Forte dei suoi sei anni di anoressia, Emily pensava che il suo primo digiuno quaresimale sarebbe stato una passeggiata. In fin dei conti, aveva passato anni a negarsi il cibo con pervicace determinazione e con godimento interiore: no?
A questo punto, probabilmente bisognerebbe dire l’ovvio: se avete sofferto di disturbi alimentari, andateci molto molto cauti prima di sottoporvi a rinunce alimentari rigide in Quaresima. Minimo minimo, parlatene con il vostro sacerdote e con il vostro terapeuta, e non fate nulla che non siate sicuri al 1000% (tutti e tre) che voi possiate sopportare al meglio.
Sta di fatto che Emily non era certo idiota e queste valutazioni le aveva già fatte, grazie tante. Lo spettro dell’anoressia era solo un brutto ricordo di un tempo lontano, un mostro che Emily aveva già sconfitto. E così, quando si trattò di scegliere un fioretto per la sua prima Quaresima post-conversione, Emily non aveva avuto dubbi: proprio lei, che negli anni aveva riscoperto l’amore per il cibo, si sarebbe sottoposta a privazioni alimentari come da tradizione. Aveva persino avuto l’accortezza di fare una cosa graduale, con un inizio soft e con fioretti sempre più “pesanti” man mano che ci si avvicinava alla Pasqua.
La prima settimana di Quaresima, rinunciai ai dolci. Facilissimo. La seconda settimana, rinunciai ai dolci e alla carne. No problem. La terza settimana, eliminai dalla mia dieta dolci, carne e latticini. E lì, cominciai ad avvertire una certa fatica. La settimana successiva, dissi addio al caffè… e alla mia gioia di vivere. La settimana dopo ancora, scomparvero dalla mia dieta i farinacei… portandosi con sé anche quel poco che rimaneva della mia sanità mentale. Prima che arrivasse il Venerdì Santo, mi alimentavo come una specie Mormona celiaca, vegana, astemia, a dieta. […]
Fu un anno speciale, mettiamola così. Per dirla più chiaramente, la mia Quaresima 2002 fu un fallimento bruciante e completo su tutta la linea. Non ricaddi nell’anoressia, ma […] portai avanti quel digiuno esattamente allo stesso modo in cui avevo digiunato durante i miei sei anni di malattia – con la pura determinazione della mia forza di volontà.
Non pregai. Non permisi alla mia fame di condurmi a Dio. A dire il vero, non chiesi nemmeno a Dio quali fossero i suoi progetti per me in quella Quaresima. Il mio solo scopo era rinunciare al cibo come una pazza… e tutti quelli che mi circondavano pagarono il prezzo della mia fissazione.
Dopo quella Quaresima, feci alcune riflessioni profonde su cosa esattamente fosse andato storto.
E – mi vien da dire – forse era davvero la volontà di Dio che Emily passasse attraverso le forche caudine, perché da queste sue riflessioni è scaturito l’ottimo (veramente ottimo) libro The Catholic Table: Finding Joy Where Food and Faith Meet, che consiglio vivamente a tutti, ma insistendo in particolar modo con coloro i quali hanno un interesse professionale verso il tema dei disturbi alimentari. Il libro parla di cristianesimo, non di anoressia; ma, da ex-anoressica, Emily Stimpson Chapman guarda al cibo (e al digiuno. E a un Dio che si fa pane) con un punto di vista e una freschezza di pensiero francamente non comuni.

Ve ne parlo oggi, perché… beh: Emily ama il cibo. E dunque ama il digiuno cristiano e le rinunce alimentari proposte dalla Chiesa, proprio perché, comprendendone il senso, ne comprende il reale valore.
Una posizione piuttosto impopolare, la sua: ché le pie pratiche del digiuno, dell’astinenza e dei fioretti alimentari sembrano essere cadute in disuso persino tra i cattolici più hardcore. Parlando di rinunce quaresimali, oggi va moda rinunciare ai social network, alle uscite del sabato sera, allo shopping, ai telefilm con scene osé: onestamente, quante persone conoscete che, nei giorni di digiuno, digiunano sul serio, e per tutta la Quaresima fanno rinunce alimentari serie?
Spesso, questo atteggiamento è dato da una semplice confusione.
Alcune persone confondono il concetto di “digiuno” e il concetto di “dieta”. […] Altri, rifiutano il digiuno a causa di un profondo fraintendimento sul senso del digiuno cristiano, ritenendo che i precetti del digiuno e dell’astinenza siano causati da una sorta di disprezzo per il corpo. Costoro rifiutano (a ragione) queste idee, e di conseguenza rifiutano (a torto) di digiunare.
Ma ancor più, dice Emily,
molte persone – e persino molti Cattolici – rifiutano il digiuno perché […] il modernismo ha fatto sì che molti di noi abbracciassero inconsapevolmente una forma di larvato gnosticismo che nega l’importanza del corpo. Questo tipo di gnosticismo “anni duemila” ci sussurra che solo le persone spiritualmente immature digiunano dal cibo – perché chi è già più avanti nel cammino di fede sa che ci sono cose più importanti da cui astenersi.
