Dal vangelo secondo Matteo 19
29, «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».
Durante lo sviluppo della missione in Britannia, i monaci anglosassoni dei monasteri a Wearmounth e Jarrow realizzarono tre copie del Codex amiantino probabilmente realizzata da Cassiodoro: due rimasero in Britannia, la terza fu donata a papa Gregorio II, bellissima come l’originale. Per varie vicissitudini, ancora poco chiare, questa copia pervenne al Monastero del SS.mo Salvatore al Monte Amiata, sepolta sotto polvere e carte fino al suo ritrovamento, unica testimonianza della Bibbia cassiodorea.
Ma torniamo a quando il prezioso Codex amiantino fu realizzato. Siamo alla fine del VII secolo e dall’arrivo dei primi missionari l’orizzonte culturale e religioso britannico era molto mutato. Politicamente l’Isola era divenuta una eptarchia, ovvero in essa esistevano sette regni autonomi, tutti governati da un proprio re. L’equilibrio di questi regni era alquanto precario: sempre in lotta fra di loro per l’egemonia, i confini si ampliavano e si restringevano continuamente e nessun re viveva abbastanza da garantire pace e sviluppo per quei popoli. Il cristianesimo però vi aveva preso piede in modo capillare, tanto che quei territori pullulavano di monasteri, di chiese e di monumenti religiosi. Degno di nota è il ruolo che in quei secoli ebbero i monasteri nell’evangelizzazione e formazione dei fedeli: essi non furono solo luoghi di preghiera – frequentati con assiduità da popolani e reali –, ma erano vere e proprie fucine di cultura. In essi si studiava la sacra Scrittura, si componeva musica sacra, si coltivava l’arte, la letteratura, si studiavano il latino e il greco e persino la medicina e la matematica. Insomma se da una parte l’evento evangelizzativo del 597 aveva promosso un vasto processo di cristianizzazione, dall’altra aveva innescato un significativo dinamismo acculturativo. Nel citare il termine “acculturazione” è necessario sottolineare che questo è scevro da qualsiasi accezione negativa. Il mondo anglosassone, infatti, non subì alcuna pressione dal cristianesimo, come avviene quando il più forte prevale sul più debole.
Gli anglosassoni, piuttosto, furono presi dal fascino verso la cultura cristiana e classica che li aveva preceduti e vollero apprenderle e assimilarle. Ed ecco che ciò che contraddistingueva l’identità del mondo romano-cristiano entrava ora a far parte a tutti gli effetti della civiltà anglosassone. Ad esempio, gli Anglosassoni adottarono l’alfabeto latino, con il quale potevano anche scrivere le loro tradizioni e non solo tramandarle oralmente; i monaci non solo copiavano e leggevano le opere dei padri della Chiesa o di autori classici, ma componevano opere ex novo, come la già citata Storia ecclesiastica degli Angli di Beda il Venerabile, poesie e testi di esegesi. Questo dinamismo acculturativo fu certamente importante per il mondo anglosassone, che iniziò appunto a costruire la propria identità culturale, ma non meno rilevante fu per la preesistente cristianità europea, perché ne permise la custodia, l’approfondimento e una rinnovata vitalità. Ecco cosa racconta il Codice Amiantino a noi, persone del XXI secolo: nell’ascolto e nell’accoglienza si custodisce e si comprende la propria identità. Si pensi all’acqua stagnante, che con il tempo puzza, evapora, scompare. Invece un fiume che scorre fa fiorire tutto intorno a sé. Se qualcuno di noi possiede qualcosa di bello, l’unico modo per non perderla è condividerla. Allora la ritroveremo centuplicata – come disse Gesù nel brano sopra riportato –, più bella, più viva. Se qualcuno non vuol perdere la propria identità personale, culturale o religiosa allora dovrebbe lasciare che altri la conoscano, la facciano propria, ne apportino novità. Chi si chiude implode e muore, chi si dona troverà veramente se stesso.
Emanuela Maccotta
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