Molti studiosi considerano il 4 Esdra un testo chiave per comprendere la complessità del giudaismo nel periodo immediatamente successivo alla distruzione del Secondo Tempio. La sua datazione è generalmente fissata nell’ultimo decennio del I secolo d.C., perché il trauma di Gerusalemme e del Santuario appena caduti si riverbera in tutto il libro, dando spazio a una profonda riflessione sulle cause della catastrofe e sulle possibilità di un rinnovamento spirituale. Il testo, originariamente composto in ebraico o in aramaico, come suggerito da alcuni indizi interni e da studi storico-filologici, ci è stato trasmesso principalmente in versioni siriache, latine, copte, armene, arabe, georgiane ed etiopiche. Questa varietà di tradizioni mostra sostanziali differenze, soprattutto tra la famiglia latina e la siriaca, contribuendo a un quadro testuale di notevole complessità. È diffusa tra gli specialisti la tesi secondo cui la redazione originaria sia andata perduta che le versioni superstiti rappresentino una stratificazione di traduzioni e revisioni succedutesi nel corso dei secoli.
La trasmissione latina inserisce il 4 Esdra (capp. 3-14 di 2 Esdra nella Vulgata) tra due aggiunte di origine cristiana, i cosiddetti 5 Esdra (capp. 1-2) e 6 Esdra (capp. 15-16). L’intero blocco, pertanto, crea uno scritto che la tradizione latina chiama 2 Esdra, ma che in larga parte coincide con il nostro 4 Esdra e che conserva tracce di differenti stadi redazionali. Nonostante tale complessità, lo scritto resta un testo apocalittico giudaico che risponde in modo drammatico alle domande sollevate dalla distruzione del Tempio: come mai è avvenuta questa sciagura? In che modo Israele, privo del fulcro cultuale, può reinterpretare la propria identità? Qual è il futuro della Torah senza il Santuario?
Il testo immagina un protagonista, «Esdra», che dialoga con un angelo, Uriele, e con l’Altissimo, tentando di conciliare la fede nella giustizia divina con il tremendo shock rappresentato dalla distruzione del Santuario gerosolimitano. Gli studiosi notano che la figura di Esdra, già noto come scriba e guida spirituale nella tradizione biblica (cfr. Esd 7), emerge qui con un profilo ulteriormente arricchito di tratti tipici di Mosè, Giobbe, Geremia, Daniele ed Ezechiele: è colui che intercede, che si tormenta, che chiede spiegazioni e riceve rivelazioni. Proprio la tensione tra il desiderio di comprendere e l’inaccessibilità della piena verità divina costituisce uno dei motori narrativi più incisivi del testo. L’opera si articola in sette visioni o dialoghi di carattere visionario, nei quali il nostro Esdra compie un progressivo cammino di trasformazione: dapprima lamento e stupore, poi ribellione e resistenza, infine un’accettazione che si traduce in una nuova ispirazione profetico-angelica.
La struttura del testo è chiaramente scandita in blocchi: i primi tre dialoghi presentano Esdra come un uomo che, sconvolto dal disastro di Gerusalemme, accusa quasi l’Altissimo di ingiustizia; i dialoghi centrali marcano il passaggio a una presa di coscienza di tipo profetico; gli ultimi segmenti mostrano un Esdra che viene persino incaricato di riscrivere la Legge perduta. È chiara la potenza simbolica di questa scena: mentre il Tempio è distrutto, una nuova forma di «culto» si apre nella scrittura e nella lettura della Torah e di altri scritti rivelati. Il 4 Esdra diventa così una testimonianza preziosa di come il giudaismo post-70 ricerchi, tra disagio e creatività, una via per perpetuare la propria identità.
