Cristiano, chi sei? – Un pò di idee sotto l’albero. #natale2020

Clubbers! Vi propongo oggi una riflessione del caro fr Giovanni, frate studente domenicano in preparazione al sacerdozio, a partire dalla domanda: Cristiano o Cattolico? Un pò di idee sparse sotto l’albero per riflettere in questo tempo di festa.


Uno dei ritornelli che oggigiorno ascoltiamo, diventato pure un luogo comune è che il tempo in cui viviamo sembra segnato da varie crisi. Dire ‘crisi’ e basta, è un po’ riduttivo; senza inquadrare di quale crisi si tratta, si azzarda a dire tutto e dire niente. Anche il cristiano di oggi attraversa una crisi, che specialmente si delinea come crisi di identità, per cui si vanno smarrendo le sue fattezze, si va travisando sul senso della sua vocazione, e sulla sua genuina fisionomia si vanno sempre più a stendere dense nubi.

Chi è il cristiano? Ma soprattutto… possiede egli dei caratteri proprî, dispone di connotati inconfondibili che permettono di contraddistinguerlo dall’“uomo comune” con i tratti di una personalità ben marcata? Oppure si presenta come una materia informe, malleabile, pronta a ricevere tutte le forme o le caratteristiche che le cosiddette “esigenze dei tempi” sembrano quasi imporgli? Come riuscire a essere «nel mondo», ma non «del mondo», come diceva il Cristo (cfr. Gv 15,19)?

Nessun dubbio che il cristiano sia un uomo che vive il suo tempo, e di questo tempo egli ne è figlio come gli altri; bisogna perciò tener conto di questa collocazione che risponde all’attualità storica nella quale è chiamato e tenuto a incidere con la sua presenza; ci si domanda, tuttavia, se quest’insieme di fattori socio-storico-temporali sia tale da gravare sul suo essere profondo fino al punto di assumerne uno interamente diverso ad ogni occasione. Ecco perché la sensazione che si percepisce è una crisi d’identità! Di per sé, la crisi non dovrebbe avere un significato negativo se diviene preludio a un certo ripensamento di alcuni fattori; e difatti quando la crisi è autentica, è certamente costruttiva. Dei quesiti posti sopra bisogna tener conto, e soprattutto intenderli nel loro giusto senso.

Una questione terminologica?

La chiave di volta del discorso è anzitutto la consapevolezza che l’essere profondo del cristiano non è passibile di cambiamenti! E se parliamo di “essere profondo”, ossia la sua sostanza, dobbiamo aver presente che non si può parlarne o stabilirne l’esatta nozione senza riferirlo a Cristo: «Christianus alter Christus», o meglio «Christianus mihi nomen est, Catholicos vero cognomen», come diceva il santo Padre della Chiesa Paciano di Barcellona già nel IV secolo: una puntualizzazione divenuta oggi assai “delicata” e complessa, che sovente, in nome di una certa concezione di “dialogo”, si preferisce non indicare per far risaltare meglio il «christianus»; eppure tra i due termini c’è pieno accordo; e quando San Paciano pronunciava quest’affermazione non pensava lontanamente alla possibilità di una ostilità tra esse, intendendole, perciò, in rapporto di reciproca complementarietà, di modo che l’una esplicitasse il contenuto dell’altra. Poi vennero le divisioni e lo scisma, e da lì tale frattura fece sentire tutto il suo peso non solo sul piano terminologico, ma sull’essere stesso del cristiano.

Comunque sia, a mio avviso, la precisazione di Paciano potrebbe ritornare oggi di grande attualità per rispondere alla Nostra domanda; perché, se ci pensiamo, le generalità del cristiano vanno declinate cattolicamente, se non si vuol correre il rischio di alterare il significato dell’espressione che guida queste nostre riflessioni: «Christianus alter Christus».

San Paciano

Lungi, ora, dall’acuire il solco della divisione con i non-cattolici: semplicemente si fa, al contrario, per richiamarci tutti a un principio normativo che dovrebbe vincolarci, specialmente quando è in questione proprio l’unità della fede, necessaria, tra l’altro, a definire l’identità di Cristo, fondamento dell’identità del Cristiano. Altrimenti Gesù stesso, dopo aver chiesto agli apostoli cosa pensassero «gli altri» della Sua Persona, non avrebbe sollecitato la “loro” risposta: «Vos autem quem me esse dicitis?» (Mt 8,15)

Che cosa identifica il cristiano.

