Giovanni, l’Aquila. #giovanni #apostolo #27dicembre

L’Aquila di San Giovanni – mosaico, VI sec. – Ravella, abside di Sant’Apollinare in Classe.

di Federica Garofalo

Il 27 dicembre si festeggia San Giovanni Evangelista, rappresentato nell’arte cristiana, secondo una simbologia indicata prima dal profeta Ezechiele e poi dall’Apocalisse, sotto le sembianza dell’aquila: nei bestiari antichi l’aquila è il tramite tra cielo e terra, non può essere colpita dal fulmine, può fissare il sole senza restarne abbagliata e in vecchiaia vola verso il sole, per poi immergersi tre volte nell’acqua, uscendone ringiovanita.


Tutte caratteristiche che sembrano ispirate dagli scritti che la tradizione ha attribuito all’apostolo Giovanni, a cominciare dal Vangelo, il più elevato del quattro, che inizia con quello straordinario prologo che ci dischiude le profondità del Verbo, raggiungendo le vette del sublime; passando per le lettere, con la loro continua sottolineatura di Dio come Amore, fino ad arrivare all’Apocalisse, il “velo rimosso” che ci mostra il senso della Storia.
La tradizione, anche artistica, ha sempre dipinto Giovanni di Zebedeo, fratello di Giacomo il Maggiore, come un giovanetto, identificandolo come “il discepolo che Gesù amava” citato nel suo Vangelo in pochi episodi ma molto significativi: il primo dei suoi discepoli, insieme ad Andrea, talmente folgorato dall’incontro con il Nazareno da ricordarne perfino l’ora esatta; colui che, durante l’Ultima Cena, alla rivelazione dell’imminente tradimento che il Maestro avrebbe subito da lì a poco, ha l’audacia e la confidenza di poggiare il capo sul petto di Gesù per farsi palesare l’identità del traditore; colui che, in seguito all’arresto di Gesù fa entrare anche Pietro nel cortile della casa del sommo sacerdote per seguire l’evoluzione degli eventi; l’unico degli Apostoli a trovarsi sotto la croce, tanto da vedersi affidata dal Maestro morente la madre ormai rimasta sola; colui che, insieme a Pietro, alla notizia della sparizione del corpo di Gesù, non esita a correre verso il sepolcro vuoto.
Ed è proprio questo episodio che il Vangelo di oggi ci invita a meditare: Giovanni, anche se non sa bene che cosa è accaduto, non esita a correre verso il sepolcro vuoto solo per amore nei confronti del Maestro. Anche se giunge per primo al sepolcro, e, pur avendone tutto il diritto essendo stato l’unico tra i discepoli a non lasciare Gesù nemmeno nell’ora della morte, dà la precedenza a colui che Gesù stesso aveva designato come capo degli Apostoli, Pietro. Solo allora egli entra, e, pur senza vedere il Maestro risorto, crede, solo vedendo il lenzuolo dentro il quale era stato avvolto il Nazareno ancora là, appiattito sulla pietra sepolcrale, come se il corpo vi fosse uscito senza sfasciarlo, e il sudario impiegato per trasportare il corpo dal Golgota fino al sepolcro piegato da una parte.
L’aquila ha visto il sole negli occhi e non è rimasta folgorata, si è immersa nell’acqua della fede ed è ringiovanita. E passerà il resto della sua vita a dare testimonianza di quel sole che ha guardato negli occhi, perché anche chi lo ascolti “veda e creda”.


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