Proprio la portata visionaria e consolatoria emerge in diversi passaggi del libro. Esdra vuole capire perché Israele soffra tanto, e quali prospettive ci siano per i giusti e per gli empi negli ultimi tempi. E nel corso delle sue meditazioni, il testo risponde con immagini potenti e simboliche. In una delle visioni più celebri, Esdra incontra una donna in lutto che piange la morte del suo unico figlio. Egli dapprima la esorta a non esagerare nel dolore, perché gli affanni dell’intero popolo e la distruzione di Sion sono ben più immensi. Ma la donna si ribella al suo ammonimento, e allora Esdra, compenetrandosi nel suo dolore, prorompe in un lamento simile alle Lamentazioni di Geremia. In seguito, l’angelo gli rivela che quella donna non era altro che la personificazione di Sion stessa. Nel momento in cui Esdra se ne rende conto, percepisce che la condizione della donna non è che l’immagine della rovina di Gerusalemme, e questo lo apre a un’iniziazione profetica ulteriore.
L’intero cammino di Esdra, dal dubbio alla comprensione, si esprime in uno stile poetico e altamente simbolico, popolato di richiami biblici. Emerge la filigrana emergono i tratti di Mosè (l’uomo che parlò con Dio sul Sinai), di Giobbe (il giusto oppresso che chiede ragione del male), di Geremia (il profeta delle sventure del popolo), di Daniele (l’apocalittico che interpreta visioni e sogni) ed Ezechiele (il sacerdote che sperimenta visioni sull’esilio). Tutto ciò crea una sinfonia letteraria intensa, in cui si avverte la forza di una re-interpretazione del passato biblico al servizio di un presente sconvolto dalla distruzione, eppure aperto a un futuro di speranza.
Una caratteristica peculiare del nostro apocrifo è la sua dottrina sulla Legge perduta e poi riscritta. Nel capitolo 14, Esdra riceve il compito di ricostituire la Torah andata distrutta nell’incendio di Gerusalemme, riscrivendola sotto ispirazione divina in 24 libri destinati a tutti, ma anche in 70 libri «esoterici», riservati ai sapienti. Sul significato di questo raddoppio gli studiosi si sono lungamente interrogati: forse è l’anticipazione di un’idea di «rivelazione multipla» che, nella tradizione rabbinica, verrà espressa come duplice Torah (scritta e orale)? Oppure i 70 libri comprendono letteratura apocalittica, sapienziali segreti e testi come 1 Enoc, il Testamento di Mosè, i Giubilei, e così via? Il 4 Esdra non chiarisce quali testi formerebbero questo corpus aggiuntivo, ma sottolinea che il suo contenuto è più profondo, riservato a pochi, e complementare ai 24 libri comuni. Qui probabilmente vediamo emergere l’esigenza di un nucleo essoterico e uno esoterico della rivelazione, un dualismo che trova paralleli in certa letteratura giudaica del periodo del Secondo Tempio, nonché in alcune prospettive tardive.
Il testo si limita a una riflessione teologica sulla sofferenza di Israele, ma comprende anche l’elaborazione di un immaginario apocalittico relativo agli imperi del tempo. È celebre la quinta visione, nella quale compare l’aquila con tre teste e dodici ali, che gli studiosi concordano nell’interpretare come un simbolo dell’Impero romano, successore dei precedenti imperi mondiali di cui parlava già Daniele. La visione dell’aquila, sormontata poi dal sopraggiungere di un leone (ossia il Messia davidico), rispecchia il conflitto fra la potenza terrena oppressiva e l’intervento divino che alla fine la sconfigge. Su queste sezioni si innesta un fitto dibattito esegetico, volto a identificare con precisione le ali e le teste con specifici imperatori romani; tuttavia, l’aspetto più interessante resta il giudizio divino sulla potenza paganeggiante che ha devastato Gerusalemme. Il Messia, nella simbologia del 4 Esdra, è un leone vittorioso che porta la punizione sui nemici di Israele e inaugura un’era nuova per il popolo di Dio.
