Contro ogni legge della buona educazione e della buona scrittura faccio esattamente ciò che non dovrei fare: inizio questo articolo parlando di me. In genere, infatti, mi piace partire da un episodio letterario particolarmente famoso (un libro, un personaggio, un racconto), e provare a vedere che accade se lo si confronta con il cristianesimo. Oppure che accade se è il cristianesimo ad essere confrontato ad esso. Ma la passione? Con cosa si può confrontare la passione di Cristo? Esiste un termine di paragone sufficiente, esiste qualcosa che possa reggere il confronto? Dopo averci pensato un po’, la risposta a mio parere è sì, ed è la fonte stessa della letteratura: la vita umana. Non esiste letteratura, infatti, senza vita, e la letteratura che è priva di vita risulta un gioco letterario magari anche esteticamente bello, ma vuoto – e, in fin dei conti, anche inutile. Così, quando l’uomo a poco a poco ha inventato la civiltà, ha inventato anche la letteratura, per intrattenersi, per parlare di sé, per un bisogno estetico: in una parola, ha inventato la letteratura per metterci tutto sé stesso, e mi piace pensare che Dio, il quale nella sua creatività infinita avrebbe potuto scegliere qualsiasi altra arte o inventarne una nuova, abbia deciso che il suo patto con gli uomini, che la sua storia d’amore con l’uomo dovesse essere tramandata proprio da un libro – con buona pace di tutte le altre arti, pur bellissime. Mi sembra che l’abbia fatto, tra le altre cose, anche per santificare e in un certo senso ratificare quest’arte così intimamente umana. Anche Dio, in fin dei conti, fa letteratura. Di nuovo – e i lettori mi scuseranno – torno a parlare di me: da piccolo mi sembrava particolarmente strano sentir parlare della “passione di Cristo” come della vicenda della sua morte. Io ero appassionato di Pokémon, di cartoni animati: la passione di Gesù era la sua morte? Poi, crescendo, mi è stato spiegato che passione deriva dal latino patior e che ha a che fare con ciò che si patisce, e così il dubbio intellettuale si è risolto. È rimasta, tuttavia, la sensazione un po’ stridente dell’accostamento tra la passione e la morte. Del resto, vien da pensare, per le nostre passioni siamo disposti a sacrificare qualcosa: soldi, tempo, sonno; c’è chi per inseguire una passione (fondata, ovviamente, altrimenti è da folli) ha litigato con la famiglia, chi si è preso del pazzo – salvo poi ricevere le scuse. Dalla squadra del cuore fino al nostro lavoro o a quello che studiamo, tutti abbiamo una passione. C’è chi risparmia monetine dopo monetina per poterla realizzare. E Dio ce ne ha dato un esempio: la passione di Dio siamo noi. Ognuno di noi. Dio è profondamente appassionato dell’umanità nel suo complesso e di ognuno di noi singolarmente. Ne è così appassionato che per questa sua passione è morto: è la passione di Cristo. Se è lecito dirlo, ogni tanto penso che Cristo sulla croce, mentre morendo pensava a tutti e a ognuno, provava in qualche modo anche la soddisfazione del collezionista che compra un prezzo raro e lo ripone nel posto mancante: gli è costato caro, carissimo, ma ora la collezione è salva. Noi a Dio siamo costati la vita, ma almeno siamo salvi. Ora spetta a noi: siamo in grado di appassionarci di Dio?
Matteo Zaccaro
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