“Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.”
Mt 18, 15-20
Con questo terzo articolo si conclude il trio che quest’anno avevo pensato per il Club Theologicum e sicuramente sono felice di essere arrivata al traguardo ma anche un po’ dispiaciuta per quanto sento che questa esperienza mi abbia dato, sia come “autrice in erba” che come fruitrice sia degli articoli che del clima dei vari gruppi ed eventi che ci sono stati. Arrivata alla fine, quindi, dopo aver parlato della sindrome del salvatore ” e di quella “di Pilato” mi è venuto in mente di trattare un terzo argomento che mi sembra perfetto per tirare le fila del discorso: il rispetto del diverso e dell’altro.
Perché sì, è vero che dentro di noi ci sono entrambe le tendenze (ed altre) ma è anche vero che a volte in ognuno una può essere più spiccata dell’altra e possiamo non capirci. Interpretando il mondo dal nostro punto di vista e basta, non riusciamo a comprendere quello altrui. Come fare, quindi, in epoca di guerra Russia-Ucraina, a credere ancora nel rispetto? E soprattutto, come applicarlo concretamente?
Riprendendo uno dei concetti di cui parlavo nella live sulle fasi dell’amore che abbiamo registrato insieme a Fra Gabriele Giordano Scardocci O.P. mi viene in mente innanzitutto che la prima fase della conoscenza con persone nuove – anche in ambito ecclesiale – può essere “frizzante”… finalmente abbiamo incontrato persone che condividono i nostri valori e sono disposte a collaborare per costruire un mondo più bello e il Regno di Dio… ma nei gruppi come nelle coppie, non esistono solo fasi idilliache… quando inizia la seconda fase possiamo renderci conto di non essere poi così uguali, di avere visioni della vita, politiche, orientamenti teologici tutti diversi… e che questo può creare conflitti. Certo, ci diciamo che le differenze devono essere una ricchezza e non un ostacolo, ma non sempre è così semplice, anche perché entra in gioco l’orgoglio.
È importante in questi casi pensare che non siamo “quelli arrivati” e che non dobbiamo necessariamente essere nel giusto. C’è una Verità Assoluta – ed è Cristo – ma per tante altre cose noi siamo esseri limitati e che si fanno un’idea delle cose principalmente a partire dalla propria esperienza. Quindi, ogni esperienza ha una sua dignità… e per questo possiamo esprimere assertivamente la nostra opinione (che vale quanto quella altrui) ma appunto senza diventare aggressivi, né passivi. Dotati di spirito collaborativo, è opportuno spegnere sul nascere focolai di discussione su questioni inutili (ma non quelli su questioni importanti che, al contrario, vanno risolte) e concentrarsi sulle cose più importanti. Il gruppo deve avere, dunque, delle priorità e degli obiettivi sui quali e per i quali collaborare che siano l’espressione e il “compromesso” delle istanze di tutti – sempre tenendo in conto che non si può deviare dalla Verità. La cosa però che può, più di tutte portarci al rispetto è l’amicizia. Perché? Perché essa aggiunge agli obiettivi per cui si collabora e alle conoscenze che si condividono, l’affetto. Non sappiamo semplicemente cose dell’altro, non lo chiamiamo solo per organizzare il cineforum del mercoledì sera sulla teologia di Benedetto XVI post abdicazione, ma gli vogliamo bene e sentiamo la voglia di coinvolgerlo nella nostra vita. Proprio in quella vita frenetica di cui a volte ci sentiamo schiavi, tra una scadenza di lavoro e un pannolino da cambiare. Un consiglio pratico per farlo, che ho desunto guardando uno studio condotto nel 2010 sulla necessità dell’amicizia per ridurre il tasso di mortalità[1] (ebbene sì, sono gli amici l’elisir di lunga vita… non il botox!) è di passare del tempo di qualità nei gruppi che non sia necessariamente legato a obiettivi pastorali. Pensateci: quand’è l’ultima volta che avete mangiato una pizza con il vostro gruppo pastorale SENZA parlare della parrocchia? O che siete andati a bere una birra con i ragazzi a cui fate da educatori, parlando di League of Legends? Nello studio si dice che nella vita adulta è molto più difficile stringere amicizia per mera mancanza di tempo – perché nasca l’amicizia ci vogliono ben 200 ore passate insieme – e allora per imparare a rispettarci, visto che siamo adulti e viviamo una vita da tali, dobbiamo renderci conto che… probabilmente non ci conosciamo. Non è colpa nostra, ma della vita frenetica che viviamo, vero… ma se è giusto trovare del tempo esclusivo per pregare e stare davanti al Santissimo, non è giusto anche trovarlo per costruire amicizie vere tra di noi? E se provassimo a inserire questi incontri come appuntamenti fissi come facciamo, appunto, con le équipe pastorali? Nelle coppie genitoriali già si consiglia di prendersi tempo – scritto sul calendario – per la coppia… perché no, quindi?
Laura Zaccaro
[1] Social Relationships and Mortality Risk: A Meta-analytic Review di Julianne Holt-Lunstad, Timothy B. Smith, J. Bradley Layton – https://journals.plos.org/plosmedicine/article?id=10.1371/journal.pmed.1000316 2010
L’ha ripubblicato su chiamatelaneuroe ha commentato:
Carissimi, ripubblicò qui il mio nuovo articolo uscito proprio oggi sul sito del Club Theologicum. Spero possa piacervi!
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