            Cristiano è colui che si sforza di attuare lo spirito autentico di Cristo, cogliendo di esso, per l’appunto, quel senso “universale”, e cioè cattolico, che denota l’indole profondamente umana del messaggio, poiché rivolto ad ogni uomo.

Per attuare ciò, è necessario conoscere senza equivoci e senza banalizzazioni ciò che la fede insegna di Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo, Salvatore e Redentore dell’umanità. E in tale assoluta posizione di fede risiede il fondamento dell’identità del cristiano, il quale, per sua identità propria e inconfondibile, come seguace di Cristo l’accetta fermamente in virtù della fede, compiendo, perciò, la scelta definitiva per Dio, presente in Cristo. È l’atteggiamento più impegnativo che sia dato all’uomo di assumere. «Qui non est mecum, contra me est – Chi non è con me è contro di me» (Mt 12,30), dice il Cristo, e le sue parole devono essere considerate come l’espressione più chiara di siffatta esigenza. Per essere autenticamente cristiano bisogna accettare tutto Cristo e non qualcosa che più soddisfa o fa comodo, dissolvendone l’essere, com’è accaduto, ad esempio, nelle eresie cristologiche e in molti facili accomodamenti emotivi cui spesso superficialmente si ricorre. Non si può essere solidali con Cristo, e quindi cristiani, quando non si accetta, o si accetta a fatica la divina Trascendenza che in Lui ha assunto forma umana.

Diciamo questo perché se Cristo è nostro Salvatore e Redentore, lo è perché è Dio! Attenzione, pertanto, a non considerare Gesù come un uomo meraviglioso o un santo solo perché Dio, oppure un insigne benefattore dell’umanità, un martire il cui eroismo ha commosso intere generazioni, ma non accettandone la divinità, o, al contrario, equivocare il suo stare sempre dalla parte dei poveri, degli oppressi, degli emarginati, quasi costruendo a tavolino una sorta di “Cristo laico”, presunto dominatore politico o rivendicatore di diritti dell’uomo. Dove sta, pertanto, la differenza? Il “Cristo della fede” è sempre con i più piccoli non – nella fattispecie – per promuovere diritti su un piano meramente orizzontale e terrestre, ma perché questi stessi “diritti” dell’uomo siano un tutt’uno con il rispetto dei diritti di Dio; ecco perché raccomandava agli apostoli di non svelare il suo Essere, poiché allora come oggi è molto serio il pericolo di equivocare la sua persona in un Santo benefattore che lascerebbe l’uomo insoddisfatto nella ricerca dell’anelito divino: l’orizzontalità dei bisogni terreni dell’uomo dev’essere integrata con la verticalità del Fine Ultimo e del suo “destino” eterno.

Alla fede nella divinità di Cristo, fondamento identitario del Cristiano, fa riscontro una fede non meno ferma nella sua umanità: Cristo vero Dio e vero Uomo, penetrando sempre meglio la stupenda realtà dell’Incarnazione, poiché in Cristo la natura divina e la natura umana si uniscono, senza confondersi, in unità di persona. Nonostante questa verità sia stata nel corso dei secoli (ma anche oggi) annebbiata da varie prese di posizione a carattere pseudo-teologico che ne hanno fatto smarrire il significato profondo e sommamente reale, talora gettando discredito sul concetto di natura, talora ricorrendo al mito della “de-ellenizzazione” al fine di storicizzare questi concetti smarrendone il senso perenne, la forza del cristiano è sempre la coscienza di vivere la realtà nuova dell’Incarnazione, della buona novella di Cristo che, incarnandosi, ci ha svelato il Volto amoroso del Padre, di Dio.

