L’enigmatica figura di Melchisedek #sacrascrittura

Melchisedek è un enigmatico sacerdote che compare solo due volte in quello che è il nostro Antico Testamento, vale a dire in Gn 14,18 e in Sal 110,4. In Gn 14,18-20 viene presentato come re di Salem e sacerdote di Dio Altissimo. Questi incontra Abramo dopo lo scontro di quest’ultimo con i re orientali e gli offre pane e vino, poi lo benedice, ricevendone in cambio dal patriarca una decima di tutti i suoi beni. La designazione di Melchisedek come sacerdote dell’Altissimo indica probabilmente una sua origine cananea. Il suo nome significa “il mio re è Zedek” e potrebbe derivare appunto dal nome di una divinità cananea (Zedek). Tuttavia, le tradizioni successive interpretano spesso il nome di Melchisedek come “re della giustizia”. In Sal 110,4 Melchisedek è menzionato nel contesto dell’intronizzazione di un nuovo re. Gli studiosi ritengono che qui però l’appellativo stia ad indicare un titolo più che un vero e proprio nome personale. Il salmo collega i motivi del sacerdozio e della regalità, facendo in qualche modo di Melchisedek una sorta di archetipo del sacerdozio regale.
Forse proprio a causa della sua natura sostanzialmente enigmatica, la figura di Melchisedek e stata oggetto di spregiudicate elaborazioni sia nella letteratura ebraica che in quella cristiana. Nel cosiddetto Rotolo di Melchisedek (11Q13 o 11QMelch) proveniente da Qumran (risalente al I o II secolo a.C.), Melchisedek viene raffigurato come un essere celeste, uno degli elohim, designato ad essere il giudice escatologico nel Giorno dell’Espiazione alla fine del decimo giubileo. Il testo lo descrive come un liberatore dei giusti e un avversario celeste di Belial.
A differenza del testo a cui abbiamo appena accennato, né Filone di Alessandria né Flavio Giuseppe, che pure lo citano, assegnano a Melchisedek alcuno status di tipo sovrumano, ma lo indicano come un personaggio storicamente esistito, “un re pacifico e degno del suo sacerdozio”.

Verso il termine del periodo della storia del popolo ebraico noto come Secondo Tempio, la figura sacerdotale di Melchisedek fu utilizzata da alcuni gruppi ebraici per legittimare le loro rivendicazioni sacerdotali. Così 2 Enoc. un tardo apocrifo veterotestamentario composto con tutta probabilità nel I secolo d.C., tenta di incorporare l’enigmatico sacerdote e re nel quadro di una tradizione sacerdotale noachica attribuendogli alcune caratteristiche sacerdotali di Noè e una nascita miracolosa. Qui si racconta della nascita di Melchisedek dall’anziana moglie di Nir, un fratello di Noè, rimasta incinta miracolosamente. La donna muore prima di mettere al mondo il figlio, ma prima che Nir la seppellisca, Melchisedek viene fuori dal suo copro come un bambino dall’età apparente di tre anni e capace di parlare e pregare Dio. L’arcangelo Gabriele lo conduce poi nel Giardino dell’Eden, preservandolo dal Diluvio e facendo in modo che possa tornare sulla terra a tempo debito. In buona sostanza, la tradizione enochica utilizza le credenziali sacerdotali di Melchisedek per inserirlo nella genealogia sacerdotale dei discendenti di Enoc. L’antico status sacerdotale di Melchisedek si adatta bene, infatti, all’agenda antimosaica degli dei gruppi enochci, poiché egli ricoprì la sua carica molto prima che Mosè ricevesse le prescrizioni sacerdotali sul Monte Sinai. Nel trattato Melchizedek di Nag Hammadi (NHC IX,1), un’opera cristiana che contiene speculazioni su Melchizedek originariamente precristiane alle quali si sovrappongono ardite reinterpretazioni cristologiche, il nome di Melchizedek è nuovamente incorporato nell’elenco dei discendenti sacerdotali di Noè.

La tradizione rabbinica in qualche modo reagì a questa lettura enochica della figura di Melchisedek, tanto da reinserirlo nella linea sacerdotale “ufficiale” mediante una sua identificazione con il figlio di Noè, Sem. Le riflessioni teologiche su Sem-Melchizedek sono attestate in materiali targumici, talmudici e midrashici. I testi reinterpretano Gen 14,19-20 sostenendo che il sacerdozio fu tolto a Sem-Melchizedek e dato ad Abramo perché il primo diede la precedenza nella sua benedizione ad Abramo rispetto a Dio.
La Lettera agli Ebrei del Nuovo Testamento ritrae Melchisedek come un sacerdote senza genitori né discendenza, utilizzandolo come simbolo di quel sacerdozio celeste ed eterno a cui appartiene Cristo. Analogamente a 2 Enoc, l’epistola riprende la figura di Melchisedek per avanzare l’idea di una linea sacerdotale alternativa, più antica e superiore a quella che deriva da Mosè, Aronne e Levi. Tuttavia la natura precisa del paragone tra Cristo e Melchisedek rimane in qualche modo oscura. Alcuni studiosi hanno sottolineato come il parallelo tra Cristo e Melchisedek si riscontri anche nella nascita prodigiosa del primo che presenta notevoli analogie con quella del secondo così come la troviamo descritta nella tradizione enochica.

Adriano Virgili

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