Uno sguardo sull’autrice
Sofia Vanni Rovighi, autrice dell’opera, è stata una storica della filosofia, nata a san Lazzaro di Savena (Bo), il 28 settembre 1908 e scomparsa a Bologna nel 1990. Figlia di un ingegnere, dopo la fanciullezza trascorsa a Firenze, nel 1922 si trasferì a Bologna e l’anno successivo a Milano, dove frequentò il liceo classico Berchet. Nel 1926, dopo una maturità classica conseguita a pieni voti, si iscrisse alla facoltà di Filosofia dell’Università Cattolica meneghina. Si iscrisse alla FUCI, collaborando alla sua rivista; già dai tempi dell’università, la vediamo interrogarsi sul ruolo dell’intellettuale nella società civile e nella Chiesa.
Dopo la laurea, iniziò subito d insegnare nella facoltà di Magistero (l’antenato di Scienze della Formazione), presso l’università Cattolica a Castelnuovo Fogliani (PC).
Dal 1948 al 1978, insegnò in Università Cattolica (Storia della filosofia, Filosofia morale e – negli ultimi anni – Filosofia teoretica). Con Armida Barelli, fu tra le prime donne a prendere parte ad un insegnamento accademico di filosofia; con i professori Francesco Olgiati, Ludovico Necchi, Amato Masnovo e Gustavo Bontadini[1], esse costituirono il nucleo culturale fondativo, contribuendo a formare l’identità della neonata università Cattolica di Milano (fondata nel 1921 da padre Agostino Gemelli, che ne fu anche il primo rettore, fino alla morte, occorsa nel 1959). Trasferitasi a Bologna, che considerava più «umana»[2], fino al 1982 continuò ad insegnare filosofia.
Oltre ai suoi studi sull’antropologia di san Tommaso, la ricordiamo per i suoi studi sulla filosofia medievale, che hanno riguardato, tra gli altri: i maestri francescani, Anselmo d’Aosta (in particolare, sul concetto di ragione e sulla riflessione morale), Pietro Aureolo (per la dottrina dell’intenzionalità). Per quanto riguarda la filosofia moderna, essa si applicò, in particolare, all’approfondimento di E. Husserl (di cui ha analizzato e utilizzato soprattutto il concetto di intenzionalità e di intuizione eidetica, in rapporto alla ricerca sulle strutture della coscienza e sui fondamenti della logica e dell’ontologia). Si dedicò, inoltre, a M. Heidegger, alle origini fenomenologiche della sua filosofia e alla sua interpretazione di Kant.
L’opera
Nell’opera scelta, l’autrice intende illustrare lo sviluppo del pensiero tomista sull’antropologia, soffermandosi sulle peculiarità che lo differenziano dagli autori coevi e sulle innovazioni sia rispetto ad altri interpreti del pensiero aristotelico, sia rispetto ad altri filosofi di impostazione neoplatonica. In particolare, la studiosa interpreta il tentativo di Tommaso come quello della realizzazione di un’«antropologia filosofica su basi aristoteliche, nel mondo cristiano», il cui «elemento caratteristico» è «l’unità della forma applicata all’uomo». In questo modo, agli occhi di Tommaso, sarebbe stato possibile, infatti, al contempo, salvaguardare la spiritualità dell’anima, ma anche mostrarla come principio fondamentale: considerarla forma, sussistente ed unica, consente di rendere giustizia all’«esperienza di quel che è l’uomo»[3].
Vicenda editoriale
Il testo compare per la prima volta nel 1951, edito da Vita e pensiero, l’editrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con sede a Milano, in un modesto numero di copie. Fu presentata un’edizione ampliata, con l’aggiunta, in appendice, di una selezione di testi tomistici riguardanti alcuni argomenti (spiritualità dell’anima e sua unione col corpo), in occasione del corso di Storia della filosofia, erogato durante l’anno accademico 1964-65 – come spiegato anche nella premessa al testo –. Una delle ultime ristampe in circolazione è rappresentata dall’edizione del 1972, sempre ad opera di Vita e Pensiero. Attualmente, è presente nella bibliografia del corso di antropologia filosofia del docente Marco Salvioli, presso lo Studio Filosofico Domenicano di Bologna oppure del medesimo corso, tenuto dal docente Romano Pietrosanti, attivato presso la facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana di Roma, così come nella bibliografia per l’esame orale di licenza della Pontificia Università Gregoriana di Roma.
