
Questo mese voglio iniziare con il premio strega 2025. L’anniversario è un romanzo breve, ma potente, che racconta il ritorno di un figlio nella casa dei genitori, dopo molti anni di silenzio e distacco. Attraverso un monologo interiore intenso e profondo, il protagonista ripercorre la propria infanzia e adolescenza, segnate da rapporti familiari complessi, in particolare con un padre autoritario e una madre silenziosa. Il libro esplora temi come la liberazione dal peso del passato, il diritto di allontanarsi da chi ci ha fatto soffrire e la ricerca di una propria identità libera da vincoli emotivi oppressivi. La scrittura di Bajani è essenziale, evocativa e lascia un’impressione duratura, capace di toccare le corde più intime del lettore. L’anniversario è una riflessione sulla libertà personale e sulla necessità di trovare la propria strada anche quando ciò significa rompere con il passato. È una lettura intensa e profonda che rimane impressa molto tempo dopo aver chiuso il libro. Voto 5/5

Un libro toccante è Io, bambino zero: un libro duro, necessario, e profondamente toccante. Non è solo una testimonianza, ma una vera e propria resa dei conti con il passato. Davide Tonelli, l’autore, racconta la propria infanzia segnata da un errore giudiziario che lo ha travolto e trasformato in un inconsapevole detonatore di una catena di dolore e ingiustizia. Il titolo stesso è emblematico: “bambino zero” come paziente zero, il punto da cui tutto è partito. E da lì si dipana la narrazione: un’infanzia in cui la verità viene lentamente distorta, compressa, manipolata da adulti che dovevano proteggerlo, ma che invece hanno proiettato su di lui paure, sospetti e un intero impianto giudiziario pronto ad accettare il mostro piuttosto che dubitare della propria costruzione. Il racconto è lucido, crudo, e mai indulgente. L’autore non cerca giustificazioni: si interroga, si accusa, e solo in un secondo tempo comincia a ricostruire il quadro più grande. Davide era un bambino, e come tale fragile, influenzabile, soprattutto sotto pressione. Ma nel libro non c’è vittimismo. C’è il bisogno profondo di raccontare per non impazzire, di dare voce a un’intera infanzia spezzata. La narrazione alterna momenti di memoria viva, scene tratte dall’infanzia, a riflessioni adulte, spesso intrise di un senso di colpa insostenibile. Si sente la fatica di chi ha dovuto attraversare anni di silenzio, poi la rabbia, infine la necessità di ricostruire. Lo stile è diretto, asciutto, a volte, quasi brutale: perché la verità, quando arriva, non ha bisogno di abbellimenti. Il tema centrale è quello della memoria imposta. Il libro solleva domande profondissime: quanto può essere manipolabile un bambino? Quando una confessione diventa indotta? E soprattutto: quante vite possono essere rovinate quando si cerca il colpevole a ogni costo, anche se il colpevole non esiste? C’è anche, nel fondo del libro, un desiderio disperato di perdono. Non tanto da parte degli altri — perché il perdono di chi ha sofferto è difficile da chiedere — ma da parte di sé stesso. Il libro è un percorso di auto-riconciliazione, difficile e doloroso, ma necessario. È come se ogni pagina fosse un mattone gettato per ricostruire una casa crollata da tempo. Io, bambino zero è un libro che non si legge per passare il tempo. Si legge per ricordare. Per ascoltare. Per capire quanto può essere sottile il confine tra giustizia e abuso, tra protezione e sopraffazione. È una testimonianza che fa male, ma che va ascoltata. Lo consiglio a chi ha il coraggio di entrare nei meandri oscuri della nostra società, a chi cerca la verità anche quando è scomoda, e a chi crede che raccontare sia un atto politico, etico e umano. Voto 5/5

