È proprio nei vecchi canti tradizionali di Natale – quelli che risalgono al Medioevo – che si ritrova non solo ciò che rende il Natale poetico, rassicurante e grandioso, ma, innanzi e soprattutto, ciò che lo rende emozionante.
L’aspetto emozionante del Natale risiede in un paradosso antico e comunemente accettato: che si possano ritrovare il nocciolo e la potenza dell’intero universo in cose apparentemente di poco conto, che gli astri possano muoversi lungo la loro traiettoria proprio come una ruota attorno alla rimessa abbandonata di un’osteria.
Walt Whitman, dicendo che «non v’è oggetto così molle che non possa costituire il mozzo della ruota dell’universo» (Il canto di me stesso), inconsciamente esprimeva quale fosse, nella storia di Betlemme, l’elemento elettrizzante. Ed è straordinario quanto questa percezione del paradosso della mangiatoia fu completamente smarrita da teologi brillanti e ingegnosi, e conservata, invece, nei canti di Natale.
Per lo meno, questi ultimi mai dimenticano il cuore dell’intera accenda che bisogna raccontare: che c’è stato un momento, cioè, in cui l’Assoluto ha retto l’universo da una stalla per animali, Istruttivo, in tal senso, è il paragone tra la pomposità nebulosa degli inni più comuni e il vigore e la precisione dell’idea cristiana presente invece nell’antico canto natalizio When Joseph was a-walking, «Mentre Giuseppe era in cammino».
Attraverso la semplice antitesi dell’antica ballata, senza usare neanche un aggettivo, viene convogliata l’idea fondamentale del Gesù bambino.
Non dovrà nascere
né in una casa né in una grande sala,né in un luogo di Paradiso,
ma nella mangiatoia di una stalla.
Non dovrà essere battezzatoné con vino bianco né con vino rosso,
ma nell’acqua chiara di primavera
dove fummo battezzati anche noi.
E così, attraverso i secoli, gravata da un numero sempre maggiore di dogmi, spiegazioni e dall’inesauribile follia dell’intelletto, giunge a noi, in questa ballata anonima ed errabonda, la rivendicazione essenziale e straordinaria del Natale, il paradosso su cui questo si fonda.
Con sempre maggiore insistenza, i teologi hanno battuto l’accento sulla separazione fra Cristo e l’umanità; all’antico venditore di ballate è bastata, invece, l’ispirazione poetica per intuire che ciò che della divinità emoziona e meraviglia, cioè la pienezza e la perfezione del suo nascondimento. Basta riflettere su come abbia operato per rendersi conto che il cristianesimo vinse grazie alla sbalorditiva insolenza del suo paradosso: con una certa quale eccellente ironia, un’Essenza certamente eterna scelse, quando decise di farsi uomo, si diventare uno dei più umili tra gli uomini.
C’è un altro bel canto di Natale che citerò per spiegare meglio ciò che voglio dire. Si tratta della ballata in cui si racconta la storia del martire Stefano. Vi si trova una notizia di sicuro interesse per gli storici attenti e scrupolosi di quel periodo e non altrove riscontrabile, cioè che
Stefano era un maggiordomo nella sala per banchetti di re Erode
e che egli fu un testimone oculare dell’apparizione della stella di Betlemme. Re Erode, constatando che lo stato di mistico poco era consono alle mansioni di un maggiordomo, lo invitò a spiegare le ragioni per cui desiderasse lasciare il palazzo.
Ti mancano forse cibo e bevande nella dimora di Erode?
Stefano risponde ponendo nelle sue parole tutta l’energia creativa dell’idea cristiana
Non mi mancano né cibo né bevande
nella dimora di re Erode:
è nato un bambino a Betlemme che è meglio di noi tutti.
Nella totale irrilevanza razionale e la sublime rilevanza spirituale della connessione tra il primo e l’ultimo distico si trova riassunto tutto l’entusiasmo.
Una moda miope e volgare porta a deprezzare i canti tradizionali di Natale e a scoraggiarne l’esecuzione. Le stesse persone che chiacchierano allegramente in mezzo a tutti i rumori infernali della metropolitana, o che sopportano lo sferragliare di migliaia , di veicoli su una strada sassosa, dicono di detestare il suono dei canti di Natale. Far finta che qualcosa ti piaccia forse è peccato; ma far finta che qualcosa non ti piaccia si avvicina molto a un peccato contro lo Spirito Santo.
È ancora lecito tuttavia sperare che qualcuno, in questo periodo, senta quei canti: essi rappresentano gli ultimi echi di quel vagito che ha rinnovato il mondo.
(G. K. Chesterton, Lo Spirito del Natale, D’Ettoris Llibri, 2013, 27 – 31. L’articolo fu pubblicato da Chesterton il Giorno di Natale del 1901 prima della sua conversione definitiva al cattolicesimo)
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