La struttura
In un libretto di dimensioni non eccessive, la studiosa struttura il proprio lavoro in cinque capitoli, anticipati da un’introduzione. In questa, essa evidenzia la novità di Tommaso (rispetto ai propri contemporanei e, in particolare, rispetto al ruolo dominante della filosofia neoplatonica, in particolare veicolata dal prolifico Agostino) nel soffermarsi sull’unità dell’uomo: la spiritualità dell’anima era infatti, per così dire, un guadagno ormai consolidato del pensiero occidentale; non altrettanto si poteva dire, però, della relazione di questa con il corpo e – conseguentemente – della concezione complessiva dell’uomo che ne poteva scaturire.
Per i moderni, è più facile sentire “vicino” il pensiero agostiniano perché fonda la propria riflessione sull’analisi fenomenologica della vita cosciente. Tommaso, da un lato accoglie l’inquadratura metafisica dell’antropologia neoplatonica, in particolare per ciò che riguarda le creature spirituali e la provenienza dell’uomo da Dio, dall’altro, assecondando la lettura aristotelica dell’anima quale principio vitale nell’uomo e della sua dottrina gnoseologica, si trova a dover giustificare come sia possibile l’unione dell’anima umana, spirituale, con un corpo che è materiale.
Sintesi
Capitolo 1: il mondo spirituale
Gilson aveva già rilevato le tre fonti, da cui Tommaso prende le mosse: dalla Rivelazione la realtà spirituale degli Angeli, dalle teorie astronomiche aristoteliche le Intelligenze separate, dalle filosofie arabe le intelligenze motrici come intermedi neoplatonici. Tommaso rintraccia in vari filosofi, sia classici (Anassagora, Platone, Aristotele) sia medievali (Avicebron, Avicenna) alcuni punti in comune, per cui ricava che, essendo il bene che una creatura si assimili a Dio e la conoscenza di Dio spirituale, sia possibilità l’esistenza di enti unicamente spirituali.
La teoria neoplatonica ne spiegava l’esistenza tramite emanazionismo, teoria che, però risultava incompatibile con la creazione cristiana, per il suo carattere di necessità. Particolarmente, nel De Potentia, Tommaso elabora allora una differenza, all’interno della necessità, che può essere assoluta (quando qualcosa non può non essere – vale solo quando la volontà di Dio ha per oggetto Dio stesso), oppure ipotetica (di per sé, potrebbe anche non essere, ma è necessaria solo se posta una certa condizione – vale per tutto il resto, nel senso che si tratta di enti ordinati ad un fine per cui, posto il fine, essi diventano necessari: essendo la bontà di Dio perfetta, essa non necessita di altro oltre a sé, ma, una volta che esprime un volere, non può contraddirsi). Gli enti discendono, dunque, da Dio, che li ha liberamente voluti, nel modo in cui li ha voluti.
Al contrario di Avicebron, tuttavia, per Tommaso, le sostanze spirituali non vedono unione di materia e forma, bensì sono forme pure ed incorruttibili. Se, nelle sostanze materiali, la forma è costituita dal suo modo di essere, le sostanze intellegibili sono forme sussistenti e quindi incorruttibili, in quanto ontologicamente dipendenti da una volontà divina che dona loro l’essere in modo continuativo.
Capitolo 2: la spiritualità dell’anima
Se l’anima è una forma sussistente, come si dice per le intelligenze angeliche,come considerare il fatto che, però, l’uomo non è solo anima e, per lui, il corpo è una parte rilevante della sua esistenza, poiché da esso dipendono anche le percezioni da cui ricava la conoscenza?
Tommaso risponde che l’anima è il principio vitale dell’uomo e ne costituisce anche la forma, in quanto principio che specifica l’ente e lo toglie dall’anonimato, differenziandolo.
