Tu non hai dato paralisi alle mie mani
Di chi ti percuoteva con i pugni
il capo Benedetto
tu che il fico infruttuoso hai inaridito –
per rivelarmi
il tuo perdono in esempio.
tu non ti sei irritato
contro la cattiveria di coloro
che ti colpivano con Il flagello –
tu proclamato Dio,
tu che oscura sti il sole –
per dare beneficio alla mia morta anima
e concederle pace.
non congelasti le labbra
di coloro che ti ingiuria vano
con ipocrite accuse –
Tu che tingesti con color di sangue
la faccia della luna-
perché si irrobustisce la mia lingua
timida nel lo darti.
non hai rimproverato
col tuo sdegno
chi ti obbligava iroso –
tu in grado di mutare gli elementi-,
così da ungere la mia povera testa
con l’olio della tua Misericordia.
Non hai slogato non è frantumato
agli assassini di Dio le mascelle –
tu che spezzi le due rocce -,
così da liberare la mia povera
anima dalla sua frivolezza.
tu non hai rovesciato né inghiottito
negli abissi profondi della terra
chi sigillava la tua tomba,
così da far riposare nel sacello
della mia anima
un atomo di luce.
Benedetto due volte,
e benedetto di nuovo,
È sempre Sii Lodato
nei secoli dei secoli.
LA SECONDA STANZA DELLA POESIA.
Entriamo nella seconda stanza. Interessante che nella poetica di San Gregorio, la seconda stanza riprende il tema della palma della mano. Che era presente nella prima stanza.
Qui si dice che non c’è paralisi delle mani del peccatore che percuotono Gesù. Delle labbra che lo maledicono, dei flagelli che lo dilaniano. Il centro di tutto mi viene da dire è allora l’uomo peccatore. Che colpisce ancora quella mano?
La risposta chi sembra più corretta è quella: fermarsi sulla mano di Gesù martoriata dalla passione.
Vediamo.
La palma della mano è espresso in una forma grammaticale strana. Un genitivo soggettivo. Come sapete non conosco l’armeno
Ma nel Signore c’è ance un radunare, creare e inchiodare. Infine spezzare l’audacia; poichè Dio è una sostanza e tre persone: secondo la legge trinitaria fondamentale, dove c’è il Padre c’è anche il Figlio e lo Spirito santo. Si chiama mistero della pericoresi o circuminsessione. Detto in parole povere uno non può stare senza l’altro usando altre nozioni chiamati appropriazioni.
Le appropriazioni trinitarie sono una modalità di riferirsi alla Trinità: consiste l’ attribuire ad una persona trinitaria in modo privilegiato una qualità che in realtà è comune a tutte e tre; si appropria dunque per meglio pregare e contemplare la Trinità.
In questi versi poetici diciamo che per appropriazione c’è tutta la trinità: perché c’è il creare, generalmente appropriato al Padre, inchiodare, che richiama la passione in sé e generalmente è appropriato al Figlio; infine il radunare, come raduno nell’amore, tipicamente appropriato allo Spirito: è lo spirito che raduna la Chiesa
Dunque nella passione siamo radunati come chiesa, chiamati da tutta la Trinità
Ma quel raduna ha anche un secondo senso: richiama anche la figura del pastore.
Questo richiama la figura del pastore di Galla Placidia che porta la croce come vincastro e quindi il pastore che raduna le pecore tramite il sigillo della croce, tiene la croce e quindi che con il suo braccio raduna il gregge proprio attraverso la croce. Questo richiama chiaramente il testo di Isaia:
porta gli agnellini sul petto
e conduce pian piano le pecore madri
sono immagini tenerissime
Ma quella palma della mano che raduna mi suscita questa immagine di tenerezza paterna; torna di nuovo lo spezzare l’audacia di chi si oppone alla volontà del Padre. Un’audacia che non porta a nulla perché si oppone di nuovo alla mano creatrice.
Perchè opporsi? Se lui mi ha creato… sa anche quale è il mio fine? In effetti è una dinamica già presente nel gregge e nell pastore: la pecora che si smarrisce lo fa per audacia sua per uscire dal gregge, senza rendersi conto che quello non è il suo vero bene. Lo stesso Giovanni nel suo vangelo ci dice che la volontà del padre è che nessuno si perda non essere nella sua volontà… equivale a dire perdermi, perdere me stesso e la mia natura. Senza futuro, Senza orizzonte di senso.
Infine quando il Narek scrive della crocifissione e morte di Gesù descrive il particolare delle rocce che si spezzano; se si spezzano le rocce, quanto più si spezzerà il cuore indurito; in un racconto della passione parla del velo del tempio che si spezza, così le rocce i morti che risorgono (Mt 21,51). Di nuovo è il richiamo a spezzare l’audacia.
Il focus centrale è allora l’idea che bisogna farsi aiutare, educarsi a spezzare i legami negativi contro Dio, come fossero catene da rompere mediante la Croce di Cristo.
È il richiamo all’umiltà e alla educazione delle virtù per non perdere sé stessi. Perché tutto il corpo e l’anima possano entrare nella luce del Signore Benedetto ne secoli dei secoli.
L’invito è sempre più vivo che mai.
Fr Gabriele Scardocci OP
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