Bizzarro incipit per un articolo dedicato a uno scienziato illustre, ma non è forse vero che le curiosità son fatte apposta per essere raccontate? E quindi, inizierò proprio così: sottolineando che Lazzaro Spallanzani ha ispirato uno dei personaggi chiave di Der Sandmann, uno dei racconti più affascinati ansiogeni tra quelli partoriti dall’abile penna di E.T.A. Hoffmann. E infatti, chi avrà il piacere di (ri)leggero noterà che si chiama proprio Spalanzani (con la sola L) il geniale scienziato della novella, abile al punto tale da creare una bambola meccanica così realistica da sembrar viva e da far innamorare. E che non si tratti di una coincidenza, ha ben cura di sottolinearlo lo stesso autore, che a un certo punto fa affermare al giovane protagonista del racconto: “Ora frequento le lezioni di un professore di Fisica arrivato di recente, che, proprio come il famoso scienziato, si chiama Spalanzani ed è di origine italiana”.
E famoso lo doveva essere per davvero, lo scienziato Spallanzani in carne e ossa, se – nel 1815, a poco più di quindici anni dalla sua morte – la sua fama era tale da farlo entrare a buon diritto tra i personaggi di un romanzo, ispiratore di quel ruolo di scienziato pazzo ma geniale che oggi, forse, attribuiremmo a un Einstein.
Ma chi era dunque Lazzaro Spallanzani, e quali meraviglie aveva compiuto per guadagnarsi questa fama?

Il protagonista della nostra storia nasce a Scandiano, nei pressi di Reggio Emilia, il 12 gennaio 1729, figlio di Lucia e Gian Nicola. Sappiamo relativamente poco della sua infanzia, ma una affermazione possiamo farla con certezza: il pur dignitoso lavoro del padre, uomo perito nello studio delle leggi, non era sufficiente a garantire agiatezza economica alla sua famiglia numerosa. Se il giovane Lazzaro avrà la possibilità di proseguire gli studi, ciò si deve alla generosità di Antonio Vallisneri, un generoso benefattore suo conterraneo che non mancava mai di fornire borse di studio ai giovani ricchi di talento ma poveri di mezzi. Ed è così che, quindicenne, Lazzaro si sposta a Reggio Emilia per frequentare il Collegio che lì gestivano i Gesuiti.
Diplomato brillantemente alla scuola reggiana, e ancora una volta grazie al sostegno economico del suo mèntore, Spallazani si trasferisce a Bologna per dedicarsi finalmente allo studio…
…del Diritto. Ebbene sì. Nonostante non provi interesse alcuno per il mondo dei codici, Spallanzani cede inizialmente alle pressioni di suo padre che insisteva per avviare suo figlio allo studio della Legge, in modo tale da fargli ereditare un giorno la sua attività.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere. La città di Bologna, dove Spallanzani s’era trasferito obtorto collo per frequentare la facoltà di Legge, darà modo al giovane studente di stringere i suoi rapporti con Laura Bassi, una sua lontana cugina. Figura veramente eccezionale per l’epoca, la Bassi s’era vista assegnare dall’ateneo bolognese una cattedra universitaria per l’insegnamento della Fisica, in tempi in cui le donne erano quasi sempre escluse dalle professioni scientifiche, specie se a così alto livello. È senz’altro grazie alla frequentazione di sua cugina che Spallanzani si rende conto che la Legge è non la sua strada: capisce anzi di volersi dedicare allo studio della scienza e inizia così i suoi studi in Fisica e Matematica.
Seguono alcuni anni che non sarebbe esagerato descrivere come “avvolti dal mistero”. L’epistolario di Spallanzani, straordinariamente ricco a partire dal 1765, riporta pochissima documentazione per il decennio antecedente; anche le carte d’archivio ci sono di scarso aiuto per permetterci di capire qualcosa di più su come abbia vissuto lo scienziato, nel periodo che intercorre dalla sua laurea al suo ingresso nel mondo accademico.
Sappiamo per certo che nel 1755 era tornato in quel Collegio di Reggio Emilia dove lui stesso aveva studiato e dove, entro quella data, aveva già iniziato a insegnare Greco, Logica e Matematica. Nel 1757, dava lezioni di Fisica e Matematica presso l’Università di Reggio; manterrà l’incarico fino al 1762, anno in cui riceve gli ordini sacri.
All’aprirsi del 1763, una più preziosa carica lo attende: il novello sacerdote si trasferisce a Modena dove inizia a insegnare Filosofia e Matematica presso l’Università locale. Ed è lì che prende il via a tutti gli effetti la sua carriera accademica: dopo alcuni anni di studi e sperimentazioni, Spallanzani sancirà il suo ingresso nel mondo della scienza dando alle stampe un Saggio di osservazioni microscopiche concernenti il sistema della generazione de’ signori di Needham e Buffon.
