L’Oriente sognato
In un periodo, come quello attuale, che vede un frate filippino (Gerard Timoner III) come Maestro dell’Ordine dei Predicatori, è inevitabile sporgere lo sguardo oltre i confini europei, verso il lontano Oriente.
Già Umberto di Romans, uno dei primi maestri dell’Ordine (sec. XIII) ritiene un “desiderio del suo cuore” che “il nome di Gesù Cristo sia predicato a tutti […]”, evidenziando, con grande pragmatismo, come il primo ostacolo in ciò sia “la mancanza di conoscenza delle lingue” – in particolare, ciò può ritenersi vero, non solo per la lingua, ma anche per la cultura cinesi – ed il secondo “l’amore della terra natale”. Cantalamessa, un autore ecclesiastico contemporaneo, osserva, del resto, argutamente, come vi sia una certa asimmetria nei dibatti tra fede e ragione: “il credente condivide la ragione con l’ateo, il quale però non condivide la fede nella rivelazione del credente. Per questo, il dibattito più giusto tra fede e ragione avviene nella stessa persona, tra la propria fede e la propria ragione”[1] . Una precisazione importante, oltreché vera, da compiere, prima di addentrarci all’interno di un dibattito culturale che rischia di essere impossibile, senza smantellare i nostri preconcetti culturali.

L’evangelizzazione domenicana in Cina inizia, in effetti, ben prima dell’età moderna, poiché lo stesso Marco Polo, autore del celeberrimo Il milione, è considerato affine all’ordine domenicano[2]. Anzi, quando gli ordini mendicanti si dirigono verso il domino mongolo di Gengis Khan, il cristianesimo aveva già compiuto il proprio ingresso in Cina, tramite le Chiese nestoriane (o, meglio: siriache[3]), percorrendo la via della seta: stiamo parlando di un periodo che va dalla metà del VII secolo all’inizio del X (dinastia Tang). Almeno prima del 650, era già attestata la presenza di comunità cristiane, avvalorando l’impegnativa attestazione di p. Nicolas Standaert SJ, sinologo di Lovanio, che il “cristianesimo è già nelle radici della Cina”: le prime esperienze, pur minoritarie, non sono mai venute meno, in 1400 anni.
Nel 1493, papa Alessandro VI decide di dividere il mondo dei “gentili” in due zone di influenza politica, oltreché ecclesiale, attraverso la bolla Inter Caetera: le “nuove Indie” sono affidate alla Spagna, mentre l’Oriente diventa patroado portoghese. Ciò rappresenta un impedimento alle missioni. Solo nel 1633, diminuito il monopolio portoghese, è possibile l’ingresso di missionari in Cina. A ciò si aggiunge un altro fattore, cioè la discontinuità dell’Impero cinese: in particolare, dopo la dinastia Ming, con la calata della dinastia Mancese (dalla Manciuria) a metà del Seicento, si verifica un periodo di grande fermento (politico e culturale) che favorì l’ incontro con culture straniere.
LUO WENZHAO ( 羅文炤 ): un tentativo incompiuto?

Luo Wenzhao nasce a Fu’an (Fujian, nel sud-Est della Cina), tra il 1610 e il 1615, dove i domenicani, nel secondo ventennio del Seicento, erano riusciti ad entrare. L’incontro con i missionari domenicani (che collaboravano, specialmente in quelle zone, coi francescani) lo porta alla conversione, proprio nel 1633, anno in cui termina il dominio portoghese sull’Asia, riceve il Battesimo.
È un momento difficile, per la Chiesa cinese, perché sono morti i tre “pilastri” (come li chiama Matteo Ricci) della chiesa cinese: Li Zhizao, Yang Tingyun e Xu Guangqi. Luo è la dimostrazione che non c’è uno iato così ampio (come pare dalla narrazione più nota) tra i destinatari delle predicazioni dei gesuiti e degli ordini mendicanti, tanto è vero che Luo, domenicano, arriva persino a corte.
Vi è poi la questione dei “riti cinesi”: molto importanti, per la Cina, sono sempre stati (e sono tuttora) i culti riservati agli antenati. La domanda fondamentale è se siano da ritenersi (solo) un’eredità ancestrale da preservare, in quanto elemento culturale, oppure, per i cattolici cinesi, è da considerarsi una forma di idolatria da evitare – c’è da considerare, tra le altre cose, la contingenza tra valori “civili” e religiosi. Si manifestano principalmente due atteggiamenti: da una parte, i gesuiti si rivelano più concilianti, interpretando il fenomeno nel primo modo, mentre, al contrario, gli ordini mendicanti, maggiormente impregnati nell’esperienza di evangelizzazione popolare, rilevando un alto rischio di confusione tra idolatria e venerazione dei defunti, tendono a proibirli.
