L’origine della sua santità: l’esperienza del Cristo Risorto che “… ci ha amato per primo” (1 Gv 4, 19)
Contrariamente alla paura dei primi discepoli la sera di Pasqua (cf Gv 20, 19) motivata dal fatto che non avevano ancora fatto l’esperienza del Risorto, Domenico ha visto con lo sguardo della fede, il solo che permette di vedere ciò che pur essendo reale, non può essere visto dagli occhi materiali e verificato con la sola ragione. Questa esperienza viva ha motivato la sua convinta e profonda compassione (il patire con) per le persone che ha incontrato, specialmente ‘sui sentieri e nei crocicchi’ della vita. Già nel gesto di vendere tutti i suoi beni e soprattutto le preziose pergamene (non essendoci ancora i libri a stampa …, cosa che solo un intellettuale può comprendere), in favore dei poveri, vittime della carestia a Palencia (a. 1191 ca.), ci si rivela la generosità del cuore che batteva in Domenico: un cuore compassionevole, sensibile e quindi disponibile. A chi gli chiede stupito le ragioni di un simile gesto, Domenico risponde con spontaneità: “Come posso studiare su pelli morte mentre tanti miei fratelli muoiono di fame?”. Con la ragione e la fede prese la decisione giusta agendo in modo eccezionale di fronte a una emergenza, rispondendo in modo straordinario ad una situazione straordinaria, nella consapevolezza che in quel momento era chiamato a essere strumento della tenerezza di Dio, in modo concreto senza nessun comodo ed opportunistico rinvio o delega, seppure a Dio stesso (cf Mt 14, 16). Una concreta lezione per ciascuno di noi: non rimanere chiusi, ma rimanere aperti sempre a Dio e ai bisogni del prossimo hic et nunc! (cf Lc 10, 33).
Però, il resto della sua vita ci dice che la forma tipica, ‘ordinaria’ della sua attenzione alle sorelle ed ai fratelli del suo tempo sarà la carità della verità. Egli era cosciente che gli uomini, anche se non sempre se ne rendono conto, hanno bisogno della verità come dell’aria e del cibo, della verità che salva, della Verità che è Cristo (cf Mt 4, 4). Perché la verità non è un lusso, non è l’hobby superfluo di gente sfaccendata, non è un ‘sopramobile’ di abbellimento, non è la mania culturale del Medio Evo, ormai fuori moda. La verità è ciò che consente all’uomo di realizzarsi come uomo, di non tradire la sua dignità e quella del prossimo, di raggiungere il proprio destino e sfuggire all’amarezza frustrante dell’insignificanza ed alla depressione della mancanza di senso. La carità della verità e la verità della carità (cf Ef 4, 15), è il messaggio di Domenico, il più alto ed il più attuale di tutti in quanto destinato a nutrire ciò che non perisce. Quelle verità e onestà che sono oggi, forse come non mai, spesso latitanti, iniziando proprio dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità religiose ed ecclesiali. La carità della verità che non risente delle paure per le novità ovvero della cultura dominante o del pensiero della maggioranza e quindi non si arrocca, non s’impone, ma si propone sempre e comunque, costi quel che costi, prima di tutto con chi ci è più prossimo (cf Mt 19, 21; At 5, 29).
Purtroppo non tanti cristiani, religiosi, sacerdoti e vescovi anche ai nostri tempi (come ai tempi di Domenico, come in tutti i tempi: cf Ec 1, 9), possiedono questa convinzione e così finiscono spesso e volentieri di essere ostaggi di un agitato pragmatismo, di una sterile filantropia, di un ideologizzato ecologismo (ben diverso dalla doverosa preservazione, rispetto e condivisione dei beni del creato: cf Gn 2, 8; 15), di un volubile sentimentalismo, insomma di un ‘volemoci bene’ di facciata, spesso e volentieri incosciente, oggetto di scambio, dopo magari una contrattazione al ribasso e comunque a buon mercato, che si trasforma, però, in micidiale conflitto se l’altro non fa quello che dico io: una vera e propria schizofrenia, un controsenso e follia ormai sempre più diffuse in questo nostro mondo, dove si può manifestare per la preservazione di una razza animale (cosa in sé lodevole), e per includere addirittura i diritti degli animali nella Carta Costituzionale, ma guai a dire una parola in favore del rispetto e per il diritto alla vita di un bambino/a concepito/a!
Dove si dà una cultura che si gloria di modernità e si riempie la bocca di libertà, di pluralismo, di ‘tolleranza’, salvo però dire che un comportamento è in sé cattivo, sbagliato o è un peccato (cf Is 60, 11; 52, 1; Ap 21, 8; 26-27), dove si può insultare e dichiararsi vittime di censura da un palco, ma di fatto si vieta di esprimere il proprio pensiero ad altri; quindi, alla fine un vero e proprio ‘pluralismo a senso unico’, cioè nella misura in cui ci si adegua alla cultura dominante, nella misura in cui l’altro è d’accordo con me! Uno strano mondo dove sempre più la falsità, la menzogna sono le regole della e per la convivenza, dove si tenta di far credere che è impossibile arrivare alla certezza della verità, che non esiste certezza riguardo a nulla, tanto meno riguardo a cos’è bene e cos’è male (e che quindi non c’è diversità di trattamento nel giudizio, menzogna contraddetta dalla Parola di Dio: cf per es. Ap 22, 14-15; 17-19), e questo a prescindere dalle fragilità e possibilità della singola ogni persona che richiedono sempre comprensione (cf Mt 7, 12). Tutto, allora, diventa soggettivismo puro, relativo al ‘mi piace/conviene questo o così! Non posso sacrificare la mia libertà e felicità, ecc.’ Confusione che produce divisioni, e sappiamo tutti chi è il padre della divisione.
Comportamenti antitetici e contraddittori che in molti casi manifestano pura schizofrenia.
Fr Bruno Esposito.
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