Se Agostino dà dimostrazione della spiritualità dell’anima tramite l’intelligenza di sé, nella conoscenza (dottrina dell’illuminazione), Tommaso utilizza un metodo diverso. Anzitutto, al contrario di Alessandro d’Afrodisia. Interpreta il νοῦς, principio primo, come spirituale. Infatti, pur riprendendo la dottrina di Avicenna, che propone la distinzione tra intelletto agente ed intelletto possibile, non concorda che il primo sia una sostanza separata ed unica. L’anima intellettiva, oltre ad essere (o, meglio: in quanto è) forma sostanziale del corpo, è unica per ogni individuo e, pur principiando la propria esistenza col corpo, la prosegue al corrompersi del corpo, poiché è immortale.
Se l’anima possiede capacità di essere attiva, in modo indipendente rispetto al corpo, è conveniente pensare che essa possa essere sussistente. Riflettendo sugli aspetti della conoscenza intellettiva, risulta, in particolar modo, la conoscenza dell’universale come aspetto di rilievo che manifesta indipendenza dell’anima dal corpo, in quanto essa può astrarre l’essenza di ogni cosa in modo immateriale e sussistente. Se l’anima è sussistente per il modo in cui conosce l’universale, allora è ragionevole attribuirle i caratteri propri della sostanza, per cui non si può ritenere che sia corruttibile o dipenda (in senso ontologico) dalla materia corruttibile.
Inoltre, il desiderio, che ci abita, è segno della natura finalizzata dell’uomo verso l’incorruttibilità, per cui va considerato che l’anima umana, sostanza del corpo, indichi il fine ultimo della natura umana. Infatti, al contrario dell’anima degli animali (che non esiste per sé), l’anima degli uomini è sussistente, in quanto l’anima è essenza del corpo, ma non è il suo essere e, siccome “tutto ciò la cui essenza non è il suo essere, è causato”[4], dobbiamo supporre come causa la creazione di Dio. L’anima, quindi, è sussistente ed immateriale e comunica al corpo l’essere: non deriva da alcuna altra materia, per cui si deduce che sia stata creata da Dio.
Capitolo 3: l’unione dell’anima col corpo
L’anima vegetativa e sensitiva sono considerate, nell’aristotelismo, materiali, al contrario dell’anima intellettiva. L’intelletto possibile, invece, non solo è considerato spirituale, ma anche unico per tutti gli uomini e separato dal corpo. L’anima sensitiva, con facoltà cogitativa, si unisce all’unico intelletto possibile, per dare vita al pensiero. Questa teoria di Averroè salva la spiritualità dell’anima, ma il singolo uomo diventa strumento dell’unico intelletto possibile (rivelando il rischio della s-personalizzazione degli individui).
Intelletto possibile ed intelletto agente sono substantiae, cioè sono – tra loro – separate, ma agiscono come potenze di uno stesso soggetto. Avicenna elabora una distinzione più marcata, per cui l’intelletto possibile è unito nell’essere, mentre l’intelletto agente è separato, unico ed illumina i singoli intelletti, affinché conoscano.
L’averroismo successivo, tuttavia, non interpreta come distinti intelletto agente e possibile, bensì come due facoltà dell’anima. Per l’Aquinate, al contrario di Averroè, l’uomo (così come ogni altra natura) contiene in sé l’elemento (forma sostanziale) che gli consentono di svolgere le attività che gli sono proprie”[5]: per questo, ritiene che sia l’intelletto agente che l’intelletto possibile siano rinvenibili in lui.
Per Tommaso, l’anima intellettiva è forma sostanziale del corpo, perché è essa che definisce ciò per cui il soggetto (cioè, l’uomo) opera e, poiché la conoscenza avviene tramite il corpo (con cui si avvertono le percezioni), l’anima (intellettiva) è da considerarsi principio dell’uomo integralmente considerato, dal momento che l’uomo, senza il corpo non può conoscere, ma è l’anima che consente l’attività della conoscenza, che specifica la natura propria dell’uomo. Ad Averroè, che interpone un unico intellectum, tra l’intelletto e i singoli individui, Tommaso ribatte con la differenza tra unione intenzionale e unione fisica: l’intelletto, essendo un concetto, è spirituale (al contrario dei fantasmi della conoscenza, che sono, invece, corporei).