In questa prospettiva, il giudizio sui malvagi e la salvezza dei giusti costituiscono un altro nodo teologico. Esdra viene posto di fronte al problema del male: perché l’Altissimo lascia che tanti soffrano? Perché i giusti patiscono mentre gli empi prosperano? Nei dialoghi con l’angelo Uriele, il testo non fornisce risposte semplici, ma traccia un orizzonte di consolazione futura: pochi giusti troveranno la salvezza, mentre i molti empi periranno. Per alcuni passaggi, come nel capitolo 7, si evince che la creazione divina, dopo il peccato di Adamo, è entrata in una fase dominata da un «cuore maligno» che affligge quasi tutti. Solo un piccolo resto, armato di opere e di fede, potrà sperimentare la vera consolazione. In questo senso, il4 Esdra apre la strada a una riflessione sulle «due vie» (la via larga e la via stretta) che troverà eco anche nella letteratura cristiana, segno di come il giudaismo degli anni immediatamente successivi alla distruzione del Tempio fosse in cerca di nuovi modelli interpretativi per la sofferenza e l’ingiustizia.
Non va dimenticata la dinamica pseudepigrafica. Il 4 Esdra si presenta come un’opera che, per autorità, si lega a un grande personaggio biblico, ma è chiaro che l’«Esdra» del testo non corrisponde meramente alla figura storica del V secolo a.C. bensì a un Esdra riplasmato, in cui confluiscono memorie e tipologie letterarie diverse. Tale pratica era tipica di molta letteratura del Secondo Tempio (basti pensare a 1 Enoc o ai Giubilei). L’intento non era tanto falsificare l’autorità, quanto ricollegare le proprie riflessioni a una catena di rivelazione antica e prestigiosa, capace di parlare con forza al tempo presente. Così come Mosè o Geremia rivivevano nelle pseudepigrafie, anche Esdra fu assunto come portatore di oracoli e di apocalissi, con lo scopo di ridare speranza agli ebrei dispersi e colpiti dalla caduta del Santuario.
L’opera influì notevolmente anche sugli sviluppi successivi. Alcuni padri della Chiesa latini, conoscendo 2 Esdra nella versione Vulgata, lessero il 4 Esdra con accenti cristologici, soprattutto in riferimento al Messia. Elementi come la figura del «figlio» o «servo» dell’Altissimo nel 4 Esdra furono facilmente riletti in chiave cristiana, e quei capitoli circolarono in contesti latini con il titolo di Apocalypsis Esdrae. Sul fronte ebraico, nonostante non sia entrato nel canone rabbinico, alcuni temi del testo – come l’idea di un residuo salvato, la contrapposizione tra rivelazione esterna (i 24 libri) e rivelazione segreta (i 70 libri), la riflessione sulle cause della distruzione – sembrano anticipare temi dibattuti nelle yeshivot che diedero vita al giudaismo rabbinico, e che effettivamente concepirono una forma di Torah ulteriore, trasmessa in ambito esoterico-interpretativo, sia pure oralmente.
Per una comprensione concreta del tenore letterario de nostro apocrifo, può essere utile soffermarsi su alcuni esempi tratti dalla stessa narrazione. Quando Esdra è oppresso dalla sventura ecco che un angelo gli appare per guidarlo e spiegargli il senso degli eventi: «Accadde che, quando ebbi terminato di pronunciare queste parole, venne inviato da me quello stesso angelo che mi era stato inviato nelle notti precedenti, e mi disse: “Alzati, Esdra, e ascolta le parole che sono venuto a dirti”. Dissi: “Parla, signore!”» (7,1-3). È l’inizio di un dialogo serrato, in cui l’uomo si fa portavoce dell’angoscia del popolo, mentre l’essere divino risponde con argomentazioni che spesso conducono a prospettive escatologiche. Più avanti, lo stesso angelo illustra a Esdra come il mondo procederà verso il giudizio finale: «Ecco, infatti, che arriverà il tempo, e sarà quando verranno i segni che ti ho detto prima, la città ora nascosta apparirà, si mostrerà la terra che ora rimane celata» (7,26-27). L’idea di una Gerusalemme nascosta, pronta a rivelarsi in futuro, e di un tempo che condurrà a un giudizio, evoca la speranza che il male non abbia l’ultima parola.