Altro bel libro è L’amore mio non muore: un romanzo intenso e commovente, in cui Roberto Saviano racconta la vera storia di Rossella Casini, una giovane studentessa universitaria che negli anni ’80 si innamora di un ragazzo legato alla ’ndrangheta, la mafia calabrese. Questa storia d’amore impossibile diventa simbolo di coraggio e resistenza contro la violenza e l’oppressione mafiosa. La narrazione è profonda e coinvolgente, capace di mettere in luce le difficoltà di chi cerca di opporsi a un sistema criminale radicato e violento, ma anche la forza dell’amore come motore di speranza e cambiamento. Saviano, con il suo stile diretto e appassionato, riesce a trasmettere al lettore il senso di ingiustizia e la determinazione di Rossella nel voler vivere liberamente, nonostante i rischi. Il libro è un invito a non dimenticare le vittime della mafia e a riflettere sul prezzo della libertà e della giustizia. Attraverso questa vicenda personale, Saviano offre una testimonianza potente e commovente, che unisce impegno civile e sensibilità umana. Racconto intenso e autentico di una storia vera. Forte messaggio di resistenza contro la mafia. Stile narrativo chiaro e coinvolgente. Alcuni passaggi possono risultare emotivamente impegnativi per il lettore. La vicenda è molto concentrata su un periodo storico specifico, che potrebbe richiedere conoscenze pregresse per apprezzarla appieno. L’amore mio non muore è un’opera che unisce storia, impegno sociale e sentimenti profondi, consigliata a chi vuole conoscere storie di coraggio e speranza contro ogni forma di ingiustizia. Voto 4/5

Un libro complicato è Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Petrolio si presenta come un’opera incompiuta di oltre 500 pagine, concepita come un “romanzo totale”. Non esiste una trama lineare nel senso tradizionale: Pasolini la struttura in 562 “appunti”, vale a dire segmenti narrativi, bozzetti, abbozzi di capitoli che possono contenere racconto, riflessione, sogno, diario, dialogo, saggio, pornografia, visione mistica. Questa frammentazione, volutamente antinarrativa, ricalca modelli come Joyce, Céline, e in particolare Gadda (La cognizione del dolore, Quer pasticciaccio brutto…), ma anche i modelli classici greci e la Commedia dantesca (struttura in canti/appunti e viaggio interiore). Pasolini inserisce frequenti commenti al proprio stesso processo creativo: riflessioni metanarrative, note per sviluppi futuri, indicazioni per eventuali revisioni. Questo rende il lettore testimone del laboratorio creativo dello scrittore. Alcune sezioni sono introdotte con didascalie come “da scrivere così”, “da ampliare”, “da correggere”. Si tratta dunque di un testo “aperto” nel senso ecoico, dove la responsabilità della chiusura interpretativa passa al lettore. Il protagonista, Carlo, è sdoppiato in due figure: Carlo di Polis (borghese, razionale, ingegnere dell’ENI) e Carlo di Tetis (irrazionale, erotico, visionario, decadente). Questo sdoppiamento permette a Pasolini di esplorare le contraddizioni interiori dell’uomo moderno, dilaniato tra ragione e pulsione, potere e dissidenza, progresso e corruzione. Lo stile è estremamente ibrido, con alternanza tra: registro alto e basso; frasi complesse, paratattiche, con lunghe digressioni; lessico tecnico, giornalistico, lirico e osceno convivono. L’uso della pornografia ha valenza filosofico-politica: non è gratuita, ma strumento per smascherare l’ipocrisia del potere e il degrado antropologico post-industriale.
Temi:
– Il potere economico e politico. Petrolio è anche un’inchiesta mascherata: attraverso Carlo, Pasolini indaga le trame occulte del potere italiano degli anni ’60 e ’70, in particolare attorno all’ENI, Mattei, il petrolio, la DC, i servizi segreti. – La mutazione antropologica: l’omologazione culturale, la fine delle classi subalterne, la borghesizzazione dell’Italia attraverso i consumi.
– La sessualità: come forma di verità e dannazione, ma anche come linguaggio alternativo e di resistenza. Il sacro e la colpa: in Petrolio emerge una spiritualità pagano-cristiana, piena di colpe, visioni e sacrifici. L’epifania del sacro avviene spesso nel corpo profanato.
