Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta» (Mt 13, 3 – 8)
Più del figlio, è il Padre ad essere prodigo. Se c’è una caratteristica, che corre lungo tutta la Scrittura e la attraversa, è proprio questa: una generosità inconsueta, illogica, persino oltre ogni ragionevole, umana aspettativa.
La Parabola del seminatore, la prima che incontriamo, nel vangelo di Matteo, è volta a presentare il Regno di Dio. Tuttavia, si rivela uno scrigno prezioso anche per gettare uno sguardo sul mistero del cuore stesso di Dio. È una delle poche parabole che troviamo spiegate dallo stesso Gesù, su richiesta degli apostoli (nei versetti successivi): il seminatore è Dio stesso, che semina la propria Parola e il terreno siamo noi, che possiamo accoglierla con entusiasmo, essere soffocati da problemi e preoccupazioni, oppure portare più o meno o frutto, in base alla nostra disponibilità. Tuttavia, l’aspetto più interessante è quello del seminatore. Una riflessione che potrebbe venire è: perché non fa prima una ricerca, non si affida a una task force di esperti (come va di moda oggi), magari di geologi, per sondare prima quale sia il terreno migliore e rivolgere solo ed esclusivamente verso di esso i propri sforzi? Una corrispondente prodigalità è mostrata nella moltiplicazione dei pani: da cinque pani e due pesci, frutto della generosità del singolo, mangeranno più di 5000 persone, avanzandone 12 ceste, raccolte dai discepoli (Mt 14, 13-21).
La generosità è – in realtà – un attributo che Dio mostra già nell’Antico Testamento. Un esempio su tutti. Sara utilizzerà tre misure di farina (cfr. Genesi 18, 1-15), ai misteriosi tre visitatori che Abramo riceverà alle querce di Mamre, ricevendo in cambio un “dono dell’ospitalità” altrettanto sovrabbondante: un figlio, donato a due coniugi ormai così avanti negli anni che Sara si mette a ridere (Isacco è il figlio di una risata e Sara la donna che ha avuto il coraggio di ridere, di fronte a Dio).
Un ulteriore esempio che possiamo trovare nel Vangelo è l’unzione di Betania: i 300 denari di profumo che Maria romperà per rendere onore a Cristo, stridono con i 30 denari che saranno sufficienti a Giuda per tradirLo. Gesù ripagherà un simile onore con il Suo sacrificio sulla Croce: unico Giusto, condensa in sé il peccato di tutti gli uomini, passati, presenti e futuri, affinché Dio possa usare a tutti misericordia. Più prodigo di così!
Il dono di Dio arriva, sempre, fino allo spreco: è un dono “in perdita” di sé, come qualunque offerta che sia totale. Una prospettiva che è necessariamente familiare a chiunque lavori in ambito educativo: ognuno sia per noi un essere unico ed insostituibile, per il quale dare la vita, a prescindere dal risultato che potremo ottenere. Solo così potremo essere educatori, secondo lo stile di Dio.
Maddalena Negri
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