Carissimi amici clubbers,
continua la nostra rubrica storica, che a partire da oggi si occuperà di offrire qualche spunto di riflessione alla luce della storia di alcuni papi, quelli più lontani nel tempo, che sicuramente abbiamo sentito nominare nel corso di liturgie o osservato nei medaglioni delle chiese (noti quelli della Basilica di san Paolo fuori le mura), ma di cui poco sappiamo. Il primo articolo non possiamo che dedicarlo all’apostolo Pietro. La sua figura ci è senza dubbio molto nota, per cui ho scelto di concentrarmi sull’origine del culto petrino a Roma. Dai racconti evangelici sappiamo che Pietro era di Cafarnao, che era sposato e che aveva almeno un fratello, Andrea – anche lui apostolo del Nazareno – e, inoltre, sappiamo che di mestiere faceva il pescatore. Infine, di Pietro ci è noto il temperamento, impulsivo, passionale, irruento, ma umile e coraggioso. Le ultime notizie circa l’apostolo Pietro sono reperibili negli Atti degli Apostoli e in una delle due Lettere che portano la sua firma, la Prima Lettera di Pietro, la quale è esplicitamente attribuita all’apostolo fin dalle origini da autori come Clemente, Policarpo e Ireneo. Il testo, probabilmente curato da Silvano, segretario di Pietro, in un’epoca antecedente alla morte dell’apostolo (tra il 64-67), ci dice che Pietro scrisse da Roma (chiamata Babilonia 5,13), – dove si trova con Marco – con l’intento di sostenere la fede dei destinatari, oppressi da angherie, ingiurie, invidie che si attirano per il loro stile di vita gioioso e fraterno. Infatti, scrive:
«Siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinchè la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà». (1Pt 1, 6.7)
Come Gesù, i cristiani vengono esortati da Pietro a soffrire con pazienza, felici se le loro tribolazioni derivano dalla loro fede e dalla loro condotta santa. Parole che si trasformarono in atto, quando anche a lui toccò offrire la vita per il Vangelo. Nonostante siamo poco informati sulla fine della sua vita, una tradizione molto attestata lo fa effettivamente arrivare nella capitale dell’Impero, dove morì martire sotto Nerone (64 o 67?), in un luogo detto Ager Vaticanus, più precisamente nel Circo di Nerone, dove, successivamente, Costantino eresse la prima basilica di San Pietro, sulla quale poi venne costruita quella attuale. L’Ager Vaticanus a quei tempi era occupato non solo dal Circo di Caligola (completato da Nerone) ma anche da una necropoli a cielo aperto (adesso sotto la Basilica). Naturalmente in quest’area si sviluppò il culto di Pietro, confermato non solo da numerosi graffiti, ma anche dalla famosa testimonianza del presbitero Gaio. Egli scrive intorno al 200 ad un eretico: «Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli, poiché se andrai in Vaticano o sulla strada per Ostia troverai i trofei di coloro i quali hanno fondato questa Chiesa (a Roma)» (Eusebio di Cesarea. Hist. Eccl. 2,25,7). Non c’è dubbio che Gaio si stia riferendo all’edicola individuata sotto il baldacchino del Bernini, nella Basilica di San Pietro, databile intorno al 160. Non per smania di precisione ho riportato la suddetta data, ma per sottolineare come presso i cristiani esistesse molto presto – anche prima del 160 – il culto e la venerazione dei martiri, tanto da conservare oggetti e scritti e custodire le loro tombe come luoghi di speranza. Molto interessanti a questo riguardo appaiono gli studi di Stefan Heid, professore di Storia del Culto cristiano e di Agiografia, che con entusiasmo passa in rassegna fonti letterarie e archeologiche alla ricerca delle radici del culto cristiano dei martiri e delle loro tombe. Dai suoi studi si evince che tale culto risiede nella venerazione giudaica delle tombe dei giusti e dei profeti, che, se uccisi, venivano venerati come martiri (Mt 23, 27-31). Per i cristiani, come anche per gli ebrei, i martiri non erano dei “supereroi”, uomini intrepidi e forti; ma discepoli che sacrificavano la vita per amore della Parola. Oltre che nei luoghi, la venerazione di Pietro la si evince in una data, il 29 giugno, celebrazione congiunta di Pietro e Paolo, presente nel calendario liturgico già dalla metà del III secolo. Probabilmente la mattina si festeggiava l’Eucaristia in memoria dei due santi e poi, sempre lo stesso giorno, si visitavano le tombe degli apostoli. I devoti giungevano nei luoghi del santo con fervore, come testimonia la cosiddetta triclia di San Sebastiano, un luogo di culto sulla via Appia, dove probabilmente vennero nascosti per un certo tempo i corpi dei due Apostoli. Gli scavi del 1915 restituirono delle iscrizioni latine e greche, che riportavano richieste di intercessione, di guarigione e di sostegno nella vita cristiana, fatto che dimostra come i cristiani, di ogni tempo, si sentano vicini alla figura di Pietro, considerandolo un compagno di viaggio, un discepolo peccatore, ma non corrotto – ricordando un’espressione di papa Francesco – e soprattutto un uomo che si è lasciato incontrare e guarire fino in fondo dal suo Signore. In lui possiamo rispecchiarci e continuare il nostro cammino di fede, certi dell’amore di Dio per noi.
Emanuela Maccotta
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