È famoso il sogno che ebbe San Girolamo, in cui un uomo vestito di bianco gli chiedeva chi fosse, e, alla sua risposta “Christianus sum” – “Sono cristiano”, si sentì dire “Ciceronianus es, non Christianus!” – “No, tu sei ciceroniano, non cristiano!”. Da lì sarebbe iniziata la conversione del santo traduttore. Reale o meno, questo episodio è emblematico di un grande dubbio che attanaglia almeno due dei più grandi scrittori non solo della letteratura latina, ma di tutti i tempi: san Girolamo, appunto, e sant’Agostino. Due santi per certi versi opposti, talvolta in aperto contrasto (sant’Agostino preferì sempre la Vetus Itala, per quanto scorretta, alla Vulgata di Gerolamo), eppure così simili, specie per questo intimo tormento: Roma era ancora viva, era eterna, immortale nella sua grandezza -sappiamo quale shock fu il sacco del 410 per il santo d’Ippona-, e la sua letteratura così grandiosa, così maestosa. Ma c’era stata una grande rivoluzione, una rivoluzione che aveva cambiato tutto senza cambiare nulla: Gesù Cristo. Una bomba era detonata e aveva sparso nel mondo qualcosa di nuovo, eppure all’apparenza era rimasto tutto come prima: quando Cristo morì sulla Croce l’Eneide aveva vent’anni, le Odi di Orazio erano appena state scritte, e addirittura le Storie di Tacito erano ancora di là da venire.
I due santi erano cresciuti nella cultura letteraria della loro epoca: sant’Agostino disprezza le favole degli antichi, eppure è un retore, manipola la lingua da virtuoso qual è, e nel suo programma educativo inserisce un libro, il “De Musica“, in cui discute di metrica. Ma certe cose dette dagli antichi pagani erano troppo insostenibili. Il fascino della letteratura, la forza della Verità: come mediare? Per questi due santi, una mediazione esplicita non arriverà mai: le loro opere, però, per lo stile, per gli interessi che dimostrano, provano che un compromesso, di fatto, c’è stato. La letteratura è servita a formare il gusto, il ragionamento, i valori. E oggi? Nel mondo dei post, delle didascalie, dei tweet, a che serve ancora la letteratura? E soprattutto: a che serve la letteratura per un cristiano? Il fenomeno cui assistiamo è ben strano: libri e scrittori si moltiplicano, i lettori diminuiscono. Dopo Harry Potter, non c’è più stato alcun vero caso letterario degno di questo nome: ogni scrittore è una sorta di idolo per il proprio pubblico, ristrettissimo. Sfido chiunque a trovare 50 persone che avessero sentito parlare dell’attuale Nobel per la letteratura prima dell’annuncio. Libri su tutto, ma molti sul benessere, specie interiore. La risposta, allora, è chiara: l’uomo cerca sempre le stesse cose, da Omero a oggi – la felicità e la gioia. La letteratura, in quanto arte, innanzitutto deve essere piacevole, ma non basta: un libro bello è un libro che ci ricorda che l’uomo è in grado di compiere azioni nobili, alte, è in grado di provare ad aspirare a qualcosa di più. L’apostolato della letteratura, quindi, è questo: l’uomo che indica all’uomo la parte migliore di sé.
Matteo Zaccaro
Foto di 0fjd125gk87 da Pixabay
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