E qui non basterebbe un fiume di parole per spiegare come mai, e fino a quale punto, la mossa di Spallanzani sia stata esplosiva.
I signori di Needham e Buffon erano, nella comunità scientifica dell’epoca, i massimi esperti della materia. Convinti sostenitori della teoria della generazione spontanea, i due scienziati avevano ipotizzato che la vita iniziasse in virtù di una naturale tendenza delle molecole ad aggregarsi dando origine a forme più complesse (un po’ come fanno i cristalli che, spontaneamente si aggregano generando strutture geometriche). Needham, in particolar modo, credeva di aver provato questa sua teoria dopo aver preso un infuso (specificamente, brodo di montone), dopo averlo sterilizzato mediante bollitura e dopo averlo chiuso ermeticamente in un contenitore. Dopo alcuni giorni di osservazione, Needham aveva potuto notare il formarsi di alcuni “animaletti” (diremmo noi oggi: microorganismi) che si erano formati sulla superficie del brodo: era, secondo lui, la conferma della teoria della generazione spontanea, ché nessun elemento esterno avrebbe potuto interferire con quanto accadeva in un liquido sterile custodito in una provetta sigillata.
Naturalmente, la generazione spontanea non esiste. Fu Spallanzani a dimostrarlo, sottolineando che, probabilmente, la provetta di Needham non era stata chiusa davvero ermeticamente. Il giovane scienziato italiano operò invece con più attenzione, saldando la chiusura delle sue provette con l’uso di una fiamma: al momento di riaprire i contenitori, poté notare che non si era sviluppato nessuno degli “animaletti” osservati da Needham (che, al contrario, erano presenti in altri campioni contenuti in provette non sigillate). La teoria della generazione spontanea era confutata.

Provate a immaginare l’effetto dirompente con la quale sarebbe accolta, oggi, la notizia per cui un giovane ricercatore spuntato dal nulla, e senza alcuna pubblicazione alle spalle, riesce a smentire in modo incontestabile una delle teorie scientifiche che vanno per la maggiore, sostenuta da due tra i più grandi naturalisti del momento.
Eppure, lo studio di Spallanzani è così inappuntabile che persino i due scienziati dovranno capitolare di fronte all’evidenza: anzi, lo stesso Needham, con evidente ammirazione, s’offrirà di tradurre in lingua francese lo scritto del collega.
E qui verrebbe da chiedersi: ma dove esattamente il giovane Spallanzani aveva avuto modo di acquisire così tanta perizia? La domanda non è banale: perché il talentuoso sacerdote possedeva, sì, una laurea in Fisica – e tuttavia, questo non bastava per renderlo automaticamente esperto anche nelle Scienze Naturali. Quando inizia ad emergere come biologo, Spallazani mostra ad esempio una notevole dimestichezza con strumentazione tecnica dall’utilizzo non scontato, come ad esempio il microscopio e il modo in cui l’ottica delle lenti può causare errori di lettura a un occhio non esperto. Nell’Italia della prima metà del Settecento, non esistevano molte accademie capaci di far pervenire lo studente a livelli di perizia così approfonditi – e non risulta che Spallazani abbia mai frequentato quelle poche che esistevano sul territorio.
E allora?
Una ipotesi suggestiva è che il giovane studioso abbia imparato a maneggiare il microscopio all’interno di quel famoso Collegio di Reggio nel quale era stato studente prima e insegnante poi, forse sotto la guida di un qualche padre gesuita esperto dilettante della materia. In effetti, in almeno tre occasioni Spallanzani fa riferimento nel suo epistolario agli studi evidentemente-non-troppo-amatoriali dei gesuiti, in relazione alla microscopia. E ci spiega infatti che uno dei suoi microscopi era appartenuto a un certo “padre Benincasa”; che un altro microscopio che stava testando era stato messo a punto da un altro “padre” non precisato; e infine che egli stesso aveva avuto modo di fare alcune osservazioni al microscopio “nella cella del padre Ag.ni”, ove era evidentemente conservata tutta la strumentazione occorrente.
È davvero possibile ipotizzare che siano stati i Gesuiti a nutrire e coltivare nelle loro celle il talento di Spallanzani, poi destinato a esplodere? Com’è, come non è: nel 1765, la sua confutazione sulla teoria della generazione spontanea frutterà allo scienziato di Scandiano una fama internazionale. Nel 1769 lo troviamo all’Università di Pavia, professore di Scienze Naturali nonché direttore del Museo di Storia Naturale ancor oggi visitabile (e godibilissimo). L’atmosfera vibrante e ricca di stimoli intellettuali, il confronto quotidiano con colleghi di alto rango, la possibilità di accedere quotidianamente a laboratori con strumentazione all’avanguardia: tutto ciò permette a Spallanzani di dare respiro al suo genio.
