Ciò che inferno non è. A. D’Avenia – Club recensione#

Soffro nostalgia. Federico, il protagonista di questo romanzo, mi ha messo addosso una nostalgia affamata, assetata; una nostalgia tuttavia capace di divorare solo sé stessa, che non riesco a saziare nella bellezza dei miei ragazzi. Federico è capace di scelte, è capace di vivere a 17 anni e questa vita la prende a morsi. Federico è capace di prendersi un pugno allo stomaco da un bambino di 10 anni e analizzare dove ha sbagliato, è capace di innamorarsi e di cogliere la bellezza in ciò che sembra inferno e che invece inferno non è, perché anche se tutto manca puoi ancora amare. Caro Federico, vorrei parlarti. Sono madre. Sono insegnante. Sono stata una ragazza piena di sogni, capace di andarsene dal suo paese, di vivere sola, di stringere la cinghia, di andare “contro” e di alzare la testa. Non ho avuto Don Pino Puglisi come insegnante di religione, Federico, ma ero capace e sono capace; mi trovo davanti a un muro terrificante. Qualcuno in questi giorni ha detto le parole giuste nel contesto sbagliato. Una ragazzina che sembra lottare contro i potenti del mondo ha detto “Ci state rubando il Futuro! Non vi perdoneremo mai!” e non è stata capace di dire ai suoi coetanei cose come: Ragazzi, lo sapete che questo uso compulsivo del cellulare inquina? Lo sapete che se rinunciaste ai cellulari si risparmierebbe un sacco di energia? Lo sapete che se usaste i piedi invece di farvi scarrozzare da scuola alla palestra inquinereste di meno? Lo sapete che se iniziate ad affrontare le difficoltà e a mettervi in gioco invece di scappare potreste rischiare di diventare come Federico,  che rinuncia a un viaggio in Inghilterra perché si è innamorato… Federico è capace di innamorarsi, Federico ogni giorno è messo davanti a delle scelte e sa prendere la strada giusta, ma sa anche piegarsi, rialzarsi e ricominciare e sa farlo da solo, perché un buon genitore non evita gli ostacoli al figlio, ma si assicura che lui abbia i mezzi per affrontarli. Abbiamo tolto il futuro ai ragazzi italiani: abbiamo iniziato ad anticipare ogni loro bisogno, abbiamo smesso di farli piangere, smesso di fargli sentire la frustrazione di un lavoro e lo sperare in un risultato. Poi, se possibile, abbiamo fatto di peggio: abbiamo ucciso tutti i buoni maestri. I maestri sono esigenti, i maestri che ci tengono bocciano, i maestri severi fanno piangere e noi preferiamo vederli piangere da adulti, questi figli perciò che hanno fatto, sono disperati perché non si rendono conto di come sia accaduto, perché noi li abbiamo derubati del diritto di essere come te, Federico, li abbiamo esclusi dalla responsabilità, li abbiamo privati del diritto di amare.  Federico non dà la colpa a don Pino Puglisi quando viene minacciato dai mafiosi di Brancaccio, chiede aiuto, certo, ma non punta il dito. Federico affronta le difficoltà e ama la difficoltà che sta affrontando e la ama perché gli permette di essere uomo, uomo pienamente umano, uomo che attira la ragazza che gli piace (che non è certo una qualsiasi), uomo capace di costruire un progetto e realizzarlo.

“Per far crescere un bambino ci vuole un villaggio!”, ma serve che questo villaggio abbia la possibilità di educare, serve che l’insegnante possa sgridare se occorre e che una nota o un brutto voto abbiano una conseguenza a casa, servono relazioni reali dove i genitori devono essere esclusi, relazioni coi pari non commentate dalle chat di classe. Serve. Non abbiamo più tempo. Gli stiamo uccidendo il futuro. I nostri figli non ci perdoneranno mai.

 

Miriam G.L. Serranò

 

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Sito web creato con WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: