni agli animali (ormai diventate un appuntamento fisso, amatissimo dai newyorkesi) sono dotate del potere ipnotico di far irrompere nella cattedrale un allegro caravanserraglio di bestie assortite, che trasformano la navata in una via di mezzo tra lo zoo cittadino e la rievocazione del paradiso edenico.
Ma giustappunto: se secoli di tradizione avevano consolidato l’abitudine di far benedire gli animali da fattoria in occasione della festa del loro santo protettore, perché a un certo punto della Storia recente le chiese statunitensi sentirono l’esigenza di scegliere una nuova data per questa cerimonia antica?
Probabilmente per una serie di concause, come ci spiega Patricia Appelbaum nel suo St. Francis of America, un gustosissimo saggio volto ad analizzare How a Thirteenth-Century Friar Became America’s Most Popular Saints, dando origine a quell’immagine un po’ stereotipata del Poverello in veste di hippie ambientalista.
Innegabile che, più o meno consapevolmente, papa Giovanni Paolo II abbia contribuito almeno in parte ad alimentare lo stereotipo: sua fu la scelta, nel 1979, di proclamare Francesco d’Assisi come santo patrono dell’ecologia, intercettando le necessità pastorali di una cattolicità che iniziava a interessarsi sempre più alla tutela dell’ambiente. E le associazioni ambientaliste non si lasciarono sfuggire l’occasione di poter sfruttare a loro vantaggio un così valido testimonial: nel 1983, un attivista statunitense scelse simbolicamente la città di Assisi per dare il via a Bird campaign, un movimento per la tutela degli uccelli a rischio. Da questo, nel 1985, gemmò l’Assisi Nature Council, un movimento ad ampio raggio che, ispirandosi alla spiritualità francescana, promuoveva una tutela dell’ambiente basata sull’amore per la natura e su un consumo più frugale delle risorse non rinnovabili. Entro il 1986, con la pubblicazione di uno studio a firma di Roger Sorrell dedicato a St Francis of Assisi and Nature (Tradition and Innovation in Western Christian Attitudes toward the Environment) anche il mondo accademico cominciava a guardare il Poverello con occhi nuovi, focalizzandosi sul suo interesse per il creato.
In quegli stessi anni, anche il mondo della filosofia cominciava a mostrare un maggiore interesse per tutto ciò che concerneva la sfera animale. Nel 1975, la pubblicazione de La liberazione animale di Peter Singer aveva esplorato per la prima volta l’idea di un’etica applicata al mondo non-umano; l’anno successivo, il teologo anglicano Andrew Linzey aveva spostato il dibattito sul piano religioso sottolineando che le fiere sono esseri creati tanto quanto l’uomo, e che Dio, autorizzando Adamo a esercitare il suo dominio su di loro, non aveva mai inteso dargli il permesso di abusarne a suo completo piacimento, facendone scempio senza una necessità reale.
Insomma: nelle case, nelle aule accademiche e nelle chiese cristiane di varia confessione, la tensione ambientalista e l’attenzione verso gli amici a quattro zampe non era mai stata così alta come in quel periodo storico. E Francesco d’Assisi (di cui, nel 1982, era stato celebrato in pompa magna il diciottesimo centenario della nascita, con un florilegio di pubblicazioni e produzioni cinematografiche che avevano portato su di lui l’attenzione del grande pubblico) aveva senza dubbio tutte le carte in regola per porsi come il santo capace di intercettare questo sentimento inedito. Perché… diciamolo: la Storia della Chiesa è piena di santi che, in modo più o meno leggendario, hanno ammansito belve feroci e intrattenuto rapporti di ‘amicizia’ con gli animali; ma ben pochi godono della fama universale di cui può beneficiare il Poverello.
E così, entro la fine degli anni ’70, molte comunità cattoliche in giro per gli Stati Uniti ebbero l’idea di svecchiare un po’ le tradizioni antiche e di cominciare a officiare benedizioni degli animali in occasione della festa di san Francesco: che è un tipo molto pop e sta simpatico un po’ a tutti, quindi forse forse riesce a riportare in chiesa anche quelle persone che non necessariamente vi si presentano ogni domenica ma che potrebbero decidere che val la pena di tornarci apposta, se si tratta di far benedire il cagnolino.
A quanto pare, il primo ad avere questa intuizione fu un sacerdote cattolico di San Francisco, che nel 1961 (profittando dell’improvviso interesse mediatico sorto attorno al santo, grazie a un film di Michael Curtiz appena uscito nelle sale) scelse di benedire gli animali domestici dei suoi parrocchiani in un parco cittadino. Non lo fece a inizio ottobre ma, per ragioni logistiche, preferì la data del 7 luglio, a ridosso dell’anniversario della canonizzazione del Poverello.
La sua restò un’esperienza isolata fino al 1979, quando la proclamazione di san Francesco a patrono dell’ecologia sembrò incoraggiare molte altre comunità a seguire l’esempio di quel confratello visionario, che (piuttosto letteralmente) aveva precorso i tempi. Nel 1979, numerose parrocchie nella diocesi di Toronto benedirono gli animali domestici a inizio nel giorno di San Francesco, e nel 1984 fu la cattedrale di Washington a scegliere la stessa data per aspergere acqua santa sui musetti pelosi. Nel 1985, la comunità episcopaliana di New York volle unirsi al trend e lo fece in grande stile, trasformando la navata in quell’incredibile caravanserraglio che abbiano già descritto e che a buon diritto conquistò le prime pagine dei giornali, dando all’iniziativa un’eco nazionale.
«Da quel momento in poi», scrive Appelbaum, «la ‘benedizione degli animali’ [al 4 ottobre, NdR] è diventata un appuntamento fisso nella religione americana. La cerimonia nella cattedrale episcopaliana di St. John non fu la prima a essere celebrata ma fu certamente la più spettacolare, nonché quella che ebbe il maggiore impatto sui fedeli di confessione non cattolica», «finendo col dare impulso a una pratica religiosa che rapidamente si diffuse a macchia d’olio. In anni recenti, persino alcune comunità ebraiche, buddhiste e secolari hanno offerto ai loro associati momenti di benedizione degli animali, limitandosi a eliminare i riferimenti a san Francesco» ma, curiosamente, mantenendo intatta la data. Negli Stati Uniti, il 4 ottobre è ormai diventato il giorno in cui, se avete un animale da compagnia, troverete sicuramente qualcheduno disposto a spruzzargli in testa un po’ d’acqua santa (o a imporgli le mani. O a pregare per lui. O a mandargli vibrazioni positive. O quel che l’è).
Analizzando il fenomeno nel 2002 e poi nel 2013, Laura Hobgood-Oster, una storica che ha dedicato l’intera sua carriera all’analisi delle intersezioni tra ambientalismo e pensiero religioso, ebbe modo di osservare una certa discrepanza nel modo in cui questa devozione è vissuta dagli statunitensi. Se è molto forte nelle parrocchie cattoliche che sorgono nelle metropoli o nelle grandi città delle due coste, tende a essere perlopiù snobbata dai correligionari che vivono nelle regioni interne del Paese (cosa apparentemente paradossale, considerato lo stile di vita improntato a un’economia agraria di una buona fetta della popolazione lì residente). Per contro, in quelle zone, sono le comunità episcopaliane a proporre con insistenza, e a vivere con forte pathos, la tradizionale benedizione che ogni anno riempie le chiese di animali da fattoria portati fin dentro alle file di banchi.
Incredibile ma vero, entro il 2013 queste benedizioni stavano cominciando a guadagnar terreno anche nelle comunità luterane e metodiste del Southwest, che ogni anno all’inizio di ottobre dedicano speciali momenti di preghiera agli animali domestici, evidentemente eliminando ogni riferimento al santo cattolico. Completamente refrattarie a questa forma di devozione erano invece, nel 2013, le comunità pentecostali e tutte quelle chiese che, indipendentemente dalla confessione, gravitavano attorno alle comunità afro-africane (e speriamo che la ricercatrice ci regali presto uno studio aggiornato a oggi, con nuovi dati su cui lavorare).
Comprensibilmente, le chiese ortodosse degli Stati Uniti hanno deciso di uniformarsi al trend. E se le comunità monastiche del complesso newyorkese di New Skete mostrano un indubbio spirito ecumenico nel benedire gli animali ogni 4 ottobre, tutto il resto del mondo ortodosso (comprensibilmente imbarazzato dall’evidenza per cui Francesco d’Assisi è sì molto amato, ma ha il piccolo difetto di non aver mai professato fede ortodossa) ha preferito ripiegare su san Modesto di Gerusalemme, un monaco del VII secolo noto per aver operato alcune guarigioni miracolose sugli animali. Il fatto che il martirologio ortodosso ricordi san Modesto a metà ottobre, a pochi giorni di distanza dalla festa cattolica del Poverello, potrebbe aver avuto un ruolo non irrilevante nella scelta del proverbiale santo a cui votarsi.
Per buon conto, anche gli Ebrei si sono sentiti in dovere di cercare un escamotage per proporre un analogo momento di preghiera; e lo hanno trovato piuttosto facilmente grazie alla felice coincidenza per cui, nel periodo dell’anno che va da fine settembre a metà ottobre, è consuetudine leggere in sinagoga i passi biblici dedicati alla storia della creazione alla costruzione dell’arca di Noè.
Come se non bastasse, sono sempre più numerose le associazioni laicali legate al mondo animale che scelgono la prima metà di ottobre per dedicare agli amici a quattro zampe giornate di apprezzamento e riflessione (spesso accompagnate da tributi con cui tener viva la memoria di quelli che sono venuti a mancare nel corso dell’anno).
E le tradizionali benedizioni degli animali che, da tempo immemore, venivano celebrate in occasione della festa di sant’Antonio (e che in effetti, nel vecchio continente, sono riproposte ancor oggi da molte parrocchie)? Quelle, apparentemente, negli USA non piacciono più: sono ormai passate di moda, soppiantate da quelle benedizioni ottobrine che beneficiano, del resto, d’un testimonial molto più pop rispetto allo scontroso eremita egiziano.
Non a torto, fa notare Appelbaum che negli USA la benedizione degli animali sembra essere sulla buona strada per diventare l’elemento pop più frequentemente associato alla devozione per il santo di Assisi. «Negli ultimi anni, sono state immesse sul mercato delle statue da giardino in cui san Francesco è raffigurato in compagnia di un animale che somiglia molto più a un cane che al lupo di Gubbio: uno sviluppo iconografico interessante, in un’epoca che sempre più frequentemente associa il santo di Assisi alla tutela degli animali domestici. E già si cominciano a sentire le lamentele di chi ricorda che san Francesco è molto più di un santo che amava gli animali». E qui Appelbaum ha decisamente ragione: quando una devozione popolare comincia a suscitare critiche, vuol dire che è già diventata così nota da esser necessariamente qualcosa con cui fare i conti.
Lucia Graziano
Fonte: unapennaspuntata
Fonte immagine: AFP, Leonardo Munoz
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