E di “genio” davvero bisognerebbe parlare, nel passare in rassegna tutte le intuizioni, tutte le scoperte, tutte le sperimentazioni in cui si lancerà lo scienziato.
Per approfondire il processo di digestione, l’eclettico studioso finirà col provocarsi il vomito a più riprese in maniera da poter estrarre da quello i suoi succhi gastrici; come se non bastasse, rischierà la sua stessa vita ingerendo dei piccoli bastoncini di legno scavato che contenevano al loro interno piccole quantità di cibo (una volta… recuperati, sarebbero diventati oggetto di attento studio per capire cosa era accaduto al cibo nascosto all’interno).
Sarà, comprensibilmente, sconvolgente per l’epoca venire a sapere che Spallazani era riuscito ad provocare la gravidanza in una cagna ricorrendo alla fecondazione artificiale (e poi ci stupisce che un genio così eclettico sia finito con l’ispirare il personaggio di uno scienziato pazzo capace di “dar vita” a una bambola, come nel racconto di Hoffmann?!). Susciteranno meno scalpore nell’opinione pubblica, ma saranno di non minore rilievo scientifico, molte delle altre scoperte cui Spallanzani perverrà negli anni: studierà approfonditamente la generazione sanguigna, intuirà il funzionamento del sonar che permette ai pipistrelli di volare anche se ciechi; analizzerà le pietre vulcaniche e le spugne marine; intratterrà una fitta corrispondenza con i più grandi scienziati della sua epoca.
Uomo dal carattere duro e poco incline ai compromessi, Spallanzani non teme di entrare in polemica o di assumere posizioni impopolari, se lo ritiene necessario (un atteggiamento che gli frutterà alcune feroci antipatie sul posto di lavoro, come ben descrive Paolo Mazzarello nel suo Costantinopoli 1786: di fatto, la cronaca d’un mobbing ante litteram).
Ciò che invece Spallanzani rifiuterà sempre di fare, è mescolare il piano della fede con il piano della sua ricerca di scienziato – cosa niente affatto scontata, per l’epoca. Anzi: gli scienziati che erano mossi da un sentimento religioso particolarmente inteso provavano, in quelle decadi, un vero e proprio gusto nell’inserire sottili questioni teologiche nei loro testi, a corollario delle teorie che stavano avanzando. Faceva così ad esempio il Bonnet, calvinista di fede ardente, e faceva così anche il già citato Needham, sacerdote cattolico a sua volta.
Spallanzani, al contrario, ben si guarda dall’unirsi a questi tipi di dibattiti: e anzi, se provocato in tal senso dai suoi corrispondenti, che più volte cercheranno di trascinarlo in discussioni di natura teologica, il sacerdote avrà sempre cura di lasciar cadere elegantemente la questione. Molto parco di considerazioni sulla sua vita religiosa in generale, Spallanzani rende allo storico, purtroppo, pressoché impossibile indagare più a fondo la sua vita di fede. L’unico frangente in cui Iddio viene citato – saltuariamente – negli scritti dello studioso è per sottolineare che la sua attività creatrice non avrebbe mai potuto provocare opere meno che perfette e dotate di perfetta logica – una logica che dunque lo scienziato può indagare con fiducia, attraverso sperimentazioni che gli permetteranno di cogliere infine le segrete, ma non oscure, leggi che regolano la natura.
Spallanzani morirà improvvisamente nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 1799. A lungo sarebbe stato ricordato per le sue scoperte senza precedenti; ma forse il tesoro più prezioso tra tutti quelli che Spallanzani ha lasciato ai posteri è proprio quello che accennavamo sopra: il metodo. Nel momento in cui lo scienziato chiudeva gli occhi, la biologia sperimentale si trovava in uno stato ormai già molto avanzato. Non certamente solo grazie a lui; e, tuttavia, certamente anche grazie anche a lui.
Lucia Graziano
Per approfondire:
Germana Pareti, Chi ha paura dell’uomo della sabbia?, in “Intersezioni, Rivista di storia delle idee” 3/2001, pp. 481-488
Ernesto Capanna, Lazzaro Spallanzani: At the Roots of Modern Biology, in “Journal of Experimental Zoology” 285/1999, pp. 178-196 (1999)
Carlo Castellani, Opere scelte di Lazzaro Spallanzani, UTET (1978).
Grazie Lucia, molto interessante!
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Grazie a te per l’attenzione 😀 Personaggio interessante, sì!
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