Il Concilio di Vienne segna per molti versi una svolta nella storia della Chiesa. I sei concili precedenti, infatti, avevano sancito la progressiva avanzata del potere pontificio. Con questo concilio ecumenico ed i successivi due, invece, inizia una fase di declino del potere papale (indebolito sia dal fallimento dei tentativi di ricomposizione dello scisma d’Oriente sia dal definitivo crollo degli stati crociati in Terra Santa), a favore dell’ascesa del potere delle monarchie nazionali.
Il Concilio Ecumenico di Vienne, in sessione dal 16 ottobre 1311 al 6 maggio 1312, fu convocato da Clemente V con la bolla Regnans in coelis del 12 agosto 1308, ritardato poi di un anno (a causa del protrarsi del processo ai Templari) con la bolla Alma mater del 4 aprile 1310. Si aprì finalmente solo, appunto, nell’ottobre del 1311.
Il processo ai Cavalieri Templari ebbe un ruolo dominante nella convocazione del Concilio, ma questo grave affare non era l’unico problema che andava affrontato. Filippo IV il Bello, re di Francia, aveva fatto pressione sul nuovo papa per avviare un processo contro il defunto Bonifacio VIII, da lui accusato di molti reati e di eresia; l’idea di una crociata in Terra Santa stava nuovamente emergendo; sembrava inoltre chiaro che la Chiesa avesse un serio bisogno di riforme interne. Vienne fu scelta come sede del concilio perché facilmente accessibile e soprattutto perché, per quanto posizionata in territorio francese, faceva all’epoca parte dell’Impero germanico. Il papa non aveva convocato che una parte dell’episcopato (2 vescovi per provincia) e solamente 114 degli stessi, su 230, obbedirono alla convocazione. Erano stati convocati anche quei sovrani che avrebbero potuto mostrare interesse per un’eventuale crociata, ma solo il re di Francia, Filippo IV il Bello si presentò qualche mese dopo l’apertura del sinodo e più che altro al fine di imporre la propria linea dura contro l’Ordine Templare. Il concilio lavorò per commissioni, il che permise di ridurre a tre le assemblee generali.
La storia del concilio di Vienne, come già accennato, è in gran parte dominata dalla questione dei Templari. Il re Filippo IV aveva ingaggiato, a partire dal 1307, una grande offensiva contro quest’ordine cavalleresco; venerdì 13 ottobre di quell’anno, con una operazione di polizia molto ben congegnata, aveva fatto arrestare contemporaneamente tutti i membri dell’Ordine che si trovavano entro i confini del regno con il pretesto che nel corso delle loro cerimonie di iniziazione i Templari indulgevano a pratiche idolatriche e omoerotiche. Interrogati sotto tortura, molti cavalieri confessarono gli abusi di cui erano accusati. Il Papa perplesso, ma soggetto alle pressioni da parte del re, decise di separare i processi contro le singole persone, che furono affidati a commissioni diocesane e a concili provinciali, e il processo contro l’Ordine in sé, che fu rimandato ad un secondo tempo. Questa distinzione non salvò i Templari, perché buon numero di essi, dopo aver rinnegato le loro confessioni davanti alle commissioni pontificie, furono condannati come relapsi dalle commissioni diocesane, in tutto sottomesse agli ordini del re, e molti di loro finirono sul rogo.
Il concilio si aprì mentre erano ancora in corso questi fatti. Il papa aveva rimesso il problema dei Templari ad una commissione speciale che ricevette comunicazioni dalle inchieste pontificie. Questa commissione decise a forte maggioranza che era il caso di riprendere interamente il processo e di permettere ai Templari di difendere il loro l’Ordine. Era uno smacco per il re e per il papa, che su questa materia era completamente ripiegato sulle posizioni del re. Ciò indusse Filippo il Bello a presentarsi personalmente a Vienne e a minacciare con la propria stessa presenza ripercussioni su coloro che non avessero ottemperato ai suoi desideri. Tanto bastò a convincere Clemente V per stabilire la soppressione dell’Ordine. Così questi promulgò la bolla Vox in excelso con la quale scioglieva i Templari non de jure ma per viam provisionis. Alla bolla fu data in lettura solenne nella seconda sessione e fu seguita dalla bolla Ad providam, con la quale tutti i beni dei Templari furono ufficialmente assegnati all’Ordine degli Ospitalieri (oggi più comunemente noti come Cavalieri di Malta). Una commissione cardinalizia, il 18 marzo, condannò il gran maestro Jacques de Molay e alcuni compagni alla detenzione perpetua. A questo punto, i suddetti però ritrattarono le loro confessioni estorte sotto tortura. Per tutta risposta, il re li fece bruciare sul rogo come relapsi. Avendo ceduto in tutto e per tutto ai desideri del re di Francia per ciò che concerneva la questione dei Templari, il papa ottene come contropartita la liquidazione del processo contro la memoria di Bonifacio VIII, di cui non si fece si fece più nulla.