In un contesto culturale e linguistico così complesso, la decisione della Chiesa fu quella di proibirli (per incompatibilità con la dottrina cristiana, sancita da una bolla, nel 1642). Ciò ha come conseguenza l’espulsione dei missionari dalla Cina, per due secoli. La questione è stata riaperta solo nel Novecento, con condizioni del tutto differenti.
Gregorio Lopez Luo Wenzhao[4]: così è battezzato nel 1633 (già almeno adolescente, forse perfino ventenne), ad opera di un francescano, p. Antonio de Santa Maria Caballero (OFM); nonostante tale esperienza sia per lui sicuramente positiva (lo ricorda quale suo padre spirituale), esprime il desiderio di entrare nell’ordine dei Frati Predicatori (OP), che, dopo qualche contrasto, realizza nel 1651. Primo sacerdote domenicano cinese della storia, fu ordinato nel 1654. A differenza dei missionari, dimostra di avere una “marcia in più”: non ha imparato il cinese, è madrelingua, ma, paradossalmente, ha scelto di avvicinarsi a una realtà contraria ai riti tradizionali. Alcuni suoi confratelli intuiscono l’importanza della testimonianza di un sacerdote, domenicano, ma cinese di nascita, sulla spinosa questione. Luo, sorprendentemente, si definisce a favore dei riti tradizionali: presso il collegio di Santo Tomas, a Manila, alla luce del pensiero di san Tommaso, ha, infatti, intuito la possibilità di conciliazione tra il pensiero cinese e il cristianesimo, nell’urgenza che la chiesa, in Cina, fosse cinese. Un modus cogitandi, che, a ben pensarci, è pienamente in linea anche con un altro grande esempio di missionario, vale a dire quel Daniele Comboni che mai si stancò di ribadire che “l’Africa si salva con l’Africa”, perché «se Cristo non parla con il cuore di quella realtà, portando alla nascita delle chiese locali, è come se l’incarnazione fosse rallentata» (P.G. Galassi).

Giunta fino a Roma la storia di Luo, si pensa di nominarlo vescovo di Basilinopolis, poiché avrebbe potuto compiere un intervento risolutivo per i problemi della Cina[5] nel 1673,ma riesce a diventarlo effettivamente solo l’anno successivo.
“Da chiunque sia detta, la verità proviene dallo spirito santo”: questo adagio, proveniente dall’Ambrosiaster, spesso ripetuto da san Tommaso[6], diviene l’attestazione con cui il Dottore Angelico riconosce verità, anche quando provenienti da autori non cristiani. Tramite questo adagio, Luo, che durante la propria vita, cerca di dare carne e sangue a quest’affermazione, con la sua stessa persona, nella lontana Cina, resta scagionato e, anzi, pienamente giustificato.
L’Armenia: crocevia di popoli e culture

Una vicenda analoga, quasi coeva, è quella che coinvolge una nazione altrettanto ricca a livello culturale, sebbene si tratti di un contesto decisamente diverso. La prima nazione cristiana è proprio questa, l’Armenia, che con il suo re, Trtdat (Tiridate) III, si converte nel 301 (ben prima, quindi, degli Imperatori Romani!).
In questa terra, Mekhitar di Sebaste si rende protagonista di un altro importante intervento di mediazione culturale che, senza negare la propria cultura d’origine, trova il modo di far interagire il tomismo occidentale con la millenaria cultura armena.
I domenicani incontrano in senso proprio gli armeni e la loro cultura, nel momento in cui furono inviati missionari domenicani in Mongolia; in un certo senso, nel tragitto verso la meta, nel Khanato dell’Armenia Maggiore, controllato dalla Persia, culla della cultura armena (attualmente, territori di Turchia, Azerbaijan e la stessa Armenia). Al contrario della Cina, non si tratta dell’incontro con un’altra religione, bensì con un’altra chiesa cristiana, con una ricchissima scuola teologica. Si tratta di nestoriani (seguaci del monofisismo), per cui ritenuti eretici: conoscendoli da vicino, in realtà, risultano molto più vicini nella fede di quanto si credesse.
Nel Medio Evo, i domenicani hanno inizialmente rapporti con il regno armeno di Cilicia, nel XIII secolo (terra natale di san Paolo – piccolo regno armeno, che si trova nel sud-Est dell’attuale Turchia), la cui evangelizzazione non ha però successo, al contrario delle vicende in Mongolia.