Tecniche: Collage e montaggio cinematografico Come nei suoi film, Pasolini costruisce il testo come un montaggio di sequenze diverse, anche discordanti: il romanzo assume così una forma cinematografica. Contaminatio di generi Saggio, teatro, poesia, romanzo, diario, reportage, pamphlet politico convivono nella medesima opera. Scrittura automatica e surrealismo Alcuni passaggi ricordano la scrittura automatica surrealista, con derive oniriche e visionarie, come la celebre “Apparizione dell’Ing. Carlo al fratello nella stanza da bagno”, o l’episodio del “Partito della Ragione”. Conclusioni: petrolio è un’opera monumentale e labirintica, allo stesso tempo letteraria, politica e filosofica. È forse il testamento più complesso di Pasolini, che qui mette a nudo la crisi dell’Occidente attraverso un dispositivo formale estremo. La sua incompiutezza non è solo accidentale (Pasolini fu ucciso nel 1975 mentre stava ancora lavorandoci), ma diventa cifra stilistica e testimonianza di un processo mai compiuto di ricerca della verità. Voto 5/5

Eccoci arrivati al premio strega europeo: Il giorno dell’ape di Murray. Il giorno dell’ape è un romanzo che si presenta come un affresco familiare, ma si rivela ben più complesso e profondo. La storia ruota attorno alla famiglia Barnes, apparentemente ordinaria, ma segnata da tensioni, segreti e fallimenti. Dickie, il padre, è un ex imprenditore che, invece di affrontare la crisi della sua concessionaria, si rifugia nella costruzione di un bunker apocalittico. Imelda, la madre, cerca di mantenere le apparenze vendendo gioielli su eBay. I figli, Cass e PJ, mostrano segni di ribellione e disorientamento, riflettendo le difficoltà degli adulti. La narrazione si distingue per la sua capacità di mescolare umorismo e dramma, creando un equilibrio tra leggerezza e profondità emotiva. La scrittura di Murray è incisiva e ricca di sfumature, capace di tratteggiare personaggi complessi e situazioni familiari con grande realismo. Il romanzo esplora temi come la solitudine, la disillusione e la ricerca di senso in un mondo che sembra sfuggire di mano. Ciò che rende Il giorno dell’ape particolarmente interessante è la sua capacità di riflettere sulla condizione umana attraverso le dinamiche familiari. Ogni membro della famiglia Barnes affronta le proprie crisi personali, ma è nell’interazione tra di loro che emergono le vere sfide e le possibilità di redenzione. Il romanzo invita il lettore a riflettere sulle proprie relazioni e sul significato di “casa” in un’epoca di incertezze. In sintesi, Il giorno dell’ape è una lettura coinvolgente e stimolante, che offre uno spunto di riflessione sulla complessità della vita familiare e sulle sfide della contemporaneità. Voto 4,5/5

Un libro coinvolgente è Io che ti ho voluto così bene di Roberta Recchia. Questo è un romanzo che parla sottovoce, ma lascia un’eco lunga nel lettore. Racconta la storia di Luca, un ragazzo segnato da una tragedia familiare che lo strappa dalla sua terra e lo costringe a ricominciare altrove. Non è una storia d’azione, ma un cammino interiore fatto di memoria, rabbia muta, desiderio di pace. Roberta Recchia sceglie una lingua essenziale, asciutta ma intensa, che riesce a dire molto anche quando tace. La sua scrittura sembra costruita con la stessa cura con cui si ricompone una tazza andata in frantumi: ogni frammento è importante, ogni silenzio ha il suo peso. Il cuore del romanzo non è tanto ciò che accade, ma come si vive ciò che accade. Luca è un protagonista silenzioso, ma la sua interiorità è un fiume in piena. È un ragazzo che osserva, ascolta, trattiene. Il dolore non lo schiaccia, ma lo modella. Intorno a lui si muovono figure secondarie ben costruite, capaci di offrire spiragli di calore: uno zio, un’amica, una nuova scuola, un mondo che lentamente gli si riapre. Il titolo del romanzo è una dichiarazione mancata, un rimpianto, un abbraccio mai dato. E questo è esattamente ciò che si respira leggendo: l’affetto trattenuto, il bene che c’è stato ma non ha saputo farsi parola, eppure ha lasciato tracce. Tracce che il protagonista segue, a tentoni, per diventare finalmente se stesso. Profondità emotiva, senza sentimentalismo. Scrittura sobria e poetica, capace di evocare molto con poco Un protagonista credibile, umano, che resta a lungo nella memoria. Non è un romanzo per chi cerca ritmo serrato o colpi di scena Alcune parti possono apparire troppo rarefatte se non si è disposti ad ascoltare con attenzione. Un romanzo delicato, intimo, che affronta il tema del lutto e della ricostruzione personale con grazia e onestà. Io che ti ho voluto così bene è una storia che somiglia alla vita vera: fatta di ferite invisibili, gesti piccoli e tenerezze non dette. Voto 4,5/5