È qui che s’inserisce il richiamo fatto da Gesù a ciò che compendia la Legge e i Profeti: il comandamento che unisce in sé l’amore di Dio e l’amore del prossimo, e lo fa innalzare a segno palesemente distintivo che decide dell’identità del cristiano. Ai primi tempi del Cristianesimo, Tertulliano ci testimonia che era abituale udire tra i pagani espressioni come: «Guardate come si amano!», indicando i cristiani. Allora non vi era crisi d’identità, perché bastava che il cristiano ‘agisse’ per manifestare tutta la ricchezza del suo patrimonio interiore costituito dalla fede salda in Cristo Dio e uomo vissuta coerentemente nella carità; e credo proprio che non fosse solo fervore degli inizi o euforia dei neofiti, ma soprattutto la consapevolezza del Fine, della serietà di tale impegno, connesso al riconoscimento dello stesso Essere di Cristo. Chissà se quegli stessi pagani potrebbero ancora dirlo per i cattolici del XXI secolo!

Orizzontalità e verticalità: la prospettiva della Croce.

Se ora le situazioni si sono complicate, è perché questa presa di coscienza si è andata gradatamente affievolendo, e lo sviluppo omogeneo di tali verità e identità è stato via via rallentato da vari malintesi già sopra accennati. Un altro discorso che potrebbe sembrare banale, ma è bene chiarire è che la consapevolezza di una sana distinzione tra ordine soprannaturale e naturale è tanto necessaria quanto urgente. Senza entrare nei meandri della filosofia e della teologia, più che altro basterà fare il punto delle derive che ne possano scaturire qualora si estremizzassero entrambe le posizioni.

Ricordo quando anni fa, in una delle lezioni di teologia naturale, mons. Pangallo ci descriveva proprio come l’ordine soprannaturale illuminasse tutto l’ordine naturale tale da permettere una più profonda e completa comprensione, elevando l’ordine morale e l’ordine sociale “umano” (come accennavano prima) a un orizzonte di valori e di obiettivi a noi palesato dalla Divina Rivelazione. E ci metteva parimenti in guardia sul fatto che tale discorso potrebbe rivelarsi più complicato qualora tutto ciò si negasse, e in particolare si negasse ogni forma di distinzione tra ordine naturale e soprannaturale, a scapito o dell’ordine sovrannaturale (naturalismo, razionalismo, secolarismo, laicismo) o dell’ordine naturale (negazione del concetto di natura, fideismo, integrismo, fondamentalismo).

Per conseguenza, dalla confusione di ordine naturale e sovrannaturale derivano problemi per il dialogo interculturale, cade la distinzione tra filosofia e teologia, tra natura e grazia, tra creazione e rivelazione, ma scaturiscono pure delle difficoltà: sul piano teoretico nel proporre una filosofia cristiana che non si riduca a ideologia, sul piano della prassi in un fare nevrotico e senza senso, per cui il cristiano si sente preso da ogni parte dal desiderio di «fare», ma stenta a coniugare il fare all’«agire» e l’agire all’«essere»: «agere sequitur esse», e quando si tratta di essere, ciò che è in gioco è proprio l’identità.

Pertanto, se oggi al cattolico viene propinata solo la realtà dell’orizzontalità che cerca di eliminare o di offuscare la verticalità, ciò che verrà meno – sembrerà strano – sarà proprio la sintesi perfetta perché i due assi si incontrino per formare la Croce, nella quale solo è salvezza. Di conseguenza, la vita stessa perde il suo sostegno e si riduce ad una corsa affannosa senza meta, dove il soddisfacimento dei bisogni materiali non si armonizza con il fine trascendente dell’uomo e non fa che esasperare il desiderio del tutto e subito e alimentare le più basse passioni.

Qual è dunque, in questo clima, il ruolo del “cristiano-cattolico”? La sua identità assume il ruolo dell’orientamento necessario per trovare la strada smarrita della conversione del cuore che può realizzarsi solo con la Grazia, e per indicare all’uomo del suo tempo la strada verso la Speranza del Fine ultimo, l’integrità della fede in Cristo vero Dio e vero uomo, la bellezza di vivere la Carità di Dio e dei fratelli.

Fr. Giovanni R. M. Ferro, O. P.

Convento di Santa Maria sopra Minerva

(Foto di copertina di Pete Linforth da Pixabay)


Fr Gabrio consiglia per approfondire; H. U. Von Balthasar, Gesù e il Cristiano, Jaca Book. Milano, 1998.

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