Nel Vangelo secondo Matteo si narra di come, alla morte di Erode, Giuseppe, che era fuggito in Egitto con la sua famiglia per sottrarre il neonato Gesù alla Strage degli Innocenti, decise di tornare sui suoi passi, ma “venuto a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret” (Mt 2,22-23). Ma chi era questo Archelao che, secondo la narrazione dell’Evangelista, destava tanto timore nel cuore di Giuseppe?
Archelao era, appunto, il figlio di Erode il Grande (e di Maltace, la moglie samaritana di quest’ultimo, madre anche di Erode Antipa), nominato come successore al trono da suo padre proprio negli ultimi giorni prima della sua morte. Regnò pochi anni e Flavio Giuseppe (che ce ne parla sia nella Guerra giudaica che nelle Antichità giudaiche) ce ne fornisce un ritratto davvero a tinte molto fosche.
L’ultimo scorcio del regno di Erode era stato piuttosto turbolento. Poco tempo prima di recarsi a Gerico, dove poi avrebbe trovato la morte, il re, infatti, aveva fatto uccidere un gruppo di farisei responsabili dell’abbattimento di un’aquila d’oro che egli stesso aveva fatto porre sulla porta del tempio di Gerusalemme e che i pii giudei consideravano blasfema. Di conseguenza, Archelao si ritrovò a dover gestire una situazione decisamente esplosiva, con i suoi sudditi in forte agitazione per quanto era accaduto. Da principio, decise di mostrarsi accomodante. Flavio Giuseppe ci dice che prima della Pasqua del 4 a.C., Archelao si vestì di bianco, salì su un trono d’oro e si mostrò gentile con la popolazione di Gerusalemme, comunicando la sua intenzione di abbassare le tasse e liberare alcuni prigionieri. La cosa però si ritorse contro lo stesso Archelao. Forse in ragione dell’atteggiamento arrendevole del sovrano, il popolo cominciò a chiedergli di più, esigendo che fossero puniti coloro che avevano eseguito la condanna dei farisei che avevano abbattuto l’aquila d’oro. Fu chiesta anche la deposizione del Sommo Sacerdote. Il sovrano acconsentì a questa seconda richiesta, ma chiese di attendere fino a quando la sua successione al trono non fosse stata confermata dall’imperatore Augusto.
Archelao se ne andò quindi a banchettare con i suoi amici. Si fece sera e, con il calare delle tenebre, la situazione si fece ancora più tesa, tanto che il sovrano cominciò a preoccuparsi. Così, inviò prima un generale, poi degli altri messi e infine un tribuno al comando di una coorte di soldati per trattare con la folla che si faceva sempre più irrequieta. La risposta del popolo fu particolarmente ostile, tanto che gli inviati di Archelao furono presi a sassate e alcuni furono uccisi. A questo punto, il sovrano perse la pazienza e ordinò un attacco in forze da parte del suo esercito contro i sediziosi, che nel frattempo si erano radunati nel Tempio per compiere sacrifici. Flavio Giuseppe dice che in questa operazione persero la vita circa 3000 persone.
Dopo questo disastroso esordio, Archelao salpò per Roma per ottenere dall’imperatore la conferma della sua nomina a re. Qui però questi dovette affrontare l’opposizione di suo fratello Antipa, il quale reclamava il trono di Gerusalemme per sé, secondo quanto disposto da un precedente testamento di Erode. Sembra che anche gli abitanti della Giudea avessero inviato una delegazione presso l’imperatore, chiedendo che Archelao non fosse confermato come loro sovrano e che la regione fosse trasformata in una provincia sotto il diretto controllo di Roma (secondo molti esegeti, questo episodio avrebbe ispirato la storia che fa da sfondo a quanto leggiamo in Lc 19,12-27). Alla fine, Augusto confermò Archelao come sovrano della porzione maggiore di quello che era stato il regno di suo padre (cioè della Giudea, della Samaria e dell’Idumea), ma con il titolo di etnarca, anziché di re. A suo fratello Antipa andò il dominio sulla Galilea e della Perea, mentre a suo fratello Filippo andarono la Gaulanitide, la Traconitide, la Batanea, l’Auranitide e l’Iturea (entrambi assunsero il titolo di tetrarca).
La prima moglie di Archelao è indicata da Flavio Giuseppe semplicemente come Mariamne, forse Mariamne III, figlia di Aristobulo IV, da cui divorziò per sposare Glafira. Quest’ultima era la vedova di un altro fratello di Archelao, Alessandro, ed aveva lasciato il suo secondo marito, Giuba, re di Mauretania, per potersi unire all’etnarca. Tale matrimonio era contrario alla Legge (in quanto Gafira aveva avuto dei figli da Alessandro) e suscitò un profondo disappunto tra i giudei, i quali, anche in ragione delle continue crudeltà di cui il loro sovrano si rendeva continuamente protagonista, si lamentarono di lui con Augusto. A questo punto, era il 6 d.C., l’imperatore decise di intervenire e di deporre Archelao e mandarlo in esilio nelle Gallie, dove morì attorno al 18 d.C. Come già richiesto dai giudei dieci anni prima, il suo dominio fu trasformato in provincia romana.
Adriano Virgili
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