Le mani del celebrante. Celebrare#

È stato uno degli arrivi più belli nella nostra famiglia di Gens Langobardorum: la ricostruzione dell’acquamanile datato al IX secolo, ritrovato nel santuario rupestre di Olevano sul Tusciano, dedicato a San Michele Arcangelo. A realizzarlo, i nostri insostituibili amici artigiani di Presenze Longobarde.
Un oggetto splendido nella sua semplicità, dipinto a bande rosse, con il cannello modellato a forma di pistrice o leviatano (serpenti marini fantastici) nell’atto di vomitare il profeta Giona.

Vescovo (San Barbato?) durante il lavabo

Inizialmente si era pensato potesse avere funzione battesimale, ma altri hanno ipotizzato, anche sulla base di un affresco coevo nella Grotta del Peccato Originale a Matera, raffigurante un acquamanile simile, che potesse essere invece utilizzato durante il rito del lavabo, cioé quando il celebrante, poco prima della consacrazione dell’Eucarestia, si lava le mani, rito che prende il nome dalle parole di un versetto del salmo 25:

Lavabo inter innocentes manus meas, et circumdabo altare tuum, Domine, ut audiam vocem laudis et enarrem universa mirabilia tua.

Laverò le mie mani tra coloro che sono nell’innocenza, e mi avvicinerò al tuo altare, Signore, per ascoltare la voce di lode e narrare tutte le Tue meraviglie.

D’altronde si tratta di un rito del quale si trova traccia almeno dal VI secolo, e che proprio nel IX secolo viene raccolto insieme agli altri sacramentali per uso pratico, anche se non lo troviamo ovunque. Dopotutto, è un rito che riprende le abluzioni di purificazione del mondo ebraico.
Per saperne di più, ho scomodato un mio carissimo amico, Fra’ Gabriele Giordano, frate domenicano della comunità di Santa Maria sopra Minerva a Roma, il quale tra l’altro sarà ordinato sacerdote a breve. Per inciso, fu proprio lui a lavare le mani di Benedetto XVI durante la sua ultima messa da papa. «Dopo mi ha anche ringraziato» , specifica.
Così ho scoperto che nelle messe pontificali, il rito del lavabo si ripete addirittura per tre volte: la prima in anticamera, prima della celebrazione, la seconda in offertorio e la terza nei riti di conclusione. In genere è l’accolito a lavare le mani al celebrante.
È sostanzialmente un atto di umiltà da parte del celebrante, gli ricorda che anche lui ha bisogno di purificazione, fosse anche il papa, e richiama il battesimo; richiamo che nell’acquamanile di Olevano è evidente attraverso la citazione dell’episodio di Giona, prefigurazione della resurrezione del Cristo.
Ma io, che sono una curiosona, vorrei sapere come si sente un frate che, da diacono, ha lavato tante volte le mani al celebrante, nel sapere che presto sarà lui a dover porgere le sue al rito del lavabo, e a stenderle sul calice e sul pane per “ingravidarli” (a me piace pensarlo in questi termini) del corpo e del sangue del Cristo.
«Io ho sempre vissuto questo gesto come un servizio, che prepara il sacerdote al Sacrificio, – mi risponde. – E mi ricorda che il primo ad aver offerto le sue mani per la salvezza degli uomini è stato il Cristo. D’altronde le mani sono mezzo sia di comunione sia di intimità, ed è proprio quello che Dio cerca: l’intimità con l’uomo.»
Viene in mente un po’ l’episodio narrato nel Libro di Isaia, in cui il profeta, che si è trovato faccia a faccia nientedimeno che con la visione di Dio, esclama: “Ohimé! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti”; un serafino, però, prende un carbone dall’altare e con quello gli tocca le labbra dicendo: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato”.
«Sì, questo è un esempio che calza a pennello, – mi conferma Fra’ Gabriele. – È un effetto che mi supera. Anche le mani del celebrante, di qualsiasi celebrante, sono impure, perché egli è comunque un uomo, “sporcato” dal peccato originale, e non sarebbe degno nemmeno di avvicinarsi a Cristo stesso fatto carne e sangue. Ma Dio dà gratuitamente, e purifica le sue mani dando loro un potere che a me personalmente fa tremare, quello di far incarnare nuovamente il Cristo nel pane e nel vino. Questo, però, è un potere non dato per dominio, ma per servizio, e io, quando durante la mia prima messa da sacerdote, stenderò le mani sull’ostia e sul calice, in quel momento sarò chiamato ad amare non solo Dio che si fa cibo e bevanda, ma anche tutti coloro che lo riceveranno.»
Poi fa un paragone che mi fa molto riflettere:
«Il lavabo, se vogliamo, è anche un fatto “medico”: l’Eucarestia è il farmaco per eccellenza, tant’è vero che rimette i peccati veniali. E il medico, prima di somministrare un farmaco, non si lava forse le mani?»

 

Federica Garofalo dal blog Il Palazzo di Silchelgaita

https://ilpalazzodisichelgaita.wordpress.com/2016/10/19/ode-allacquamanile/

 

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