Al contrario di Bonaventura, che ritiene che l’anima sia unione di materia e forma, Tommaso ipotizza invece che sia pura forma, dal momento che, in caso contrario, si sosterrebbe che l’uomo sia costituito solo di anima, oppure, nel caso in cui si attribuissero materia e forma sia ad anima che a corpo, si ipotizzerebbe la presenza, nell’uomo, di due enti (l’anima e il corpo, tra loro scissi). Resta infatti come considerare l’unione dell’anima con il corpo, vista la differente composizione tra i due.
Capitolo 4: l’anima-unità e l’anima-forma
Tommaso sviluppa la teoria dell’unicità della forma sostanziale: corpo ed anima non sono due sostanze esistenti in atto, perché l’anima è ciò che fa essere il corpo in atto.
Tommaso affronta nella “Somma Teologica”, l’unicità dell’anima umana (Prima Pars, Quaestio 76, articolo 3) e l’unicità della forma sostanziale (all’articolo 4)[6]. La presenza dell’anima vegetativa, sensitiva e intellettiva sembra preludere alla presenza di tre anime; Tommaso pare riuscire a conciliare la questione, senza rinunciare all’embriologia aristotelica: l’anima è unica, con diverse potenze e l’anima razionale “assorbe” le precedenti. Al contrario di quanto afferma Alberto Magno, che specifica la presenza di una virtus formativa, prima dell’acquisizione dell’anima razionale, per l’Aquinate, avendo ogni vivente un’unica anima, questi ha anche un’unica forma. Dal “Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo”, desumiamo che Tommaso denota l’anima come forma sostanziale, in quanto consente all’uomo di essere, ma anche: consente l’essere.
Tommaso riprende da Alberto Magno, suo maestro, la distinzione tra anima come forma del corpo e anima come motore, che funge da causa efficiente per le attività del corpo animato. Se l’anima è forma del corpo, essa non solo comunica l’essere all’uomo, ma consente l’unità al composto (anima e corpo dell’uomo, che compongono un’unica sostanza – ente –). Proprio in ciò (l’unità della forma sostanziale) consiste l’innovazione di Tommaso, sia nei confronti dei propri contemporanei, sia rispetto all’aristotelismo: applicare l’unità della forma all’uomo gli consente, infatti, da un lato di salvaguardare la spiritualità dell’anima, dall’altro di proporla come principio fondante l’uomo.
Capitolo 5: le attività dell’uomo
Considerare l’anima quale forma sostanziale del corpo consente di risolvere diversi problemi, come la modalità di unione con il corpo: in particolare, elimina gli intermediari (che sarebbero stati necessari, presupponendo anima e corpo come due sostanze). La conoscenza è la presenza immateriale del conosciuto nel conoscente, che può presentare diversi gradi di immaterialità, di cui il più elevato è quello degli enti presenti nell’intelletto.
La conoscenza inizia sempre da quella sensitiva, che si compone, oltre che dei cinque sensi esterni, di quelli che Tommaso chiama i quattro sensi interni (senso comune, immaginazione, estimativa – per gli animali – e cogitativa – per le persone, memoria sensitiva). L’intelletto umano ha la capacità di conoscere tutto l’essere, a partire dall’esperienza sensibile; al contrario degli angeli, che hanno in atto la capacità di conoscere, l’uomo è pura potenza.
Se, in Platone, il passaggio dalla potenza all’atto è da attribuirsi alle idee, per Tommaso è l’intelletto agente che astrae l’universale dagli oggetti individui, per permettere all’uomo la conoscenza: la conoscenza intellettiva corrisponde alla scoperta dell’intelligibilità delle cose, cioè della possibilità che l’uomo ha di conoscere le cose materiali in modo immateriale. Inoltre, l’uomo, conoscendo, impara anche a conoscere sé: non ha infatti – di sé – una conoscenza diretta, ma è nel conoscere che acquisisce coscienza di sé come essere in atto.