Non per puntare il dito contro questo e quello, ma proprio per far capire cosa intende, Emily cita ad esempio questo articolo che, a partire dal sano invito di papa Francesco a “digiunare” dall’indifferenza verso il prossimo, scrive: “se il vostro obiettivo è cambiare il vostro corpo, allora sì, probabilmente è una buona idea astenervi dall’alcool e dai dolci. Ma se il vostro scopo è cambiare il vostro cuore, un digiuno più duro è necessario”.
In modo ancor più esplicito si muove questa autrice, che – descrivendo la pia pratica di digiunare dai gas di scarico andando al lavoro in bici, candidamente scrive: “diciamocelo: nessuno trarrà alcun beneficio da voi che vi affamate di cioccolato per sei settimane (di nuovo). Il clima, in compenso, ha bisogno di tutto l’aiuto che il mondo può dargli”.
Argomentazioni indubbiamente convincenti: peccato che, a dirla come la dice Emily, questi commentatori abbiano completamente mancato il tiro.
A differenza del mondo che ci circonda, la Chiesa non vede il corpo e l’anima come due entità completamente separate. La Chiesa, anzi, sa che il corpo e l’anima non esistono separatamente: in questa vita, esse sono inestricabilmente collegate. […]
La Chiesa ha sempre inteso il digiuno come una pratica primariamente spirituale. Certo: coinvolge il corpo, ma nella misura in cui il corpo si sottopone a dei sacrifici al fine di ‘guadagnare’ un’anima più sana – non un girovita più stretto.
Davvero la Chiesa ci insegna che rinunciare al cioccolato durante la Quaresima può cambiarci, e che rinunciare alla carne ogni venerdì può rendere il mondo un posto migliore.E ce lo insegna per molteplici ragioni.
In primo luogo, digiunare può cambiarci (e, di conseguenza, cambiare il mondo) perché ci aiuta a crescere in virtù.
A causa del peccato originale, la nostra ragionevolezza e i nostri desideri non sono sempre in perfetto accordo. L’umanità decaduta ha la brutta abitudine di desiderare cose che non dovrebbe, o di pretendere di avere subito (cioè al momento sbagliato) cose che sarebbe anche lecito avere (ma al momento giusto). […] Digiunare ci aiuta a porre la nostra ragione là dovrebbe essere: al comando. Come un esercizio in palestra, ci costringe a esercitare i nostri ‘muscoli’ spirituali e a rafforzarli piano piano, mentre noi resistiamo alla tentazione di quella luccicante fetta di torta Sacher. Resi tonici per l’essersi lungamente esercitati a controllare il nostro appetito, i nostri ‘muscoli’ saranno più allenati quando si tratterà di controllare appetiti diversi – rabbia, avidità, desiderio di vendetta, ruffianeria, lussuria, brama di potere.
In secondo luogo, Emily probabilmente non è lontana dal vero nel dire che le preghiere di un fedele a digiuno sono particolarmente gradite a Dio. Personalmente, non conosco i gusti di Dio in fatto di preghiera, ma posso affermare per esperienza che, quando digiuniamo, è vero che
ci troviamo a pregare non solo con il nostro cuore o con la nostra mente, ma con tutto il nostro corpo. In un certo senso, il digiuno è la consacrazione dell’intera persona a una particolare preghiera. Dio non ignora questo appello.
Ma, soprattutto,
il digiuno ci aiuta a ricordare chi siamo davvero: uomini e donne fragili, affamati e pieni di debolezze, che dipendono interamente dalla grazia divina. Quando digiuniamo, mettendo al centro del digiuno Dio (e non noi stessi), la fame che sperimentiamo ci costringe a confrontarci con i nostri bisogni primari: non solo il cibo materiale, ma anche e soprattutto Dio.
E il punto è proprio qui, dice Emily.
In quella Quaresima di tanti anni fa, alla mia prima esperienza col digiuno, non avevo compreso questo fine ultimo. Non avevo visto il digiuno come un mezzo per avvicinarmi a Cristo. L’avevo visto come un modo per mettere alla prova la mia capacità di sacrificio – un modo per provare a me stessa e al mondo che ero brava e santa.
Per sei settimane, il mio digiuno è stato interamente incentrato su me stessa, e non su Dio. Era tutto un inno a me stessa che compivo grandi cose per Dio.
E questo è forse l’errore più grande che può essere commesso dal cattolico che s’avvicina al digiuno: la convinzione, cioè, di starsi sottoponendo a certe penitenze allo scopo di mostrare a se stessi quanto si è bravi e quanto si è santi.
Al contrario: semmai dovremmo digiunare per ricordare a noi stessi quanto siamo gracili e fallibili – e ciò, nella speranza che questa consapevolezza ci aiuti, un giorno, a diventare un po’ più santi.
Io non mi lascerei scappare quest’opportunità.
Abbiamo ben quaranta giorni per provarci.
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Articolo apparso originariamente sul blog Una Penna Spuntata
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