Nel Medioevo, la lettura diretta della Bibbia e degli scritti dei Padri della Chiesa è privilegio del clero, non del popolino analfabeta. Ed entrambi presenterebbero la donna come inferiore all’uomo e a lui sottomessa in tutto, secondo la prescrizione di san Paolo: “Voi mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore”. Un’idea che sarebbe stata quasi sottoscritta dallo studio dei testi di Aristotele, nel XIII secolo. D’altronde, per dieci secoli, la Chiesa sarebbe stata convinta che le donne non avessero un’anima… Questa è almeno l’idea che ne abbiamo noi, a livello generale, dimenticando la Bibbia stessa, che nella Genesi precisa che “Dio creò l’uomo a sua propria immagine, a immagine di Dio egli lo creò, maschio e femmina li creò”. E questo, se sappiamo leggere, significa che, se uno ha un’anima, anche l’altro ce l’ha…
Ma allora, questa benedetta misoginia, di cui si accusa sempre la Chiesa, è stata una realtà? È stata generalizzata in tutti gli ambienti ecclesiastici?
Correnti
Il fatto che la Chiesa abbia sempre rifiutato il sacerdozio alle donne è stato considerato da alcuni intransigenti una prova supplementare della misoginia della Chiesa. Non esiste, tuttavia, solo il clero secolare (quello ordinato) e ciò ha permesso alle donne di inserirsi in posizioni di potere riconosciute all’interno del clero regolare (quello degli ordini religiosi), e a volte ad alcune badesse di eguagliare di fatto il potere dei vescovi.
E non si tratta forse di quella stessa Chiesa che onora, al di sopra di tutti, la Vergine Maria, la Theotokos, la “Madre di Dio”? Il culto mariano, così intenso e popolare, specialmente nel Medioevo, sembra più contraddire che confermare la teoria della Chiesa-misogina. E non si tratta di quella stessa Chiesa che si considera essa stessa sposa di Cristo?
Certo, la Chiesa ha sempre fatto la promozione di una donna sposa e madre, ma è veramente così riduttivo, dal momento che la Chiesa stessa si considera sposa?
Ed Eva, allora, la tentatrice, la causa del peccato originale? Vero, ma l’Exsultet del Sabato Santo, su ispirazione di Agostino, ne parla come di una “felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore”, vale a dire Cristo Salvatore del mondo.
Un’altra operazione fondamentale da fare per lo storico è, poi, distinguere l’insegnamento ufficiale della Chiesa dalle correnti.
È un fatto che testi misogini conoscano nel Medioevo una certa diffusione e, indubbiamente, rivelano l’esistenza di correnti misogine, all’interno delle quali, però, sembra avere molta più influenza il misoginismo degli autori classici di quelli biblici.
Un altro problema è che, spesso, le affermazioni, per esempio quelle dei Padri della Chiesa, vengono estrapolate dal contesto, e una frase senza contesto può significare qualsiasi cosa. Bisogna, inoltre, tener conto dell’uditorio a cui egli si rivolge. Prendiamo ad esempio un Girolamo, uomo di legge della tarda Antichità, che non avrebbe avuto niente da invidiare a Cicerone, che ne dice di cotte e di crude sulle donne, quasi ricalcando la VI satira di Giovenale. Quando si rivolge direttamente a donne, vergini o sposate, però, il tono cambia del tutto: si scopre un Girolamo sorprendente, capace di tenerezza, di complicità, e, soprattutto, convinto sostenitore della dignità della donna. Significativa è, per esempio, la lettera alla matrona Leta, che gli chiede consigli su come educare sua figlia: in essa, Girolamo consiglia per la bambina il tipo di istruzione che normalmente si consiglia per i futuri retori (funzione esclusivamente maschile), e inoltre la definisce “un’anima destinata a essere un giorno il tempio del Signore”. Interessante, poi, l’epistola 77, scritta all’amico Oceano, in occasione della morte della moglie Fabiola, che critica la condizione delle donne nella società tardoromana.
