Atti 2, 44 Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45 chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46 Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, 47 lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.
Ricordo sempre con gioia un piccolo “miracolo” sportivo, narrato anche da uno splendido film Miracle. È la storia di un gruppo affiatato di giocatori statunitensi di hockey su ghiaccio, che capitanati da un integerrimo e severo allenatore, Herb Brooks, durante i Giochi Olimpici Invernali del 1980 riescono nell’impresa di sconfiggere la invincibile squadra dell’URSS. Rivolgendosi ad uno dei suoi giocatori, durante una sessione di allenamento l’allenatore Brooks gli domanda: “Per quale squadra giochi?” La risposta è: “Gli Stati Uniti D’America!”.
Questa storia mi ha sempre fatto riflettere sulla caratteristica propria del popolo di Dio di essere uno e allo stesso tempo composto di membra differenti. Nel credo stesso confessiamo che la Chiesa è una, santa, cattolica ed apostolica. Unità e distinzione non sono assolutamente inconciliabili nel popolo di Dio. La fede in Gesù è infatti una sola, e trasmessa dagli apostoli e dai suoi successori in ogni luogo su mandato stesso del Signore. A loro volta i successori hanno continuato questa trasmissione della fede, e così via fino a giungere a noi. Tutti i credenti hanno allora ricevuto l’unica fede e l’hanno assimilata e vissuta secondo la propria sensibilità.
Ci viene in aiuto l’analisi profonda del teologo spagnolo Juan De Torquemada. Nel suo De Ecclesia Romana riflette sul fatto che la Chiesa è la collettività di tutti i cattolici e fedeli; dunque è la totalità dei fedeli riunita per adorare l’unico Dio mediante la professione dell’unica fede. Per questo, il credente accettando la fede nella chiesa entra in questa istituzione spirituale / umana e si pone in cammino di vita di fede con gli altri credenti, seppure imperfetto e peccatore con tutti gli altri.
Dalla teologia di Torquemada e anche dal più recente insegnamento della Lumen Gentium 7 (“Come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, non formano che un solo corpo così i fedeli in Cristo. Anche nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici.” ) impariamo allora quanto sia importante che la fede sia un cammino in comunione: innanzitutto fra i sacerdoti, i religiosi e i laici. Un cammino di comunione in cui ognuno nel proprio stato di vita aiuta l’altro nei momenti di difficoltà e così insieme essi formano corpo unico, in cui pian piano, da questa collettività fuori esce la bellezza e la specialità di ognuno di noi. Perché Dio stesso ha istituito la Chiesa, non perché fosse già santa, ma perché camminasse in un cammino di crescita graduale, giorno dopo giorno, momento dopo momento, specialmente con l’aiuto dei sacramenti.
Questo è innanzitutto il cammino di ognuno di noi: un cammino ecclesiale non semplice e a volte anche molto intricato. Ma solo in questo tentativo continuo di crescere in maniera concorde, il Signore si farà presente nel nostro quotidiano: nel nostro parrocchiano triste, sapremo scorgere il debole da aiutare in cui si fa presente Gesù stesso. Nei momenti comunitari, potremo invece vivere la gioia dell’amore trinitario che è relazione gioiosa di più persone. Proviamo allora a vivere la gioia di una fraternità basata non sui legami di parentela, giuridici o biologici, ma sulla fraternità nella fede e nel prezioso Sangue eucaristico. È la fraternità propria del cattolicesimo che tende a scavalcare i limiti temporali e indirizzarsi verso l’infinito.
Gesù dolce Gesù amore
Fr Gabriele Giordano M. Scardocci OP
Rispondi