Per la fede, consiglio La forza della mitezza di Luigi Maria Epicoco che propone una riflessione profonda su una virtù spesso fraintesa: la mitezza. L’autore ci invita a vedere questa qualità non come segno di debolezza, ma come una forza interiore capace di trasformare relazioni e contesti sociali. Epicoco spiega come la mitezza consista nel saper accogliere con pazienza e rispetto, nel saper resistere alle provocazioni senza perdere la propria integrità. È una forza che nasce dall’umiltà e dalla consapevolezza di sé, che favorisce la pace e il dialogo in un mondo segnato da conflitti e tensioni. Il libro è scritto con uno stile chiaro e meditativo, che conduce il lettore a riflettere sul valore del silenzio, della pazienza e della tenerezza come strumenti di vera potenza morale. Attraverso esempi concreti e richiami spirituali, Epicoco mette in luce come la mitezza sia una forma di coraggio, capace di contrastare la cultura della violenza e dell’aggressività. Offre una visione nuova e incoraggiante della mitezza, lontana da stereotipi negativi. L’approccio è sia filosofico sia pratico, con spunti utili per la vita quotidiana. La scrittura è profonda ma accessibile, adatta a un pubblico ampio. Il tono meditativo può risultare lento, per chi cerca letture più dinamiche. Alcuni concetti potrebbero essere sviluppati con maggior concretezza o esempi pratici. La forza della mitezza è un libro importante per riscoprire una qualità che può apparire fragile, ma che in realtà racchiude un potere autentico e trasformativo. È una lettura consigliata a chi vuole approfondire il senso della pazienza, della gentilezza e dell’umiltà come strumenti di cambiamento personale e sociale. Voto 4,5/5
M. Alessia Del Vescovo

Con L’anima di Traiano tra inferno e paradiso: Storia di una leggenda medievale (Carocci, 2024), Vincenzo Tedesco consegna alla storiografia un’opera di notevole spessore. Si tratta, infatti, della prima monografia completa che affronta, in una prospettiva di lunga durata, una delle leggende più tenaci e paradossali dell’immaginario europeo: la salvezza ultraterrena di un imperatore pagano, talvolta etichettato come persecutore, per intercessione di un papa (p. 9).
L’autore imposta la sua indagine con un’abile mossa narrativa che cattura immediatamente l’interesse del lettore. Invece di iniziare dagli albori altomedievali della credenza, Tedesco parte dalla sua fine, da un enigma microstorico racchiuso in due fascicoli processuali dell’inquisizione di Siena: nel 1574 un uomo viene accusato di aver negato la salvezza di Traiano, mentre nel 1607 un altro subisce la stessa sorte per averla affermata (p. 15). Questo punto di partenza non è un semplice aneddoto, ma la chiave di volta dell’intera architettura del volume. Trasforma quella che potrebbe essere una mera rassegna cronologica in un’avvincente investigazione storica sulla tensione tra fede e dubbio, ortodossia ed eresia. Comprendiamo fin dalle prime pagine che il viaggio attraverso nove secoli di agiografia, teologia e letteratura non è una semplice accumulazione di dati, ma la costruzione di un percorso che culminerà in un drammatico capovolgimento.
L’obiettivo dichiarato da Tedesco è ricostruire l’evoluzione di questa credenza non come una curiosità erudita, ma come un potente artefatto culturale che, come uno specchio, “riflette aspetti di tale portata” quali i mutevoli rapporti tra papato e impero, la definizione della giustizia e la complessa teologia della salvezza (p. 14). Il risultato è un’opera di storia culturale nel senso più ampio e profondo del termine.
Dalla storia al mito: la genesi di una credenza straordinaria
Nei primi due capitoli, Tedesco costruisce con meticolosa precisione la tensione fondamentale da cui scaturisce la leggenda. Da un lato, ci presenta il Traiano storico, l’optimus princeps celebrato dalla tradizione pagana (p. 19), la cui fama postuma fu cristallizzata nell’augurio senatoriale felicior Augusto, melior Traiano (p. 28). Dall’altro, documenta la parallela tradizione cristiana che, da Eusebio ad Agostino, canonizzò lo stesso imperatore come il “terzo persecutore” della Chiesa (p. 35), che invece fu un figlio della Gehenna agli occhi di alcuni scrittori cristiani come Facondo di Ermiane (p. 35).