Se Platone vede l’anima come separata e separabile dal corpo, dal momento che, tramite un’ascesi, può liberarsi dal “carcere” del corpo, per raggiungere le realtà intellegibili, Tommaso inizia la propria speculazione dall’immortalità dell’anima, il cui oggetto di conoscenza (in questa vita) è l’esperienza sensibile («sentire autem non est sine corpore»[7]).
La coscienza comprende in sé non solo la potenza conoscitiva, ma anche la tendenza (appetitus, tra cui l’appetito sensitivo, che può essere irascibile o concupiscibile). Oggetto della volontà è il fine ultimo dell’uomo (cioè, la beatitudine), che si può esprimere come exercitum actus (come la possibilità di volere oppure non volere), o come specificatio actus (la possibilità di volere, tra due opzioni concorrenti). Nell’esercizio dell’atto, la volontà si volge al fine che le è proprio ma è necessaria una deliberazione (consilium) per scegliere i fini intermedi che possono condurre al fine ultimo. Solo l’uomo, in quanto dotato di ragione, può considerarsi libero. La ragione effettua una libera scelta, considerando ogni singolo come bene o come difetto di bene (perché nessun oggetto è il bene assoluto, per cui l’elezione consiste nello scegliere un oggetto come un bene intermedio che conduca al bene). Si può, quindi, in un certo senso, affermare, che è possibile interpretare la libertà umana come un caso particolare del finalismo della natura.
Qualche spunto per un’analisi dell’opera
Tommaso elabora un aristotelismo “spurio”, accogliendo o respingendo le tesi del filosofo in base a ciò che primariamente costituiva la sua occupazione primaria: chiarire le verità di fede. Ecco perché un posto non meno rilevante in ciò rivestono le riflessione dell’aristotelismo posteriore al pensatore greco e, nondimeno, la speculazione dei Padri della Chiesa e, in particolar modo, di Agostino. Sarebbe ingenuo – e lungi dalla verità – l’illusione di poter analizzare Tommaso senza considerare chi l’ha preceduto, specie se si tratta di un predecessore illustre come Agostino, il cui debito è immenso in tutta la filosofia occidentale.
A mio avviso, non può essere sottovalutato l’apporto del pensiero cataro, che approda nei territori continentali europei negli anni Trenta e Quaranta del XII secolo. È spesso, infatti, citata come riferimento cronologico una lettera occorsa tra Bernardo di Clairvaux ed Evervino di Steinfeld, prevosto premostratense, di datazione discussa ma in ogni caso compresa tra il 1143 e il 1147[8], anche se non vi troviamo una denominazione esplicita, che possiamo rinvenire, invece, per la prima volta in Occidente, nel Liber viarum di Elisabetta di Schönau (1156/57). Abbiamo, poi, notizia di un processo e di una condanna al rogo a Colonia, nell’agosto del 1163[9].
Fino a quel periodo, l’incontro con il pensiero dualista era avvenuto prevalentemente attraverso il manicheismo, cui si era dimostrato particolarmente sensibile lo stesso Agostino. Tuttavia, complessivamente, si può dire, che, complice anche il fatto che, fino al XII secolo, buona parte degli scritti aristotelici erano ancora ignoti in Occidente (mentre erano stati studiati da diversi filosofi di cultura araba), la maggioranza dei pensatori cristiani, ritenne più vicino al cristianesimo il pensiero filosofico di Platone. L’emersione, con la relativa diffusione, del catarismo, in territorio europeo porta il pensiero cristiano, oltre alla dottrina cristiana, a dover far fronte ad uno degli attacchi più radicali. Perché la svalutazione della materia che pone in atto il dualismo dei “catari” mette in discussione, innanzitutto, la realtà dell’incarnazione e la “santissima umanità del Figlio di Dio”[10], che è – da questi ultimi – negata.