Un altro esempio luminoso del linguaggio immaginifico di 4 Esdra compare nel capitolo dedicato alle sorti dei giusti e dei peccatori nell’aldilà: «E questa è la disposizione per coloro che hanno conservato le vie dell’Altissimo, quando dovranno venir separati dal loro vaso corruttibile. Nel periodo in cui hanno abitato lì hanno servito l’Altissimo con gran fatica, ed ogni momento hanno affrontato pericoli per custodire alla perfezione la legge del Legislatore» (7,88-89). Tutto si snoda intorno alla convinzione che il giusto, fedele alla Torah nonostante le tribolazioni, godrà infine di un destino luminoso, mentre per i malvagi si prospetta l’esclusione e la condanna. Il testo, così profondamente intriso di concezioni apocalittiche, trova nel capitolo 7 un vertice teologico e retorico che chiarisce il legame tra sventura presente e speranza futura.
L’autore, inoltre, non tralascia di descrivere il momento in cui Esdra si mette a riscrivere la Legge bruciata in 24 libri per tutto il popolo, più 70 libri segreti da affidare ai sapienti: «Furono scritti in questi quaranta giorni novantaquattro libri. Accadde che, quando si furono compiuti i quaranta giorni, l’Altissimo mi parlò dicendo: “I ventiquattro libri che hai scritto prima rendili pubblici, che li legga sia chi è degno sia chi è indegno; ma i settanta scritti da ultimo conservali, per consegnarli ai sapienti del tuo popolo, perché in essi c’è la sorgente dell’intelligenza, la fonte della sapienza, e il fiume della conoscenza!”» (14,44-47). La solennità di questo mandato suggerisce che l’apertura e la segretezza non si escludono, ma convivono in una comunità che sa offrire a tutti la legge di base, e allo stesso tempo alimentare un nucleo più profondo di rivelazione per coloro che se ne mostrino degni. Tale distinzione fra il sapere diffuso e il sapere iniziatico era già presente in altre opere del periodo, ma qui assume una fisionomia particolarmente netta.
Nel corso della storia delle interpretazioni, il 4 Esdra ha avuto un’importanza notevole anche per i cristiani. In qualche contesto antico, i suoi capitoli furono sovrapposti a oracoli su Gesù Cristo e 5 (che costituirono il contenuto dei citati 5 Esdra e 6 Esdra), oppure manipolati per fornire un appoggio a dottrine escatologiche. Ma la traccia ebraica è chiarissima e si concentra sulla rifondazione di Israele senza Tempio, con la consapevolezza che la Legge è l’unico baluardo contro la dispersione. È dunque un testo che, più di altri apocrifi, rende palpabile il travaglio del giudaismo dopo il 70. In parallelo, opere come il 2 Baruc, che circolava nei medesimi ambienti (trasmesso anche nel Codex Ambrosianus in siriaco), mostrano analoghe preoccupazioni: la rovina di Gerusalemme, il futuro del popolo, la sopravvivenza della fede, la reinterpretazione delle antiche promesse bibliche. Nel caso del 2 Baruc, è la figura di Baruc, discepolo di Geremia, a incanalare i medesimi interrogativi su colpa, punizione e speranza.
È interessante notare come entrambi i testi, 4 Esdra e 2 Baruc, attribuiscano ai propri protagonisti delle rivelazioni che vanno al di là di ciò che era ritenuto canonico. Nel 4 Esdra, quell’accenno ai 70 libri esoterici si ricollega a una nozione di Torah ampliata e arricchita di commenti segreti, mentre in 2 Baruc si trovano passaggi che menzionano lo scritto misterioso destinato a «quelli come te» o «i giusti». Appaiono, in queste opere, i segni di un ebraismo che, con la distruzione del Secondo Tempio, non si spezza, bensì si riorganizza intorno a nuovi paradigmi di autorità scritturistica con i maestri e scribi ispirati che tramandano la tradizione e la interpretano. Nel 4 Esdra, Esdra rappresenta in pieno questa figura di scriba che, nella disperazione, riscrive le Scritture e introduce un livello di rivelazione più profondo, quasi a suggellare la speranza che la voce di Dio non sia muta neppure in un mondo senza Tempio.