Tramite la bolla papale Redemptor noster (1° aprile 1318), con cui papa Giovanni XXII decide di istituire delle diocesi prima che vi siano cristiani (con la conseguenza di legare diocesi anche a toponimi inesistenti!). In particolare, Bartolomeo De Podio, domenicano, è inviato vescovo a Maragà (una delle località in cui i khan mongoli di Persia risiedevano): parla solo persiano e stentatamente il mongolo. I persiani sono in genere musulmani, i mongoli sono tolleranti, ascoltano volentieri le predicazioni dei domenicani e spesso sono girovaghi anche nella religione, ma non riesce a convertire nessuno Al contrario,Yovhannēs Kʽṙnecʽi, monaco armeno, abate di Kʽṙna, nell’attuale Naxçıvan, cioè in Azerbaijan sente parlare di questo domenicano : andandolo a trovare, ne scopre la cultura immensa, rimanendone affascinato, dal momento che la disputa teologica è tipica della cultura armena . Rimane affascinato dal metodo tomista, poiché favorisce la disputa teologica ed ha come suo fondamento la Sacra Scrittura, Padri della Chiesa e la filosofia, vale a dire proprio ciò che incontrava esattamente gli interessi armeni. Invita, quindi, Bartolomeo a Kʽṙna e questi vi rimane, creando una scuola tomista e, addirittura, una congregazione: i Fratres unitores (fratelli unitori) di san Gregorio Illuminatore, una congregazione di armeni, che si uniscono alla Chiesa di Roma, con lo scopo di unire le due chiese, sulla base di quanto le unisce. Sono effettuate diverse traduzioni, ad esempio della Summa Theologiae ed altri testi della cultura occidentali, insieme alla produzione di altri testi, scritti appositamente, per uso scolastico, così da creare un vero e proprio studio, secondo l’abitudine occidentale. Ciò attira anche l’attenzione degli armeni apostolici, dei quali il più famoso è Grigor Tatevazi (San Gregorio di Tatev, il “Tommaso d’Aquino della Chiesa Armena”), noto per la sua opera Il libro delle domande (organizzato, grosso modo, per quaestiones, sulla scorta della Summa tommasiana). Questa congregazione aveva delle peculiarità originali, tra cui quella di celebrare secondo il rito domenicano[7], ma in lingua armena.
In età moderna, con l’avvento di Tamerlano, sono isolati i fratelli unitori, circondati dalla cultura islamica. Alcuni di loro sono stanziati in Crimea, nel convento di Qaffa ed offriranno un importante apporto come teologi, durante il concilio di Firenze-Ferrara (1438-39), tanto che il decreto Pro Armenis riporta un testo di Tommaso d’Aquino (la sua risposta all’arcivescovo di Palermo sui sacramento, testo conosciutissimo in armeno, in quanto tradotto dai fratelli unitori).

Nel Cinquecento, con il concilio di Trento e un’organizzazione sempre più centralizzata anche degli ordini religiosi, anche l’Ordine Domenicano sopprime la congregazione dei fratelli unitori, che diventa la Provincia Axvanensis (il territorio del Naxçıvan, attuale Azerbaigian). Su sollecitazione di Propaganda Fide[8], molti missionari italiani sono inviati in queste terre . Alcuni dimostrano poca tolleranza nei confronti della cultura locale; uno di questi è il domenicano p. Paolo Piromalli, il quale è ricordato per aver distrutto una cappella armena, per farne un forno adibito alla produzione di pizze e focacce, ma, più nello specifico, per aver ritenuto la lingua armena “inadatta alla teologia” (in particolare, non si capacitava del fatto che fosse priva di generi grammaticali). Alcuni frati armeni sono inviati a studiare a Bologna e a Parigi: anche in questo caso, nasce un’opposizione ed è loro impedito di celebrare a Saint-Jacques, secondo il rito cui erano abituati, vale a dire quello armeno. Questa comunità armena cessa infine la propria esistenza con guerre impero ottomano- safavidi (1603–1618).
MEKHITAR DI SEBASTE (Մխիթար Սեբաստացի) : il tomismo come mediazione culturale
Mekhitar di Sebaste (7 febbraio 1676, Sivas – Sebaste –, Turchia – 26 aprile 1749, San Lazzaro degli Armeni, VE) non è un domenicano, ma conosceva molto bene la tradizione domenicana e tomista.