È proprio per risolvere questa stridente dicotomia che emerge la leggenda. L’autore ne rintraccia la prima attestazione conosciuta nella Vita Gregorii redatta da un anonimo monaco di Whitby, in Inghilterra, all’inizio dell’VIII secolo (p. 55). La localizzazione, come sottolinea Tedesco, non è casuale, ma intimamente legata alla missione evangelizzatrice dello stesso Gregorio Magno in quelle terre. L’analisi della forma primigenia del miracolo è qui centrale: l’anima di Traiano, si legge, fu refrigeratam vel baptizatam (raffreddata o battezzata) dalle lacrime del papa (p. 57). Non si tratta ancora di un biglietto per il paradiso, ma di un refrigerium, un sollievo dai tormenti. Questa sottile ma vitale distinzione teologica, come dimostra l’autore, sarà il germe di secoli di successive elaborazioni. La struttura argomentativa di Tedesco rende evidente come la leggenda non sia nata nel vuoto, ma sia stata una risposta creativa e potente a un preciso problema culturale e ideologico. Gli agiografi di Gregorio Magno non stavano semplicemente celebrando il potere del loro santo; stavano compiendo una sofisticata operazione di appropriazione culturale. “Salvando” Traiano, essi affermavano implicitamente che anche il meglio che il mondo pagano avesse da offrire era incompleto e, in ultima analisi, dipendente dal potere di intercessione della Chiesa. La leggenda funziona così come un battesimo simbolico del passato imperiale di Roma, ponendolo sotto l’autorità della successione petrina.
L’ascesa celeste: l’evoluzione della leggenda tra teologia e letteratura
Se l’alto medioevo crea il mito, è nei secoli successivi che esso si evolve e si complica, un percorso che Tedesco delinea con precisione. Il punto di svolta, come illustrato nei capitoli tre e quattro, si concentra sulla rilettura di un singolo, potentissimo episodio: il gesto di giustizia di Traiano. La leggenda narra che, mentre l’imperatore era sul punto di partire per una campagna militare alla testa del suo esercito, fu fermato da una vedova che chiedeva giustizia per il figlio assassinato. Di fronte alla promessa di Traiano di occuparsene al suo ritorno, la donna chiese chi le avrebbe garantito equità se lui fosse morto in battaglia. Colpito nel profondo, l’imperatore fermò la legione e si assicurò che alla donna fosse resa giustizia immediatamente.
È proprio su questo atto che nel XII secolo si innesta una trasformazione decisiva. Pensatori come Pietro Abelardo e Giovanni di Salisbury spostano il baricentro del racconto dall’onnipotenza di papa Gregorio ai meriti di Traiano stesso (pp. 83-88). L’episodio della vedova non è più solo la scintilla che muove a compassione il papa, ma viene analizzato come prova di una virtù intrinseca e di un senso di equità così profondi, come sottolinea Abelardo (p. 85), da rendere l’imperatore pagano degno della considerazione divina e, in ultima analisi, della salvezza.
Questa nuova enfasi, tuttavia, creava un problema dottrinale ancora più acuto: come poteva un pagano, per quanto virtuoso, guadagnarsi la salvezza? La risposta, come dimostra Tedesco, fu una delle più affascinanti invenzioni della teologia scolastica: la teoria della resurrezione. Teologi del calibro di Guglielmo di Auxerre e Tommaso d’Aquino, per rendere la storia logicamente coerente con i dogmi, postularono che Traiano non fosse stato salvato da pagano. Piuttosto, le preghiere di Gregorio gli ottennero di tornare in vita, ricevere il battesimo e solo allora, morendo una seconda volta da cristiano, guadagnare il paradiso (pp. 98-106). L’evoluzione narrativa della leggenda rispecchia così perfettamente l’evoluzione dei metodi intellettuali medievali. Si passa da un racconto agiografico accettato per fede a un complesso problema teologico che esige una soluzione razionale.
