Io e gli altri: stare in comunità senza perdersi | #psyclub

L’incidenza delle aspettative

Il cristianesimo è una fede, più che una religione ma questo non implica che, per viverla al meglio, non possano esistere particolari modi di affrontare le situazioni che possono capitarci nella vita. Nelle diverse vocazioni, per esempio, possono capitare molti momenti di difficoltà. Se ci pensiamo bene, essi sono quasi sempre dovuti alla difficoltà di vivere relazioni adulte piene e autentiche.

Nel mondo cattolico, poi, la difficoltà aumenta perché spesso si pensa che “nella Chiesa certe cose non dovrebbero succedere”. E se in un certo senso è bello aspettarsi dalla Chiesa un tono diverso dal resto del mondo è anche vero che ciò può generare aspettative falsate. Non solo: anche prolungare i tempi di risoluzione delle problematiche perché “non ci dovrebbero essere” diventa automaticamente “quindi non ci sono”. La repressione, però, non è mai una buona idea.

Prendiamo per esempio questo brano (Gal 2, 11-14) dove San Paolo dice apertamente di aver litigato con San Pietro perché “evidentemente aveva torto”. San Paolo lamenta (leggendo tutto Gal 2 appare evidente) che San Pietro si è lasciato trascinare nel mischiare il cristianesimo con le tradizioni ebraiche – dimenticando che è Cristo la nuova legge che salva. Per di più, che per questo motivo tanta altra gente “va perdendosi” perché lo imita. San Paolo, quindi, decide di affrontare la questione con San Pietro a viso aperto. Il brano, purtroppo non riporta la risposta di quest’ultimo, nemmeno nella versione estesa. Questo, in realtà, può dirci già molto.

Stare in comunità: l’esperienza di San Paolo

A primo acchitto, potremmo anche essere tentati di dare ragione a San Paolo punto e basta. Da come scrive, infatti, sembra che San Pietro stia annacquando gli insegnamenti di Cristo. Approfondendo possiamo renderci conto però che le cose non sono così semplici. Leggendo il commento del Monastero Domenicano Matris Domini, per esempio, vediamo come San Paolo scrisse questa lettera tornando a Gerusalemme dopo 14 anni di predicazione al di fuori di essa. Lui stesso dice anche che, mentre gli era stato affidato il Vangelo per “i non circoncisi” (oggi li chiameremmo non credenti) a San Pietro era stato affidato quello per “i circoncisi” (ossia i credenti delle comunità già formate). Ora, lungi da me dire che San Paolo abbia sbagliato, vorrei fare un paio di considerazioni.

  1. Dal di fuori le situazioni sembrano sempre diverse da come sembrano dal di dentro. Intendiamoci, a volte spesso si ha ragione nel soffermarsi su certe criticità perché come si dice “si accorge della puzza nella stanza solo chi viene da fuori” però ci sono anche altri elementi che si perdono. Inoltre, vi è mai successo che qualcuno venisse da voi, con fare saputo, a dirvi “stai sbagliando, dovresti fare così” senza sapere né come, né quando, né perché? Come vi siete sentiti?
  2. Ci sono anche quelle volte in cui è chi è all’interno ad avere ragione, perché conosce meglio determinate dinamiche e le persone con cui con-vive;
  3. San Paolo e San Pietro avevano in affidamento porzioni diverse di missione e gli erano state affidate persone di tipo diverso, per dirla con il marketing avevano “target” diversi con esigenze diverse. Si può sicuramente dare un consiglio a un amico sulla base della propria esperienza, ma se la propria esperienza è completamente differente da quella di quella persona, siamo certi che sia il consiglio giusto?

Stare in comunità: consigli pratici

Queste situazioni non capitavano solo ai tempi dei primi cristiani, capitano ancora oggi. Nelle parrocchie, nelle congregazioni, nei gruppi, sul lavoro, in famiglia, ovunque perché – udite udite – siamo umani e la maggior parte delle volte pensiamo di avere ragione.

Come si possono superare? Ogni situazione è a sé, ma possiamo dare qualche consiglio generico:

  1. Quando pensate che qualcuno sbagli, usate i gradi della correzione fraterna – dal primo all’ultimo – e non ponetevi come i nuovi profeti che sanno. Quest’atteggiamento porta solo gli altri a chiudersi ancora di più, senza contare che anche fosse vero che voi siete migliori di alcuni in determinate cose, non significa necessariamente essere i migliori oppure di non deficitare in altre cose. L’umiltà – cristianamente intesa – è la prima cosa;
  2. Prima di dire la vostra parlate con i diretti interessati e fatevi spiegare le loro ragioni, le dinamiche che vedono loro e come vedono le altre persone in gioco, anche per verificare che entrambi abbiate una visione realistica;
  3. Riflettete su quanto vi è stato affidato e su quello che è affidato agli altri. Quali sono i vostri talenti? E quelli altrui? Pregi, difetti? Può essere che quel modo di fare, in quello specifico contesto, sia migliore? Magari quella persona lo ha pensato proprio per questo, a partire da sé… che non a caso è stata scelta per fare quella cosa invece che un’altra;
  4. Cercando di non imporre sé stessi sulla comunità, ma anche di non perdere sé stessi nella comunità: cambiare sempre per attuare consigli che non si condividono può portare a un atteggiamento passivo-aggressivo che, prima o poi, farà scoppiare una bomba incontrollabile.
  5. Idealmente: mettendo le persone a fare ciò che sanno fare meglio.

Vi siete mai trovati in una situazione simile? Come l’avete gestita?

Parliamone nei commenti!

Laura Zaccaro

Qui un altro articolo su questo argomento: “Ama il prossimo tuo come te stesso: il rispetto del diverso e dell’altro”.


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