Più o meno accostabili allo stile di Girolamo sono Gregorio Nazianzeno, Ambrogio e Agostino. Basilio, dal canto suo, parla chiaro: “La donna non è da meno dell’uomo nell’essere stata creata a immagine e somiglianza di Dio. Entrambi i sessi hanno pari dignità e pari virtù, ad ambedue è promessa la stessa ricompensa, la risurrezione del corpo”. Secoli dopo, il vescovo francescano Bonaventura ripeterà questa frase quasi parola per parola: “Quanto all’anima e alle facoltà dell’essere creato a immagine di Dio, non esiste differenza alcuna fra l’uomo e la donna”.
La stessa distinzione dev’essere fatta per quanto riguarda gli autori medievali: il tipo di uditorio cui si rivolgono. È chiarissimo che, quando si rivolgono a monaci per confermarli nella loro scelta, in particolare nel contesto della riforma gregoriana e della sua lotta contro il concubinato e il matrimonio illegale dei chierici, spesso finiscono col dire di tutto sulle donne. Ma si tratta appunto di pubblicistica, orientata a uno scopo ben preciso, sulla falsariga dei remedia amoris dell’Antichità, soprattutto quelli di Ovidio. L’esempio di Pier Damiani e di Bernardo di Chiaravalle, tuttavia, dimostra che, quando gli stessi monaci, così severi dal punto di vista della castità, si rivolgono, nelle loro lettere, ad amiche o a figlie spirituali, siano capaci perfino di dar voce alle loro emozioni.
C’è da dire anche che, scorrendo bene i testi, si nota come gran parte della fama di misoginia attribuita a molti autori sia del tutto gratuita.
Tommaso d’Aquino misogino?
Uno di questi è certamente Tommaso d’Aquino. Quando si parla del suo rapporto con le donne, capita spesso di inciampare in questa frase, tratta dalla Summa Theologiae: “foemina est mas occasionatus”, “la femmina è un maschio mancato”.
Ebbene, si tratta di una citazione di Aristotele, tratta dal suo “De generatione et corruptione”, un’opera che analizza, tra le altre cose, i meccanismi della riproduzione, per quanto alla sua epoca se ne può sapere, e, trascritta integralmente, suona così: “la femmina è come se fosse un maschio mutilo”. Come si vede, non si parla solo della donna, ma della femmina in generale, anche quelle degli animali.
In quanto teologo, Tommaso crede che, essendo la prima donna stata creata da Dio stesso, non può certo essere qualcosa di “mancato”. Aristotele, però, nel campo della filosofia della natura, rappresenta nel XIII secolo l’autorità indiscussa, e dunque le sue parole sono prese molto sul serio nelle università medievali. Tommaso cerca comunque con prudenza di riportare questa frase di Aristotele nel suo contesto e di mostrare che ha conseguenze molto limitate, e che non implicano affatto che la donna sia “mancata”.
La teoria di Aristotele sulla generazione identifica correttamente il seme come l’elemento riproduttivo maschile, ma non può conoscere l’esistenza dell’ovulo, che sarà scoperto solo nel Seicento. Aristotele pensa, quindi, che l’elemento riproduttivo femminile sia il sangue mestruale purificato. Entrambi gli elementi, dice, sono prodotti dal corpo in un processo di “concentrazione” che richiede calore: l’elemento maschile, il seme, è più concentrato dell’elemento femminile. Aristotele conclude che il maschio possieda più calore della femmina, e che, di conseguenza, la femmina sia “mutilata” rispetto al maschio. Come si può vedere, si tratta di un campo molto limitato, e non ha altre implicazioni della minor forza muscolare della femmina rispetto al maschio.
Aristotele, comunque, dice di più: pensa che il seme maschile cerchi di “sottomettere” l’elemento riproduttivo femminile e farlo sviluppare in un maschio, ma a volte lo stesso seme viene “sottomesso” o per sua debolezza o perché l’elemento femminile resiste alla sua azione, o per altre ragioni, e allora nasce una femmina. In altre parole, la femmina non è ciò a cui “tende” il seme, e nasce da un suo difetto di azione.
