Sant’Ireneo di Lione (Smirne 130 – Lione 202) è uno dei più importanti padri della Chiesa ed è attualmente il teologo cristiano più antico tra coloro che sono stati proclamati dottori della Chiesa, ma anche quello di più fresca nomina, per dir così, in quanto la cosa risale al gennaio dell’anno in coro.
Discepolo di San Policarpo di Smirne, emigrò in Gallia, dove divenne presbitero della Chiesa di Lione durante il principato di Marco Aurelio. Nell’ambito della controversia montanista fu inviato come legato lionese a Roma e al suo ritorno fu scelto per succedere al martire Fotino come vescovo della città. In questa veste si oppose strenuamente agli insegnamenti allo gnosticismo e in merito alla controversia sulla Pasqua consigliò a papa Vittore I di preservare la pace con le chiese dell’Asia Minore. C’è da ritenere che la fioritura di cui il cristianesimo fu testimone durante il II secolo un po’ in tutta la Gallia debba molto alla sua opera. Degli ultimi anni della sua vita non si sa praticamente nulla e solo alla fine del VI secolo Gregorio di Tours (Hist. Francorum 1.27) gli attribuisce il martirio.
Ireneo fu un teologo molto dotato ed il pensiero cristiano successivo gli è enormemente debitore. Solo due delle sue opere ci sono giunte in modo completo.
La sua opera maggiore è L’individuazione e il rovesciamento della falsa gnosi, in cinque libri, che viene però comunemente citata con la designazione di Adversus haereses (Contro le eresie). Di questa ci è giunta una traduzione completa in latino (probabilmente eseguita quando l’autore era ancora in vita) e diversi frammenti del testo originale greco conservati nelle opere di Ippolito di Roma, Eusebio di Cesarea, Epifanio di Salamina e Teodoreto di Cirro. Dei libri IV e V abbiamo anche una traduzione armena, mentre in siriaco ce ne sono giunti 23 frammenti. Il I libro tratta principalmente dell’individuazione della falsa gnosi e costituisce una preziosissima storia dell’antico gnosticismo. I successivi tre libri contengono delle dettagliate ed argute confutazioni degli insegnamenti gnostici tramite argomenti tratti dalla ragione (II libro), dall’insegnamento e dalla tradizione degli Apostoli (III libro) e dai detti del Signore (IV libro). Il V libro tratta delle delle “cose ultime”, specialmente la risurrezione del corpo (ferocemente avversata da tutti gli gnostici), e si conclude con alcune osservazioni sul millenarismo.
Un’altra opera di Ireneo giunta fino a noi, grazie ad una versione armena scoperta all’inizio del XX secolo, è la Dimostrazione della predicazione apostolica. Anche questo testo però fu scritto originariamente in greco ed era precedentemente noto solo attraverso un riferimento reperibile in Eusebio di Cesarea (Hist. Eccl. 5.26). Si tratta un’opera apologetica che contiene una precisa e sintetica esposizione delle dottrine cristiane fondamentali e che presenta le profezie del dell’Antico Testamento come prove della verità della rivelazione cristiana.
Alcuni estratti da una lettera di Sant’Ireneo a Vittore I relativi alla controversia sulla Pasqua sono citati da Eusebio (ibid., 5.23.3; 5.24.11-17). Possediamo anche un frammento siriaco di un’altra lettera allo stesso papa. Eusebio di Cesarea ci dà poi notizia di altri suoi scritti, che però sono andati interamente perduti.
Il pensiero teologico di Sant’Ireneo è totalmente determinato dalla lotta contro la gnosi o, in altre parole, dall’individuazione delle differenze essenziali tra le dottrine degli gnostici e quelle del cristianesimo ortodosso. È proprio nello stabilire i fondamenti necessari a questa lotta che egli raggiunge la sua più grande originalità e che getta le basi dell’influenza esercitata dal suo pensiero nella storia della teologia.
Per Sant’Ireneo, la verità della fede cristiana è così fermamente chiara che egli non ha alcuna stima per l’insegnamento gnostico, specialmente per la sua mitologia: la ragione ne mostra già la stoltezza. Inoltre, ci sono le sacre Scritture, i cui fermi parametri canonici il santo già conosce; questi scritti formano un corpo di verità conchiuso e pienamente sufficiente che gli eretici cercano erroneamente di ridurre o ampliare. La prova della tradizione autentica è un terzo criterio di verità. Questa verità fu affidata all’inizio agli apostoli ed è continuata in linea diretta nelle chiese che essi fondarono, fra le quali la chiesa di Roma ricopre una posizione speciale come prima inter pares (haer. 3,3,2). I tre pilastri della tradizione, della sacra Scrittura e della comprensione razionale nei riguardi della fede costituiscono il luogo della verità, la quale è appunto raggiungibile solo attraverso la conoscenza dei suddetti. Sant’Ireneo chiama questo luogo della verità “canone della verità”.
Diventa così comprensibile il piano di salvezza per gli esseri umani, la “divina economia”. II fatto che gli gnostici, con la loro visione dualistica, pensino di vedere la realtà come un caos, ostile a Dio e creato da un demiurgo, prova che c’è qualcosa di completamente opposto: un ordine di salvezza, stabilito dall’unico Dio e creatore, che si sviluppa gradualmente con un dinamismo irresistibile; in quest’ordine l’incarnazione di Gesù Cristo si doveva accordare con la disobbedienza di Adamo in una “ricapitolazione”, un “ristabilimento” che parte al momento decisivo. Attraverso l’incarnazione e l’invio dello Spirito gli esseri umani, che sono ancora in cammino e capaci di salvezza solo in modo condizionato, sono portati più vicino a Dio e condotti alla loro meta, vale a dire la risurrezione del corpo e alla partecipazione alla Spirito divino.
Anche nell’escatologia di Ireneo si intravvede chiaramente l’influenza di questa sua teoria della ricapitolazione. L’anticristo è il contrapposto demoniaco di Cristo, giacché è il ricapitolatore di ogni apostasia, ingiustizia, malizia, falsa profezia, inganno, dall’inizio fino alla fine del mondo. La teoria del “ristabilimento” del mondo spinge Sant’Ireneo a propugnare una forma moderata di millenarismo. Per lui, infatti, è necessario che i giusti nella creazione rinnovata, all’apparizione di Dio, risorgano, ricevano l’eredità che questi ha promesso ai padri e regnino in essa, prima che avvenga il giudizio. Questo perché è giusto che ricevano la ricompensa delle proprie fatiche in questa stessa creazione in cui hanno sofferto e sono stati afflitti, messi a dura prova in tutte le maniere dal dolore; che, nella creazione in cui furono messi a morte per amore di Dio, vivano una nuova vita; che, nella creazione in cui hanno sopportato la schiavitù, ora esercitino il regno. Giacché Dio è ricco in tutto e tutto gli appartiene. Bisogna dunque che la creazione stessa, restaurata nella sua prima condizione, sia senza restrizione sotto il dominio dei giusti.
Adriano Virgili