Il Papa aveva domandato ai vescovi presenti di pronunciarsi in merito ai problemi della Chiesa e a proporre delle soluzioni per gli stessi e, a tal fine, li aveva invitati a redigere dei rapporti dettagliati in merito. Questi rapporti non ci sono pervenuti e ne abbiamo una conoscenza molto parziale grazie ad una sintesi che ne fu fatta per ordine dello stesso papa. Sembra che gli stessi trattassero principalmente di temi riguardanti i sempre riemergenti conflitti tra le autorità religiose e quelle civili e non presentassero elementi di particolare originalità. Molto più interessanti sono invece le memorie composte dal vescovo d’Angers, Guglielmo Le Maire, e dal vescovo di Mende, Guglielmo Durand il Giovane, le quali trattano degli effetti della centralizzazione pontificia e degli abusi delle nomine fatte dal papa. Non si conoscono con precisione le decisioni prese dal Concilio in questa materia perché i canoni conciliari sono stati pubblicati integrandoli nella collezione delle Clementinae, senza che si possano distinguere le decisioni conciliari dalle altre decretali pontificie. Quattordici articoli dispersi trattano della riforma della Chiesa in generale (difesa delle libertà ecclesiastiche e riforma dei costumi dei chierici). Più importanti sono però i decreti che riguardano alcune questioni particolari.
Due decreti speciali sono diretti contro i begardi e le beghine. Si denunciano come erronee le dottrine da questi propugnate, facenti capo ad una specie di panteismo generatore di licenziosità nell’ambito morale, e si decreta lo scioglimento delle loro associazioni. C’è da dire che questo decreto colpì però anche alcune comunità del tutto ortodosse, che per questo furono poi perseguitate dalle autorità. Due decreti assai lunghi cercarono porre rimedio ad alcune questioni che da tempo dividevano l’Ordine Francescano. In seno allo stesso, infatti, si opponevano due schieramenti: quello dei conventuali (il partito di maggioranza) e quello degli spirituali (i rigoristi). A dividere gli stessi erano visioni molto differenti sul problema degli studi dell’usus pauper, di quello relativo al carattere obbligatorio della regola e del testamento di S. Francesco, così come il tema del valore delle dichiarazioni pontificie concernenti la regola. Il concilio seguì una via di mezzo: fu condannata, senza però che il suo nome venisse fatto esplicitamente, la dottrina dello spirituale Giovanni Olivi sulla natura dell’anima intellettuale e, al contempo, furono censurate le infrazioni più gravi alla povertà francescana. Gli spirituali non riuscirono a raggiungere però quello che era il loro scopo fondamentale: l’essere raggruppati in un ordine speciale e separato rispetto a quello dei conventuali. Nessuna meraviglia quindi che le discussioni ripresero poi, e con maggior forza, sotto il successivo pontificato di Giovanni XXII. Infine, alcuni decreti concernono i rapporti degli ordini mendicanti con il clero secolare. Anche qui fu seguita una sorta di via di mezzo: fu rimessa in vigore la bolla Super cathedram di Bonifacio VIII favorevole ai prelati, ma si mantenne l’esecuzione per gli ordini mendicanti.
Il Concilio di Vienne non si occupò della Crociata che in modo molto parziale: i vescovi accordarono una decima di sei anni, ma questa concessione non fu fatta che dopo l’approvazione del re di Francia. Nella dodicesima sessione, dopo la soppressione dell’Ordine dei Templari, il Papa annunziò che il re di Francia avrebbe preso la croce da lì ad un anno con i suoi fratelli e figli. Subito dopo, Clemente V concesse allo stesso la decima di sei anni, accordandogliene un’altra di ulteriori quattro anni. Infine il concilio decise la creazione di cattedre di lingue orientali (ebraico, siriano, arabo) nella sede della Curia a Parigi, Oxford, Bologna e Salamanca. Era una concessione della teoria delle missioni difesa da Raimondo Lullo, la quale proponeva di sostituire alle spedizioni di tipo militare delle missioni ad Oriente di carattere spirituale.
Adriano Virgili
Alcuni riferimenti bibliografici:
Pietro Palazzini (a cura di), Dizionario dei concili, Roma, Città Nuova, 1963-1968, VI Voll.
Giuseppe Alberigo (a cura di), Decisioni dei concili ecumenici, Torino, UTET, 1978
Pierre-Thomas Camelot, Paul Christophe, Francis Frost, I concili ecumenici, Brescia, Queriniana, 2001
Klaus Schatz, Storia dei Concili. La Chiesa nei suoi punti focali, Bologna, EDB, 2012
Marina Benedetti (a cura di), Storia del cristianesimo. L’età medievale (secoli VIII-XV), Roma, Carocci, 2015
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