L’unione di questi fattori storici, tra gli altri, contribuisce a meglio percepire l’atmosfera culturale in cui si muoveranno i domenicani, dalle origini, fino almeno alla generazione di Tommaso. Infatti, seppure è da considerare che la biografia di Tommaso ci racconta un giovane e brillante napoletano, originario del Regno delle Due Sicilie, che affronta i suoi primi studi culturali e filosofici presso il monastero benedettino di Montecassino[11], è altrettanto vero, però, che, successivamente (non senza vivaci contrasti con la famiglia d’origine) entra nell’Ordine dei Predicatori, studia a Parigi e ha quale maestro Alberto Magno, di origine germanica. Innanzitutto, la storia dell’Ordine dei Predicatori. Fin dalle origini, con Domenico, vede nella lotta contro l’eresia catara una delle ragioni principali della sua stessa esistenza: probabilmente, prima del 1206 (abbiamo un documento di Berengario, arcivescovo di Narbonne, del 17 aprile 1207[12]) fonda, infatti, una casa di monache a Prouille (nel Tolosano), tra i primi frutti della predicazione del gruppo di Domenico. È vero: Tommaso appartiene alla generazione successiva, rispetto a Domenico, quando ormai l’Ordine ha conseguito una certa stabilità istituzionale e un certo prestigio; tuttavia, considerando la mobilità nel Medioevo e la conseguente – rispetto alle nostre abitudini attuali – relativa lentezza nel veicolare le novità culturali, riesce difficile pensare che, pur scrivendo la Somma Teologica tra 1265 e 1273 e la Somma contro i Gentili tra 1258 e 1264, esse non abbiano risentito, nella loro elaborazione, – quanto meno – dell’influenza remota di questi eventi.
Osservazioni conclusive
L’opera, in modo sinteticamente lucido, riesce a mettere in luce le potenzialità e le innovazioni della riflessione antropologica tomista, sia in rapporto al contesto storico-culturale del proprio tempo, sia in relazione alle successive riletture effettuate da alcuni autori neotomisti.
Muovendo da un contesto in cui prevaleva senz’alcun dubbio un’impostazione neoplatonica sia della psicologia che della gnoseologia, Tommaso oltrepassa le conquiste del proprio maestro Alberto Magno, proponendo un sistema che, ancora oggi, mantiene la sua attualità. Ancorandosi solidamente a due principi dai quali la Rivelazione gli impedisce di disgiungersi, cioè l’immortalità e la spiritualità dell’anima, Tommaso riesce però a smarcarsi da alcuni assunti ormai consolidati in altre correnti dell’aristotelismo (uno su tutti: l’intelletto possibile, separato e unico per tutta l’umanità). In tal modo, Tommaso pone le basi per alcuni concetti che diverranno capisaldi del pensiero occidentale: il ruolo dell’individuo, l’azione della volontà nelle libere scelte dell’agire umano, l’autocoscienza del proprio conoscere, l’interazione rilevante del corpo, dei sensi e degli appetiti nella prassi gnoseologica dell’essere umano, l’apporto decisivo della ragione come proprium specifico e costitutivo dell’essere umano, che lo rende unico e incomparabile con qualunque altra creatura, spirituale o materiale, esistente.
Sottolineerei due aspetti attuali del pensiero tomistico. Anzitutto, la «profonda unità dell’uomo»[13], drammaticamente necessaria in una società, come quella occidentale, che tende a disgregare non solo la comunità, ma anche lo stesso individuo, che pare trovare rilevanza non certo per la sua unicità creaturale, ma visto, piuttosto, unicamente come “consumatore”. In modo tangenziale, ne consegue anche una valorizzazione del corpo, che, di fronte al pensiero di “nuovi catari” che piegano persino l’oggettività del corpo, in nome di un imperante ‘emotivismo’.
Concordo con l’autrice nella sua constatazione che l’antropologia filosofica di Tommaso sia «dominata da una sana esigenza naturalistica»[14]: ciò si rivela particolarmente decisivo, in un momento culturale come il nostro, in cui il rischio di scollarci dal senso di realtà, inseguendo percezioni, sensazioni ed emozioni individuali, assurte a unico modello di interpretazione della realtà che ci circonda, ci conduce verso la possibilità sempre più reale di quella incomunicabilità preannunciata (quasi “profeticamente”) nel capolavoro di Simon e Garfunkel, Sound of Silence[15].