In età moderna, si verificano diversi tentativi di unione con Roma e si realizzano alcune piccole unità amministrative cattoliche, in particolare il patriarcato armeno-cattolico di Cilicia (Turchia) nel 1742. Mekhitar, figlio di un mercante, nasce a Sivas (Sebastia) ha nome Manug Petrossean). I monasteri armeni che in quella città avevano sede non esistono più, essendo andati distrutti durante il genocidio armeno (1915). I genitori avrebbero voluto farne un mercante, ma ha un carattere ribelle e la leggenda narra di una fuga sulle montagne a quindici anni, per vivere da eremita, a seguito della quale, i genitori, rassegnati, accettano entri in monastero purché ritorni. Da monaco, quando entra nel monastero del Santo Segno (Sivas), sceglie il nome Mekhitar, che significa “Consolatore, Paraclito (nome dello Spirito Santo)”. Qui (1693), legge la Reconciliatio, del teatino Clemente Galan, testo bilingue, che raccoglie tutte le testimonianze, storiche e magisteriali, che suggerivano la possibilità di unione tra la chiesa armena e quella di Roma. Per Mekhitar, il Papa “presiede nella carità”[9] la chiesa universale. Conosce diversi cattolici, affronta un avventuroso viaggio ad Aleppo (dove chiede direzione direzione spirituale ad un gesuita) e, tornato al monastero, è ordinato sacerdote (1696).
Nel 1700 si trasferisce a Costantinopoli, tra i Latini, dove resta incerto un contatto con i domenicani, mentre è accertato quello coi Gesuiti. L’anno successivo, aderisce pienamente alla chiesa di Roma, fondando una congregazione di monaci, (riforma del monachesimo antoniano-armeno). Si trasferisce, in seguito, a Modone (nel Peloponneso, all’epoca, colonia veneziana). Inviati due monaci a Roma, dal Papa, è chiamato ad aderire a una regola approvata dal concilio Lateranense IV (1215)[10]: non è chiaro se scelga oppure gli sia imposta quella di san Benedetto. Essendo Modone assediata dai Turchi, si trasferisce all’ isola di san Clemente (VE) nel 1715; la Repubblica di Venezia regala ai monaci l’isola di san Lazzaro, dove morirà nel 1749. Ancor oggi, sussiste l’ordine mechitarista, ramo dell’ordine benedettino, che a lui si si spira.
Una vita all’insegna di un desiderio profondo: potersi unire a Roma, ma senza perdere nulla della millenaria cultura armena. I pilastri della cultura armena sono la lingua (San Mesrop Mashtots ne crea l’alfabeto, proprio in vista della traduzione della Scrittura, nel V secolo), la cultura e la liturgia armena ; impegno di una vita è stato trovarne la conciliazione con i pilastri della cultura occidentale, vale a dire la paternità spirituale di san Benedetto da Norcia e la scolastica tomistica di Tommaso e Alberto (capace di unire lo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa con la filosofia, congeniale, per altro al mondo armeno). A San Lazzaro degli Armeni, è rimasta traccia della sensibilità di Mekhitar, dato che, ancor oggi, rappresenta la più grande raccolta di testi tomistici, traduzioni comprese, davanti alla biblioteca di Vienna e alla Biblioteca Ambrosiana. Si occupò anche di una delle prime stampe del Compendium Theologicae Veritatis di Ugo di Strasburgo (1200-1268), attribuito, però, ad Alberto Magno († 1280), così come, a titolo di esempio, Brevis et utilis doctrina christiana dei domenicani Petros Pʽēhlowan e Grigor Gowliar del convento di Ĵaouk, testimonianza di come la sua idea fosse di rendere disponibili a tutti, non solo ai monaci, le opere tomiste.
Vediamo, quindi, un’evidente analogia con la biografia di Luo Wenzhao: due tentativi, quasi coevi, seppur geograficamente assai distanti, di unire cultura locale e magistero della Chiesa universale, in un “mirabile scambio”, in cui ambedue ne escono arricchiti e nessuno risulta impoverito.
Attualità: intercultura e Incarnazione
Luo e Mekhitar, con la loro singolare ed affascinante esperienza biografica, possono parlare ancora a noi, oggi, uomini del 2025?
Innanzitutto, il motivo è l’Incarnazione[11]: in Gesù Cristo, Dio non ha soltanto preso sembianze umane, ma ha assunto in sé, per così dire, tutto il contesto storico e il corollario che riguarda l’uomo (la sua provenienza familiare, la sua lingua, la cultura, le sue storie ancestrali, con le sue tradizioni che perdono la loro origine nella notte dei tempi).
