Non ti erano nascoste le mie ossa
Quando venivo formato nel segreto
Intessuto nelle profondità della terra
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
Salmo 139, 15 – 16.
Commovente e ad un tempo mistico, il salmista nella preghiera ricorda a sé stesso, e a tutti noi che preghiamo Dio con il canto salmico, che Dio ci conosce sin dal grembo materno. Conosce ogni singola e piccolissima parte della nostra anima. Si ma appunto anche del nostro corpo.
Il nostro corpo è allora un unicum, un deposito di quel grande mistero di Dio che si rivela a noi. Proprio in questa prospettiva, il corpo dell’uomo che si dona a Dio, o che si dona ad altri uomini, può diventare il luogo dell’incontro fra sacro e mondo. Il corpo è un dono che va difeso e protetto, senza assolutizzarlo, ma senza nemmeno renderlo un inutile attrezzattura che si può tranquillamente danneggiare o far deperire, ponendo – come ho purtroppo sentito recentemente – la sua inferiorità e inutilità rispetto all’anima.
D’altro canto l’idea che il corpo è mio e ne posso fare quel che voglio esprime un senso di libertà, ma non sempre una idea di libertà intesa come donazione. Infatti è spesso usato come slogan per permettere le peggiori atrocità tra le quali ad esempio l’aborto ed utero in affitto.
Per riscoprire allora una giusta interpretazione di questo dono bellissimo, mi vengono in mente la bellissima riflessione del cardinale Josè Tolentino de Mendonça quando scrive:
« è necessario tornare a vedere il corpo che noi siamo e la nostra esistenza come profezie di un amore incondizionato […] Il corpo che noi siamo è una grammatica di Dio: […] questa immagine ci mostra che il nostro corpo è a sua volta una lingua materna. La lingua materna di Dio. Per questo la mistica dei sensi o dell’istante che vogliamo proporre qui non può essere altro che una spiritualità che conduce verso l’incontro con Dio.»

Questo ci permette dunque di vivere una sana relazione con noi stessi. Consapevoli che dobbiamo cercare un’armonia fra la nostra sfera fisica e spirituale, perché lo squilibrio di una sfera colpisce anche l’altra.
Gesù stesso si è donato a noi, nell’ultima cena, e continua a farlo nell’Eucarestia. In entrambi i casi, il Signore dice a noi: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Il massimo dell’amore di Dio per tutti noi viene espresso in questa donazione.
Impariamo ogni giorno ad entrare sempre più nel dono libero e caritatevole del nostro corpo.
Fr Gabriele Giordano M. Scardocci OP
Gesù dolce, Gesù amore