Tommaso prende il problema così seriamente che ne parla non meno di sei volte, soprattutto nella Summa Theologiae, quando parla della creazione del mondo. Egli si chiede se Dio abbia creato la donna all’inizio del mondo, e, anche se la risposta è affermativa, Tommaso pone delle obiezioni: la prima è che Aristotele ha detto che la femmina è un maschio “mutilo” (occasionatus), e ciò che è mutilo è difettoso, dunque la donna sarebbe difettosa. Ora, Dio non avrebbe dovuto creare niente di difettoso all’inizio del mondo, e di conseguenza non avrebbe dovuto creare la donna.
Tommaso risponde così alla sua obiezione: la femmina può non essere ciò a cui tende il seme maschile, ma di certo è ciò a cui tende la natura, e, dal momento che Dio è l’autore della natura, la femmina è voluta da Dio, e, in quanto voluta, non è “difettosa”. Dunque, Dio ha giustamente creato la donna all’inizio del mondo.
Dunque, per Tommaso, la femmina (non solo la donna) è un essere difettoso e manchevole SECONDO LA NATURA PARTICOLARE, cioè limitatamente a una cosa particolare, la forza del seme; mentre, RISPETTO ALLA NATURA UNIVERSALE, alla dignità della persona, la femmina non è un essere mancato ma è espressamente voluto dalla natura in ordine alla generazione. Questo non vuol dire, però, che la femmina sia fatta solo per la generazione, e infatti poco più avanti Tommaso precisa che lo scopo nella vita dell’essere umano non è certo procreare, ma comprendere il mondo in cui vive: Tommaso sta solo spiegando l’esistenza dei sessi.
Per Tommaso è il rapporto tra i sessi che dà significato alla creazione della donna dal fianco dell’uomo: nella Summa Theologiae, dice che la donna non è stata formata dalla sua testa, perché lo dominasse, ma nemmeno dai piedi, perché fosse da lui disprezzata come una schiava; invece, la donna è stata tratta dal suo fianco, così da significare che uomo e donna fossero alleati nella stessa unione (socialis coniunctio), il matrimonio, che egli, nella Summa contra Gentiles, definisce addirittura “amicizia al sommo grado” (maxima amicitia).
Mogli e madri secondo Roberto di Sorbon
D’altronde, se è certo che molte ragazze siano maritate o mandate in convento senza il loro consenso, questa non è di sicuro la posizione ufficiale della Chiesa. Al contrario, se entrambi gli sposi non danno il loro consenso, il matrimonio non è valido e, nei secoli XII e XIII, si insiste molto sul consenso della donna. Il problema è che i discorsi ufficiali sono un conto, i fatti reali un altro, e il matrimonio, nel Medioevo, di solito non è una questione di scelte, ma dettato dall’interesse delle famiglie. Del resto, è qualcosa che notano anche gli ecclesiastici: ad esempio, Roberto di Sorbon, celebre teologo del XIII secolo al quale si deve la fondazione dell’università che porta il suo nome, cita in una delle sue prediche il caso di un matrimonio in cui lo sposo era un “pulzello” e la sposa una signora azzimata, ma molto ricca. E gli ecclesiastici notano soprattutto che unioni così portano ben presto all’adulterio…
La Chiesa corre dunque ai ripari: anzitutto, mette nero su bianco l’importanza del matrimonio. Il Concilio Lateranense IV, nel 1215, riprendendo una antichissima tradizione patristica, definisce il matrimonio un sacramento indissolubile, al pari di quello dell’ordine, e stabilisce in quali circostanze possa esser messo in discussione, dall’uomo come dalla donna. Poi, si fa pubblicità a sante “non vergini” come Maria Maddalena, già in assoluto uno dei santi più venerati dell’Europa medievale. Si continua di certo ad ammirare la verginità liberamente scelta per il Regno di Dio, imitazione di quella della Vergine Maria, ma, secondo un detto molto caro a Roberto di Sorbon, “una buona moglie vale più di dieci vergini”. Infine, la Chiesa fa l’elogio dell’ “amore coniugale”, un legame tra gli sposi di sicuro più profondo della sola passione, ma che non la esclude affatto.
D’altronde, le donne sono più assidue degli uomini nella pratica religiosa, e, così, gli uomini di Chiesa contano su di loro per chiedere ai loro parenti maschi il rispetto di alcuni obblighi, come la comunione e la confessione almeno una volta all’anno. Allo stesso modo, lo studio degli exempla, quelle piccole storie che permettono al predicatore o al confessore di spiegare un aspetto della dottrina o della morale, rivela che gli ecclesiastici considerano generalmente la donna il pilastro della famiglia.