L’apice culturale della leggenda viene raggiunto con Dante Alighieri, che nella Commedia colloca definitivamente Traiano nel cielo di Giove, tra le anime dei giusti (p. 124). Il poeta fiorentino non solo porta a compimento la tradizione, ma la trasfigura, usando l’imperatore come emblema dell’imperscrutabile giustizia divina, capace di salvare anche chi è al di fuori dei confini visibili della Chiesa. In parallelo, Tedesco documenta la capillare diffusione del tema nell’arte, distinguendo due filoni iconografici principali: quello secolare della “Giustizia di Traiano” e quello religioso dell’”Intercessione di Gregorio” (p. 150).
Il ritorno all’inferno: la condanna di un miracolo divenuto scomodo
Il capitolo finale del libro è un’analisi avvincente del declino e della caduta della leggenda, un processo che riporta l’indagine al suo punto di partenza a Siena (p. 15). Tedesco documenta le prime crepe nel consenso durante l’Umanesimo, quando un approccio filologico più rigoroso alle fonti antiche iniziò a far emergere le incongruenze della storia (p. 165).
Il colpo di grazia, tuttavia, arrivò nel XVI secolo. Nel clima infuocato della Riforma e della Controriforma, una credenza su un pagano salvato dall’inferno divenne una passività teologica, un esempio di “superstizione papista” facilmente attaccabile dai critici protestanti (p. 173). Tedesco identifica con precisione i protagonisti di questo smantellamento. Da un lato i teologi spagnoli come Domingo de Soto e Melchor Cano, che ne minarono le basi dottrinali (p. 174); dall’altro, e in modo decisivo, i cardinali della Curia romana Cesare Baronio e Roberto Bellarmino. La loro condanna, radicata in una nuova e agguerrita concezione della historia sacra, riclassificò una credenza vecchia di nove secoli come una semplice “favola” (p. 184).
In questa sezione, il contributo più originale di Tedesco è la dimostrazione di come si passò dal dibattito intellettuale alla censura istituzionale. Attraverso un’attenta analisi di documenti d’archivio, mostra come la Congregazione del Sant’Uffizio abbia attivamente soppresso la diffusione della leggenda (p. 181). La leggenda di Traiano fu quindi distrutta dalle stesse forze che un tempo l’avevano sostenuta e razionalizzata: la richiesta di coerenza storica e di rigore teologico. Il suo ciclo vitale, brillantemente tracciato nel volume, diventa così un perfetto caso di studio sull’evoluzione degli standard di prova e di verità nella cultura occidentale.
Valutazione critica: un’opera di rigore scientifico e buona leggibilità
In conclusione, L’anima di Traiano tra inferno e paradiso è un’opera di indubbio valore. Il rigore scientifico di Vincenzo Tedesco è evidente, testimoniato da una bibliografia vasta e internazionale (pp. 193-211) e da un uso attento delle fonti primarie, a cui, come promesso nell’introduzione, viene sempre dato il giusto peso (p. 13). La struttura del libro non è meramente cronologica ma profondamente analitica, con ogni capitolo che si fonda logicamente sul precedente per costruire un’argomentazione solida e convincente.
Tuttavia, ciò che rende questo saggio particolarmente apprezzabile è la sua prosa chiara e accessibile. Tedesco riesce a combinare la precisione dell’accademico con la capacità di un buon narratore. Spiega dibattiti teologici complessi e intricate tradizioni agiografiche con una lucidità che rende il volume fruibile a un pubblico colto ma non specialistico, senza mai sacrificare la profondità dell’analisi. L’impostazione del libro come un’indagine, che parte da un enigma per svelarne la storia millenaria (p. 15), conferisce al testo un ritmo che mantiene vivo l’interesse dalla prima all’ultima pagina.
Quest’opera si propone come un nuovo studio di riferimento sul suo soggetto. È una lettura importante per medievisti, teologi e dantisti, ma anche un percorso interessante per chiunque sia interessato a come nascono, si evolvono e muoiono le idee e le credenze che hanno plasmato la memoria culturale dell’Europa. Tedesco non ha solo fatto luce su una singola, per quanto affascinante, leggenda; l’ha usata come una lente per osservare un millennio di storia intellettuale occidentale.
(Adriano Virgili)
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