Dal Vangelo secondo Giovanni 19
16 Pilato consegnò loro Gesù perché fosse crocifisso.
17 Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, 18 dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo.
Provando ad immaginare la scena descritta qui da Giovanni, mi viene in mente una bellissima canzone di qualche anno fa di Marco Mengoni, Esseri Umani. Nel testo del brano leggiamo questa bellissima frase: Ma che splendore che sei / Nella tua fragilità / E ti ricordo che non siamo soli / A combattere questa realtà
In effetti Gesù è descritto in tutta la sua bellezza e fragilità nel momento in cui viaggia verso il luogo dove compirà il suo sacrificio cruento per la nostra salvezza.
Soffermiamoci concretamente su questo sacrificio, parola che fa tanto paura oggi. Innanzitutto sappiamo che in esso, Gesù porta la croce. Secondo alcuni interpreti la croce è lo strumento di supplizio e condanna comminato agli schiavi e in particolare agli schiavi che si erano ribellati al potere romano e all’imperatore. Anche lo schiavo Spartaco, ad esempio, era stato crocifisso dopo la terza guerra servile contro Licinio Crasso nel 71 avanti Cristo.
Kirk Douglas in Spartacus di S. Kubrick.
Ecco che Gesù viene condannato a morte perché schiavo e ribelle.
Lo schiavo nel mondo romano era colui che non aveva più né diritti né libertà. Lo schiavo dell’antichità romana era posseduto come un oggetto che il padrone usava a piacimento, vendendolo o scambiandolo; se il padrone era buono poteva anche rilasciare lo schiavo. Lo schiavo, in sintesi, non aveva più dignità. Gesù si è reso schiavo per liberare ognuno di noi. Per liberarci dalla schiavitù del peccato e dalle nostre schiavitù personali.
Proviamo a pensare anche quali sono le schiavitù che oggi colpiscono ognuno di noi: schiavi di paure che sembrano invincibili, di sentimenti di ira e vendetta per un torto subito. Oppure schiavi di oggetti materiali: denaro o anche i social network.
Il ribelle allo stesso tempo è invece colui che si ribella: va contro cioè l’ordine di idee da tutti accettato. Il ribelle, durante l’Impero romano, doveva essere punito perché tramite la sua sedizione creava divisione mettendo in pericolo l’autorità civile e religiosa dell’imperatore. Gesù è IL ribelle perché vuole mostrare la verità di Dio contrastando la mentalità pagana e al tempo stesso farisaica del suo tempo. Gesù mostra che Dio non è colui che applica Legge del diritto romano, né al tempo stesso ci chiede l’applicazione formale della Torah senza interiorizzarla, a modo dei farisei.
Questo aspetto di “ribellione” rispetto ai prodotti più nefasti che la moda, la cultura e il modo di pensare del nostro tempo producono è anche l’effetto che produce il sacrificio incruento dell’Eucarestia.
Quando riceviamo l’Eucarestia, diventiamo un po’ ribelli anche noi. Ribelli a tutto ciò che è effimero, superficiale, falso e formale. Essere nutriti del pane e del vino di Verità e di Eternità aiuta ogni credente a crescere nella fede: ad essere nel mondo, ad amare tutti, ma innanzitutto legarsi ad una tensione che supera tutto ciò che è momentaneo e fallace ma che purtroppo invece vuole imporsi nella nostra quotidianità. L’Eucarestia ci rende un po’ tutti ribelli perché ci fa essere nel mondo, ma non DEL mondo.
Scriveva G. K. Chesterton: “ La chiesa l’unica cosa in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo”.
Il Signore doni ad ogni credente il coraggio di vivere la Sua Comunione Eucarestia per essere ponte con tutti coloro che sono legati dalla schiavitù della cultura postmoderna.
Fr Gabriele Giordano M. Scardocci OP
Gesù dolce, Gesù amore
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