Proprio con questo spirito il testo si chiude su una nota di elevazione di Esdra, quasi come Enoc o Elia, poiché si narra che egli scompare e viene assunto in cielo: «Ecco, tu mi hai fatto tutto questo perché tu scruti le vie dell’Altissimo. Ma ecco che io sono ormai stanco di animo, e debolissimo di spirito, e non mi è rimasta la benché minima forza, dalla gran paura che ho avuto questa notte. Ora perciò pregherò l’Altissimo che mi dia forza fino alla fine» (7,4-6). Con tali parole e con un crescendo di esperienze mistiche, Esdra si avvia verso la conclusione della sua missione: il testo lo presenta quasi come uno degli angeli, un essere che supera la condizione umana poiché ha affrontato il dolore di Israele e ha ricevuto rivelazioni sorprendenti. È un «nuovo Mosè» che non libererà il popolo da un esilio geografico, ma che lo aiuterà a uscire dall’esilio spirituale; un uomo che, con la guida degli angeli, risponde alla perdita del Tempio offrendo una «rilettura» delle Scritture e un prosieguo rivelativo affidato alla scrittura sacra.
Questa centralità della Scrittura, tanto in 4 Esdra quanto in altri testi coevi, prelude al periodo in cui l’ebraismo rabbinico fiorirà definitivamente, accentuando la sinagoga come luogo di studio, la centralità dei maestri come depositari dell’interpretazione e la distinzione di un messaggio palese e uno segreto. Sebbene il 4 Esdra non sia stato accolto dal canone rabbinico, ne condivide alcune istanze profonde: la riflessione sullo statuto della Torah, l’idea di un residuo risparmiato dall’ira divina, la possibilità di collegarsi a figure antiche in una catena ininterrotta di rivelazione. È altresì vero che la tensione escatologica e apocalittica del 4 Esdra risulta più accentuata rispetto agli sviluppi rabbinici, i quali concentreranno più l’attenzione sulla prassi halakhica e sull’interpretazione continua, rispetto a speculazioni sugli ultimi tempi. Ciò non toglie che il libro, con la sua potenza visionaria, abbia influenzato correnti ebraiche e, indirettamente, alcuni ambienti cristiani, come testimoniano i molti manoscritti e citazioni diffuse fino al Medioevo.
Il 4 Esdra brilla per la forza con cui affronta il problema del male storico e della giustizia divina, rielaborando materiali biblici e collocandoli in una struttura dialogica di progressiva iniziazione. Sia gli elementi apocalittici (l’aquila, la visione del mare, la montagna scolpita) sia quelli sapienziali (il valore dello studio, il ruolo dello scriba, il doppio corpus di scritture) e liturgici (il lamento funebre di Sion, la supplica) si saldano in un discorso organico capace di istruire, consolare e suscitare un dinamismo di fede. È un testo che invita il lettore a identificarsi con Esdra, a sperimentare la tensione fra la sofferenza e la speranza, fra la domanda continua e il silenzio di Dio, fra la disillusione per la perdita del luogo sacro e il ritrovamento di un’intima sacralità nella Legge.
A margine di questa riflessione, si possono inserire alcuni ulteriori passi esemplificativi. Quando l’angelo annuncia a Esdra l’incontro con la donna in lutto, il narratore spiega: «Accadde che, quando ebbi terminato di pronunciare queste parole, venne inviato da me quello stesso angelo che mi era stato inviato nelle notti precedenti, e mi disse: “Alzati, Ezra, e ascolta le parole che sono venuto a dirti”. Dissi: “Parla, signore!”» (7,1-3). Subito dopo, Esdra viene condotto a riconoscere che l’intero popolo è in lutto: «Ora, dunque, perché ti turbi per il fatto di essere corruttibile, e ti agiti, tu, per il fatto di essere mortale? Perché non ti sei preso a cuore quel che dovrà accadere, piuttosto che ciò che sta accadendo ora?» (7,15-16). In queste domande sta il fulcro dell’atteggiamento del testo: si allude continuamente a un piano escatologico superiore, da preferire al semplice sconforto storico del momento.
Altrettanto significativa è la prospettiva sulla sorte delle anime: «Invece, questa è la disposizione per coloro che hanno conservato le vie dell’Altissimo, quando dovranno venir separati dal (loro) vaso corruttibile. Nel periodo in cui hanno abitato lì hanno servito l’Altissimo con gran fatica, ed ogni momento hanno affrontato pericoli per custodire alla perfezione la legge del Legislatore» (7,88-89). Emergono qui toni di un universalismo che, pur restando legato alla condizione di Israele, si apre a un giudizio complessivo degli individui. Per contro, la sorte dei malvagi è tratteggiata in modo duro, lasciando intendere che la sofferenza presente non è nulla rispetto al tormento ultimo riservato a chi non ha seguito la Legge.
Anche la preghiera di Esdra, che nel testo latino compare come un blocco a sé, mostra il fervore con cui il protagonista si fa interprete del dramma di tutta la comunità: è un lamento che mischia l’eco delle Lamentazioni e i salmi di supplica. Da questi passi traspaiono, in filigrana, le diverse caratteristiche che hanno contrassegnato l’apocalittica ebraica del I secolo, nonché i rimandi a modelli biblici. La scrittura del 4 Esdra, sebbene talora complicata da interpolazioni o correzioni, mantiene una forza poetica notevole, avvolgendo il lettore in un senso di urgenza e tensione verso una verità ultima. È il riflesso di un gruppo di autori e lettori convinti che la rivelazione non sia finita con i profeti classici, ma prosegua nei secoli, pronta a riemergere in tempi di crisi grazie a figure come Esdra.
L’opera non offre tutte le risposte agli interrogativi che in questa vengono posti, ma lascia aperto uno spazio di riflessione: «Allora apparirà la fossa dei tormenti e, di contro, ci sarà il posto della quiete; si mostrerà il forno della Gehenna, e, di contro, il paradiso delle delizie. L’Altissimo allora dirà alle genti resuscitate: “Guardate e comprendete Colui che avete negato, o che non avete servito, o i cui comandamenti avete disprezzato. Guardate dunque da questa parte e dall’altra: qui delizie e quiete, là fuoco e tormenti”» (7,36-38). È un’immagine potente di giudizio e separazione, e insieme l’annuncio di una speranza che pervade l’intero scritto: la storia non è finita, Dio riprende a parlare, Esdra riceve libri nuovi, e Israele, privato del Tempio, trova nelle Scritture e nella rivelazione una nuova strada per sopravvivere e restare fedele.
Nel panorama degli apocrifi, raramente un testo riesce a coniugare tanto vigore apocalittico con una riflessione così approfondita sulle Scritture e sul loro ruolo salvifico. Se 2 Baruc e il Testamento di Mosè ribadiscono la dimensione profetica, se 1 Enoc propone una cosmologia e una visione angelologica distesa lungo i millenni, il 4 Esdra si distingue per l’intreccio tra la vicenda biografica di uno scriba in crisi, la condivisione del dolore del suo popolo e l’afflato ultimo di un messaggio rivelato che vuole gettare luce sull’avvenire. Al cuore di tutto, si coglie una parola di speranza e di giudizio, di condanna e di liberazione, che fa del nostro apocrifo una testimonianza profonda del passaggio tra due epoche: quella del Secondo Tempio e la successiva ricostruzione dell’identità ebraica. Proprio per questo, la sua lettura rimane fondamentale per quanti vogliano avvicinarsi alla genesi del giudaismo rabbinico, all’uso creativo delle figure bibliche nella letteratura apocalittica e alla formazione di un immaginario religioso che, ancora oggi, continua a stimolare credenti, studiosi e appassionati.
Adriano Virgili
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