Nei manuali dei confessori, si trova un certo numero di situazioni che riguardano donne, proprio perché, notoriamente, le donne si confessano più spesso degli uomini. E, nei casi in cui la raccomandazione concerne la coppia, è chiaro che il confessore vede nella donna l’elemento unificante, rappacificante della famiglia e la invita a svolgere pienamente il suo ruolo. Un ruolo, così come viene definito dai canonisti, che tiene largamente conto delle esigenze del mondo feudale.
Oltre che spose, le donne sono anche madri, essendo la procreazione lo scopo primario del matrimonio secondo i canonisti, e questo conferisce loro, agli occhi della Chiesa, una condizione particolare. Ciò implica una certa nobilitazione di questa “opera della carne” che, nell’ambito del matrimonio, non contamina più; è benedetta. Di conseguenza, il termine “fornicazione” finisce con l’indicare soltanto l’atto sessuale compiuto fuori dal matrimonio.
A partire dal XIII secolo, così, si presenta sotto un’altra luce anche la cerimonia della purificazione, cui d’altronde la stessa Vergine Maria si era sottomessa. Questa cerimonia, nel mondo ebraico, aveva lo scopo originario di purificare la puerpera dalla concezione del bambino, cioè dall’atto sessuale che l’aveva introdotto. Nel XIII secolo, questo costume si evolve nella logica della valorizzazione della condizione di madre da parte della Chiesa: se è ancora in vigore, è per purificare la madre non dall’atto sessuale in sé, ma nel caso abbia commesso un peccato o un’impurità durante la gravidanza.
Allo stesso modo, la maternità è considerata con onore, nelle dispense fatte dalla Chiesa alle donne incinte: per esempio, esse non osservano il digiuno quaresimale e devono, al contrario, mangiare il doppio.
Roberto di Sorbon celebra a più riprese il ruolo delle madri attraverso i suoi exempla e in particolare delle donne incinte. Egli dichiara a più riprese che esse devono essere oggetto di ogni attenzione: ad esempio, egli nota che, in alcune contrade di Francia, la legge punisce l’omicidio di una donna incinta con una multa sette volte più pesante rispetto a quello di un uomo; oppure annota che, tra le strade di Parigi, risuona spesso il grido “Scostatevi, c’è una donna gravida!” Per Roberto di Sorbon, è altrettanto vero che la donna supera il marito nell’attaccamento ai figli: ci sono madri che chiedono pietà per figli criminali, madri che esortano i mariti alla vendetta per la morte di un figlio, madri che sono pronte a tutto pur di assicurare un avvenire ai figli. Un oltranzismo che Sorbon denuncia affettuosamente.
Federica Garofalo
Bibliografia
- Jean Leclercq, La figura della donna nel Medioevo, Milano, Jaca book, 1994;
- Id., I monaci e l’amore nella Francia del 12. secolo, Milano, Jouvence, 2014;
- Id., I monaci e il matrimonio: un’indagine sul 12. secolo, Torino, Società editrice internazionale, 1984;
- Id., La donna e le donne in S. Bernardo, Milano, Jaca book, 1985;
- Id., S. Pierre Damien et les femmes, in «Studia monastica» vol. 15 (1973) p. 43-55;
- José Ignacio Saranyana, Doctrina de la condición femenina en el siglo XII, in «Anuario filosófico» vol. 26, 3 (1993) p. 467-512
- Michael Nolan, The defective male: what Aquinas really said, in «New Blackfriars» vol. 75, n. 880 (March 1994), pp. 156-166;
- Nicole Bériou, Robert de Sorbon et les femmes, In Au cloître et dans le monde: femmes, hommes et sociétés (IXe – XVe siècle); mélanges en l’honneur de Paulette L’Hermite-Leclercq, textes réunis par Patrick Henriet et Anne-Marie Legras, Paris, Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, 2000, p. 33-47
Fonte immagine: Wikipedia, Creative Commons
Rispondi