Dalla lettera ai Romani: La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri (Romani 12, 9-15)
Un brano da leggere e meditare profondamente e, aggiungerei, da incorniciare ed appendere nelle case, nelle comunità ecclesiali e – perché no? – anche in conventi e monasteri.
In particolare, vorrei prestare attenzione a questo passaggio:
gareggiate nello stimarvi a vicenda
È difficile che ci si soffermi su questo dettaglio. Spesso, l’insistenza è pressante su una «carità senza infingimenti», ponendo l’accento sull’autenticità di sentimenti e dimostrazioni d’affetto. Seguono diverse indicazioni, piuttosto pratiche, su cosa ciò significhi, cioè coltivare la sollecitudine, allontanare la pigrizia, vivere nella gioia, provare empatia per chi ci è vicino.
San Paolo, con un’attenzione allo sport che, non di rado, lo contraddistingue (non è la prima volta che capita), pone l’accento sulla stima reciproca, presentandola come una “gara”.
A volte, la sensibilità contemporanea contribuisce a creare una sorta di grande equivoco intorno alla “stima”. Di primo impatto, ci sembra qualcosa di un po’ astratto, di distaccato, sicuramente meno fervido di un affetto. Qualcosa che richiama – forse – un rapporto professionale, ma che ci sembra – persino – irriguardoso, se è attribuito ad un rapporto in cui ci riteniamo profondamente coinvolti.
Senz’altro, altri sentimenti entrano in gioco, quando si prova affetto per una persona. Tuttavia, questa stima è assolutamente imprescindibile, in ogni rapporto, se si vuole, non solo rispettare le persone che ci circondano, ma – soprattutto – creare un clima armonioso e fecondo, nella vita di comunità, che richiede di dare vita alla valorizzazione di carismi, caratteri, doni, ma anche difetti diversi e – talvolta – quasi inconciliabili tra loro.
E il richiamo sportivo trovo sia oltremodo esplicativo: è spesso controproducente soffermarsi sugli atteggiamenti negativi, per reprimerli; molto più fruttuoso è, piuttosto, proporre, con vigore, un atteggiamento virtuoso. Invece, quindi di porre in atto un’eccessiva competitività tra le persone – eventualmente, anche nel bene – che rischia di umiliare, magari, le persone più semplici, oppure, meno “combattive”, San Paolo propone, con secoli di anticipo, quella che oggi chiameremmo assertività (la capacità, cioè, di evidenziare prevalentemente il positivo e di portare all’attenzione, solo con grande rispetto, attuando netta distinzione tra atto e persona). La vera sfida – sembra dirci – non è tanto quella di primeggiare sugli altri, quanto, piuttosto, di metterci – vicendevolmente – in grado di vincere insieme sui nostri difetti, spronandoci l’un l’altro in vista del Premio Eterno.
Certo, è sicuramente molto più facile che il nostro sguardo si soffermi su quello che non va, sugli atteggiamenti del fratello che ci infastidiscono, che ci mettono in difficoltà, che continuiamo a riprendere e – pare farlo apposta! – continuano, imperterriti, a ripresentarsi, dandoci il tormento.
La difficoltà, per cui l’affetto fraterno è un ottimo esercizio, è proprio questa: riuscire a spalancare gli occhi su tutto il bello ed il bene che ci circonda, per valorizzare chi ci sta intorno, cercando di evitare il più possibile di mettere a fuoco ciò che – invece – ci infastidisce.
È forse una proposta di mancanza o rinuncia alla verità?
No, assolutamente! Si tratta, piuttosto, di mettere la carità al servizio della verità. Perché se facciamo diventare “sport nazionale” la lamentazione, non solo il rischio è umiliare chi, magari con tutto il cuore, si impegna a migliorare, ma anche demoralizzarne i tentativi di bene, rendendolo sempre più convinto che non potrà mai riuscire nel risultato prefissato.
L’uomo è creatura fragile, che, ferita dal peccato, combatte – quotidianamente – fra il suo sincero desiderio di bene e la sua esposizione al male. Ecco perché valorizzare i tentativi di Bene e l’impegno verso la Bellezza sono l’aiuto più concreto che possiamo offrire ai nostri fratelli, nel comune cammino di conversione, ma anche il miglior aiuto possibile affinché il nostro sguardo somigli sempre più a quello di Dio che, con fiducia, si rivolge verso l’uomo, con l’amorevole speranza che i germogli appena spuntati possano, un giorno, diventare copiosi frutti di bontà.
Gareggiare nello stimarci a vicenda non è, quindi, offesa alla verità, ma, al contrario, aiuto affinché essa si concretizzi in reale carità offerta al fratello, nel reciproco sostegno, in un comune cammino di conversione a Dio, per dare vita, ciascuno coi propri doni, alla miglior versione possibile di noi stessi.
Allora, non mi resta che augurarvi… buona gara, qualunque sia la vostra squadra!
Maddalena Negri
Fonte immagine: Rugbyrovigojunior
Molto interessante; grazie, Maddalena! 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie a te
"Mi piace""Mi piace"
Mi piace molto questo articolo: a volte nella fede si va a “velocità diverse” ed è difficile (almeno per me) trovare quell’armonia che consenta di trovare il “compromesso” per andare tutti compatti verso lo stesso obiettivo. Grazie per la riflessione!
"Mi piace"Piace a 1 persona
grazie a te
"Mi piace"Piace a 2 people