Maddalena Negri
Bibliografia e sitografia di riferimento
- AA.VV., Enciclopedia Treccani, Sofia Vanni Rovighi
- AA.VV., Enciclopedia Treccani, Alberto Magno
- American Songwriter: The Profound Meaning Behind Simon & Garfunkel’s “The Sound of Silence”
- Hildegardis Bingensis, Epistolarium. Pars tertia: ccli-cccxc, edd. L. Van Acker (†), M. Klaes-Hachmöller, Brepols, Turnholti 2001 (Corpus Christianorum Continuatio Medievalis, 91B)
- Festa – Rainini, L’ordine dei predicatori. I Domenicani: storia, figure, istituzioni,Laterza, Roma-Bari, 2016
- J. P. Migne, Patrologia Latina, vol. 182 Turnholti, 1983
- M.P. NEGRI E A. TARABOCHIA, Sofia Vanni Rovighi: filosofia per la vita, Milano, Prometheus, 2019
- M. Rainini, Sanctissimam humanitatem Filii Dei negant : Ildegarda e gli eretici fra visione e teologia in Germania nel xii secolo, Rivista di storia del Cristianesimo, 17/2/2019, Morcelliana
- TOMMASO D’AQUINO, La somma teologica, Prima Parte, ESD, Bologna, 2014, p.821
- TOMMASO D’AQUINO, Somma contro i Gentili, Libro 2, Capitolo 87, secondo paragrafo, UTET, Torino, 1997, p. 503
[1] Di Olgiati e Masnovo fu anche allieva, anche se considerò specificamente il secondo quale suo maestro, che ricorda con gratitudine, per averla introdotta ai testi di san Tommaso.
[2] M.P. NEGRI – A. TARABOCHIA, Sofia Vanni Rovighi: filosofia per la vita, Milano, Prometheus, 2019, p. 31
[3] S. VANNI ROVIGHI, L’antropologia filosofica di S. Tommaso d’Aquino, Vita e Pensiero, Milano, 1965, p. 61
[4] S. VANNI ROVIGHI, op.cit., p. 34, con riferimento a II Contra Gent., cap. 87
[5] S. VANNI ROVIGHI, op.cit., p.
[6] Affronta il medesimo argomento anche ai numeri 9 (unicità della forma) e 11 (unità dell’anima) nelle Quaestiones disputatae De Anima.
[7] S. VANNI ROVIGHI, op. cit., p. 41, cfr. Somma Teologica, S. Th., I, 76, 1.
[8] J.P. MIGNE, Patrologia latina, Vol. 182, coll. 676-680. Documento diffusamente ripreso in M.Rainini, Sanctissimam humanitatem Filii Dei negant : Ildegarda e gli eretici fra visione e teologia in Germania nel xii secolo, Rivista di storia del Cristianesimo, 17/2/2019, Morcelliana, pp. 333-358.
[9] Altre notizie al riguardo: G.L. Potestà, I tempi finali e la venuta dell’Anticristo secondo Ildegarda, in: Unversehrt und unverletzt : Hildegards von Bingen Menschenbild und Kirchenverständnis heute / herausgegeben von Rainer Berndt in Verbindung mit Maura Zátonyi, Münster : Aschendorff, 2015, atti del convegno tenutosi a Magonza nel 2013
[10] Hildegardis Bingensis, Epist. III, n. 381, pp.142, rr. 118-120
[11] vd. A.A. Robiglio, Tommaso D’Aquino in L’ordine dei predicatori. I Domenicani: storia, figure, istituzioni, Laterza, Roma-Bari, 2016, p. 59 e ss.
[12] M. RAININI, Domenico di Caleruega, il primo maestro dell’ordine in: Festa- Rainini, op.cit, p. 50
[13] S. VANNI ROVIGHI, op. cit., p. 83
[14] S. VANNI ROVIGHI, op. cit., p. 79
[15] Canzone, non a caso, risalente proprio in quell’arco d’anni e, precisamente, fu registrata nel 1964 e pubblicata, come singolo, il 12 settembre 1965, dopo essere stata resa pubblicata, in versione acustica, il 19 ottobre 1964, con l’album di debutto del duo, “Wednesday Morning, 3 A.M.”.
Fonte immagine: Lalucedimaria
Scopri di più da Club Theologicum
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento