È vero che la Chiesa impediva ai medici di effettuare autopsie sui cadaveri? #cronachedelcristianesimo#Storie #fidesetratio

Negli ambienti anticlericali, la cosa è pacifica tanto quanto l’affermare che il sole sorge alla mattina: sì – si legge spesso – la Chiesa impedì per secoli di effettuare dissezioni sui cadaveri, e così facendo si rese colpevole del mancato progresso nello studio dell’anatomia, a grave danno della scienza medica nel complesso.
Per contro, gli apologeti cattolici tendono a derubricare il tutto a leggenda nera: giammai accadde qualcosa del genere – si legge tra le loro pagine – anzi la Chiesa incoraggiò e favorì quanto più possibile l’esercizio dell’arte medica in tutte le sue forme.

Ma allora, chi ha ragione?

Con la premessa che l’ago della bilancia pende a favore degli apologeti, bisogna onestamente ammettere che (come spesso capita in questi casi) la questione è troppo sfumata per essere ridotta a un “sì, sì” o “no no”. E allora, cerchiamo di fare un po’ di luce su questa vicenda, partendo dalla domanda più ovvia e più importante: questo divieto di dissezionare i cadaveri, esiste? Fu emesso per davvero, oppure no?

La risposta alla domanda è, tecnicamente, “no”: la Chiesa non emanò mai una legge che impediva di dissezionare cadaveri tout court. Vi fu però una bolla pontificia che disse qualcosa di vagamente simile: stiamo parlando della Detestande feritatis promulgata da Bonifacio VIII nel 1299 (ma più frequentemente citata col titolo di De sepolturis: improprio, eloquente). La “ferocia da tener lontana” cui si riferiva il papa nell’incipit della sua bolla consisteva nell’abitudine di «squartare i corpi umani»: ma in che contesto, esattamente?

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare intuitivamente, Bonifacio VIII non si riferiva alle dissezioni cadaveriche che avevano luogo in ambiente medico. A chiarire i termini della questione sono le parole stesse del pontefice, che spiega con una certa chiarezza:

Quando un nobile o un alto dignitario muore lontano dal suo paese, come frequentemente accade, se costui aveva espresso il desiderio di essere sepolto nel suo paese natio, o comunque lontano dal luogo in cui è morto, alcuni cristiani, soggiacendo a un’usanza perversa motivata da una premura sacrilega, ne eviscerano il cadavere e, dopo averlo smembrato orribilmente e poi tagliato a pezzi, lo gettano nell’acqua per farlo bollire sul fuoco. Quando alfine la carne si è distaccata dall’osso, spediscono le ossa alla città che era stata scelta per l’inumazione.
È massimamente abominevole che si chiami a salvaguardia di ciò la divina maestà, tantopiù che tutto ciò che riguarda questa pratica è assolutamente orripilante, a motivo del rispetto che si deve a una salma.

Insomma, non stiamo parlando di un medico che affonda il bisturi nel corpo di un paziente deceduto per cercare di comprendere quale male l’abbia ucciso. Stiamo parlando di gente che macellava corpi umani e li faceva bollire a pezzi in un grosso pentolone, asserendo per di più di star agendo per genuino spirito di carità cristiana volendo assecondare il desiderio del defunto di essere sepolto in quella certa certa chiesa a lui cara.

E (strano ma vero) episodi di questo tipo erano all’ordine del giorno, quando ci si trovava a dover gestire le esequie di un “pezzo grosso” a cui era capitato di morire lontano da casa. Per citare un caso eclatante, era andato incontro a un simile destino anche re Luigi IX di Francia, oggi venerato come santo dalla Chiesa, che era morto marciando verso la crociata, nell’agosto 1270. Messi di fronte alla necessità di organizzare le esequie per il re santo, i funzionari di corte si erano trovati in forte imbarazzo: il caldo estivo imponeva di agire rapidamente, e lo stato di guerra rendeva del tutto impensabile seppellire il monarca nel luogo in cui era morto, cioè in terra nemica. Oggigiorno, basterebbe un volo charter a risolvere il problema ma all’epoca la cosa era un tantinello più complicata; sicché, i commilitoni di re Luigi avevano optato per la discutibile soluzione dello squartamento seguito da bollitura.

E se quello di Luigi IX fu un caso eclatante a causa della notorietà del personaggio, nobile e santo in terra al tempo stesso, il suo non fu nemmeno un caso isolato. E fu contro questo malcostume che Bonifacio VIII usò parole durissime, vietando categoricamente questa pratica che gli sembrava venir gravemente meno alla sacralità del corpo e comminando la scomunica a tutti gli individui che, da quel momento in poi, avessero trasgredito il suo divieto.

***

Ma le autopsie sui defunti non c’entravano niente.
Anzi: nel 1316, una quindicina d’anni dopo l’entrata in vigore della bolla papale, il cattolicissimo Mondino de’ Liuzzi, medico chirurgo di stanza a Bologna, ebbe modo di pubblicare in tutta tranquillità il suo trattato Anathomia, dando conto delle sue indagini operate sui cadaveri umani. Il trattato, che da molti è considerato l’atto di nascita della scienza anatomica propriamente detta, non costò a Mondino alcun tipo di sanzione; dopo di lui, furono molti i medici che operarono dissezioni cadaveriche per studiare il funzionamento del corpo umano.

Fu solo nel XVIII secolo che, in quegli ambienti illuministi venati da anticlericalismo, cominciò a diffondersi la convinzione che la bolla di Bonifacio VIII avesse, di fatto, bloccato per secoli il progresso della scienza medica. Una affermazione oggettivamente falsa (il papa parlava di tutt’altra questione), che però, per onestà intellettuale, dovremo temperare con una considerazione che va in senso opposto: se la bolla di Bonifacio VIII non vietò mai gli studi anatomici, ciò non di meno fece sorgere in alcuni fedeli degli scrupoli di coscienza. All’atto pratico immotivati, ma che comunque ci furono e fecero sentire i loro effetti.

Confusi da quanto si leggeva nella bolla di cui sopra, alcuni scienziati trassero la conclusione che la Chiesa Cattolica ritenesse scempio qualsiasi manipolazione fatta su un cadavere. Alcuni medici sentivano tremare la mano nell’affondare la lama nelle carni di un defunto, temendo di star violando in qualche modo la sacralità del corpo, e alcuni si rifiutavano proprio di farlo invocando una sorta di obiezione di coscienza ante litteram. Il disagio, serpeggiante, cresceva piano piano, e toccò a un altro papa correre ai ripari chiarendo i termini della questione: il fortunello fu Sisto IV. Correva l’anno 1482.

L’assist gli arrivò da una lettera che gli era stata inviata dal rettore dell’università di Tubinga, presso la quale prestavano servizio numerosi medici che si sentivano a disagio all’idea di operare necroscopie a scopo di studio e che quindi si rifiutavano di farlo, o peggio ancora di farlo fare ai loro studenti – che, per contro, si sentivano privati di un insegnamento di cui pure avrebbero avuto diritto.
Chi aveva ragione, domandava il rettore? Come avrebbe dovuto comportarsi un buon cristiano, in quel frangente?

Con santa pazienza, Sisto IV prese in mano calamo e penna indirizzando «al rettore, ai dottori e agli scolari dello Studium» un breve in cui ribadiva la totale liceità di operare sui «corpi umani, o cadaveri» procedendo a «sezionarli e smembrarli secondo i canoni e la prassi dei medici». Unico vincolo: quello di trattare i corpi con il dovuto riguardo senza scene inutilmente splatter alla Tarantino, e di restituirli a una chiesa per tributar loro una giusta sepoltura non appena le indagini mediche si fossero concluse.

Insomma: nella rispettosa indagine anatomica, non v’era nulla di peccaminoso. E, sorprendentemente, furono proprio i papi a voler dare il buon esempio: in età moderna, affermatasi la routine di imbalsamare i corpi dei pontefici defunti, gli archiatri pontifici presero l’abitudine di operare una rapida autopsia con l’occasione, già che c’erano. Il primo papa ad andare incontro a questo destino fu Giulio II, morto nel 1513: i suoi medici curanti ritenevano che un rispettoso esame anatomico avrebbe potuto essere utile per fare chiarezza sulle cause del decesso (comunque senza dubbio imputabile a una malattia: una malattia che evidentemente non si era stati in grado di curare) e per stabilire, col senno di poi, se si sarebbe potuto fare qualcosa di meglio o di più efficace. L’intento non era quello di cercare un colpevole su cui scaricare la colpa della morte, ma (molto banalmente) quello di far progredire la conoscenza medica, nella speranza che quella rapida indagine potesse fornire agli archiatri informazioni utili su come curare al meglio i papi del domani.

Oggigiorno, persino noi moderni ci stupiremmo di fronte alla richiesta di poter effettuare un’autopsia su un paziente malato e anziano, morto per circostanze naturali; ma i papi del Rinascimento, a quanto pare, approcciavano la questione con molta più disinvoltura. Di fronte a questa evidenza, sarebbe ben difficile sostenere ancora la tesi secondo cui la Chiesa si oppose agli studi anatomici in virtù di un pregiudizio oscurantista: a conti fatti, anche questa andrà derubricata a fake news a tema storico, da inserirsi in quel vasto filone legato al presunto conflitto tra scienza e religione. Una storiella simile, a cui avevo già dedicato un approfondimento, è quella secondo cui le chiese cristiane avrebbero ostacolato con durezza la partoanalgesia perché nella Bibbia c’è scritto “partorirai con dolore”: una fake news pure quella, e per fortuna.


Articolo originariamente apparso sul blog Una Penna Spuntata


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