Secondariamente, J. Ratzinger, parla del «mistero della Chiesa come luogo concreto dove Dio ci viene incontro», perché «l’amore eterno di Dio, (…) infatti, non cerca solamente uno spirito isolato che sarebbe (…) solo un fantasma rispetto alla realtà dell’uomo ma l’uomo nella sua interezza, nel corpo della sua storicità»[12]. In questo passo, il Professore parlava, in modo particolare dei sacramenti, come «risposta alla domanda aperta dell’essere umano»[13].
Ancora oggi, forse ancora più di ieri, l’uomo, inquieto, cerca risposte alle sue domande. E oggi, ancora più che nell’età moderna, la Chiesa è chiamata a confrontarsi con altre culture e perfino religioni.
Ecco perché, oggi, con ancora maggiore vigore, è in atto un appello urgente, affinché siamo in grado di cogliere i semina Verbi di qualunque cultura entri in contatto con noi. Perché, proprio in virtù di quell’Incarnazione di Gesù di Nazaret – che ha vissuto per le strade della Galilea, predicando per la Samaria e la Giudea, imbevuto di cultura giudaica, ma in contatto anche con quella ellenistica – non possiamo chiamarci fuori dalla necessità di entrare in dialogo, con rispetto e sincerità, con quelle culture millenarie che si affacciano nei nostri luoghi, attraverso i volti di fratelli venuti da lontano.
Maddalena Negri
[1] R. Cantalamessa, Io sono la luce del mondo, seconda predica, Quaresima 2024 (1 marzo1° marzo 2024)
[2] La diffusione di quest’opera fu infatti garantita dall’opera dei domenicani (in particolare di Venezia) presso le accademie in traduzione latina , mentre la famiglia Polo – è scoperta recente – donò all’Ordine un terreno per l’edificazione di un convento, tramite un lascito testamentario.
[3] Così sono chiamate le chiese orientali che si rifiutarono di accettare il concilio di Efeso del 431. Che attestava la Madonna come Theotokos (madre di Dio – non solo di Gesù come uomo)
[4] Secondo la tradizione del tempo, aggiunge anche un cognome che tradisce l’apporto spagnolo in quelle terre, che, a conclusione del padroado portoghese, avevano conquistato una roccaforte a Manila, nelle Filippine, e l’attuale isola di Taiwan (allora: Formosa).
[5] Dal 1665, per un anno, fu l’unico che poté occuparsi della pastorale in Cina, poiché per quel periodo fu proibito l’ingresso a missionari non cinesi.
[6] Summa Theologiae, I-II, q.109 a. 1 ad 1, che riprende l’AMBRIOSIASTER, nein In Prima Cor 12,3, rinvenibile in PL 17, 258 – a sua volta, citato da Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, n. 44
[7] Fino al Concilio Vaticano II, la maggior parte degli ordini religiosi aveva un proprio rito; dopo di esso, la maggioranza degli ordini “universali” ha aderito al rito romano, solo qualche eccezione va ricordata per quegli ordini, tipici di un territorio con rito proprio, che ne seguono il rito (un esempio possono essere le Romite ambrosiane, stanziate a Varese, che seguono il rito ambrosiano)
[8] La Sacra congregazione “De propaganda fide” è il dicastero pontificio nel quale si concentra la direzione e il governo generale dell’attività missionaria cattolica nel mondo; risale a Gregorio XV, il quale con la bolla Inscrutabili divinae (22 giugno 1622) risuscitò la congregazione “super negotiis Fidei et Religionis Catholicae”, la cui istituzione era stata decisa il 6 maggio 1599. Vedi Treccani. Attualmente, tale ruolo è svolto dal dicastero per l’evangelizzazione.
[9] Cfr. preambolo della lettera ai Romani, di Ignazio di Antiochia
[10] La scelta era, quindi tra: agostiniana, francescana, basiliana, benedettina
[11] Mistero che, più ancora che nel Natale, meditiamo nella solennità dell’Annunciazione, che cade ogni anno il 25 marzo
[12] J. RATZINGER, Teologia della liturgia, LEV, 2010, p. 241
[13] ibidem
Rif. Qui l’incontro integrale, che ha avuto luogo il 25 febbraio u.s., grazie all’intervento di Pier Giorgio Galassi OP con la riflessione su Luo Wenzhao e ad Alberto Casella OP con il suo intervento su Mekhitar di Sebaste presso la Sagrestia del Bramante, del convento di s. Maria delle Grazie a Milano.
Fonti immagini: Wikimedia (licenza creative commons), cartina dell’Armenia, The Paper.cn, il cuore veneto, Biographical Dictionary, Aurora
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