Il Nuovo Testamento cita Pietro più di ogni altro apostolo, compreso Paolo. Tutti e quattro i vangeli canonici lo elencano tra i primi chiamati a seguire Gesù (Marco 1,16-17; Matteo 4,18-20; Luca 6,12-16; Giovanni 1,40-42). Insieme a Giacomo e Giovanni (figli di Zebedeo), Pietro faceva parte della cerchia più ristretta dei discepoli di Gesù.
Gli Atti degli Apostoli ci dicono che Pietro predicò il Vangelo a Gerusalemme (2,14-41), in Giudea, in Galilea, in Samaria (cfr. 9,31-32) e a Cesarea (10,34-43). Nella seconda parte degli Atti degli Apostoli, però, come praticamente tutti gli altri apostoli, questi sparisce dalla narrazione, la quale si concentra esclusivamente su Paolo. La Prima Lettera di Pietro è indirizzata agli esuli della diaspora del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia (1,1). La tradizione ecclesiastica vuole che Pietro abbia svolto il suo ministero in Siria, Grecia, Anatolia e Roma.
La tradizione della presenza e del martirio di Pietro a Roma è molto forte e le attestazioni delle fonti antiche sono praticamente unanimi, tanto che la schiacciante maggioranza degli storici, tra cui i protestanti Oscar Cullman e Richard Bauckham (che hanno dedicato degli studi specifici al tema) sono oggi dell’idea che il suddetto sia un fatto storico difficilmente negabile. Ma quali sono i dati che inducono i più, appunto, a considerare la presenza di Pietro a Roma come un fatto storicamente estremamente plausibile?
La Prima Epistola di Pietro (5,13) fornisce la più antica prova indiretta del soggiorno di Pietro a Roma: “Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio.” Come sottolinea l’appena citato Richard Bauckham, tutti i più importanti studiosi contemporanei riconoscono il fatto che sotto la criptica designazione di “Babilonia” qui l’autore dello scritto in oggetto voglia intendere “Roma”. I critici di queta identificazione asseriscono però che, per quanto Roma venga costantemente indicata come Babilonia nei testi giudaici e cristiani del I secolo (Oracoli sibillini 5,143.149; 4 Esdra 3,1-2, 28-31, 2 Baruc 11,1-2; Ap 14,8; 16,9; 17,5.6; 18,2ss), tale designazione non è rintracciabile in scritti databili con certezza a prima del 70 d.C., a prima cioè che i romani distruggessero il Tempio di Gerusalemme. È questo però un argomento per silenzio, quindi di suo piuttosto debole, senza contare che ci sono taluni studiosi che ritengono la Prima Lettera di Pietro come uno scritto pseudepigrafo risalente alla fine del I secolo. Volendo però considerare questo scritto come autenticamente petrino, ha senso pensare che con il termine “Babilonia” l’autore qui volesse indicare la Babilonia storica e volesse asserire di trovarsi in questo luogo? Non molto, in verità. Al volgere della metà del I secolo, infatti, l’antica città di Babilonia era ormai in rovina e anche le comunità giudaiche che avevano risieduto nei suoi paraggi l’avevano ormai abbandonati da decenni, trasferendosi a Seleuca (Antichità giudaiche 18.9.8). Alla luce di ciò, alcuni fanno notare che nell’antichità esisteva una seconda Babilonia, la quale si trovava presso l’odierna città del Cairo e che nel I secolo ospitava una fortezza in cui risiedeva una legione romana. Se però Pietro avesse voluto indicare questo posto relativamente sconosciuto ai destinatari della sua epistola come luogo da cui la stava scrivendo, avrebbe dovuto specificare che si trattava appunto della Babilonia d’Egitto (in quanto assai meno nota dell’omonima località mesopotamica).L’ipotesi più probabile (corroborata, come vedremo subito, dall’unanimità delle fonti del II secolo) è che quindi qui l’autore della Prima Epistola di Pietro volesse indicare in modo criptico Roma. Come gli ebrei esiliati nella Babilonia dell’Antico Testamento, i cristiani di Roma si sentivano esuli in una terra straniera, una città peccaminosa che opprimeva il popolo di Dio. Ciò si adatta al precedente riferimento di Pietro alla loro esperienza di “stranieri e pellegrini” (2,11). Ora, se gli studiosi più conservatori sono nel giusto e lo scritto di cui stiamo parlando è davvero di origine petrina, saremmo con tutta probabilità al cospetto di una testimonianza indiretta della presenza di Pietro a Roma risalente addirittura agli anni Cinquanta o Sessanta del I secolo. In caso contrario, saremmo al cospetto di una testimonianza di questo fatto risalente alla fine del I secolo, ma l’identificazione di Babilonia come Roma sarebbe da considerarsi praticamente certa.
Dall’inizio del II secolo, gli scrittori cristiani concordano unanimemente sul fatto che Pietro visitò Roma. Nella sua Lettera ai Romani (106 d.C. circa), Ignazio di Antiochia parla degli apostoli Pietro e Palo come di coloro che comandavano i cristiani di Roma (4.3). Nell’apocrifa Apocalisse di Pietro (datata attorno al 135 e che dal cosiddetto Canone Muratoriano sappiamo era considerata canonica dai cristiani di Roma nella seconda metà del secolo), Gesù ordina a Pietro di recarsi nella “città d’occidente” (14,4-6), che è, a detta di tutti gli specialisti, da identificarsi senza dubbio come Roma. Attorno al 170, Dionigi di Corinto scrive una lettera ai cristiani di Roma nella quale afferma: “Con la vostra ammonizione voi (Romani) avete congiunto Roma e Corinto in due fondazioni che dobbiamo a Pietro e Paolo. Poiché ambedue, venuti nella nostra Corinto hanno piantato e istruito noi, allo stesso modo poi, andati in Italia, insieme vi insegnarono e resero testimonianza (con la loro morte) al medesimo tempo” (citato in Eusebio, Storia Ecclesiastica 2, 25). E Gaio, presbitero romano all’inizio del III secolo (199-217 circa), sostiene che Pietro e Paolo fondarono la Chiesa romana. Verso la fine del II secolo (170 d.C.), Ireneo afferma che Pietro e Paolo predicarono a Roma e gettarono le fondamenta della Chiesa (Contro le eresie 3.1.1). Infine, gli apocrifi Atti di Pietro (180-190 d.C.) narrano di come Pietro si recò a Roma per sfidare Simon Mago (il che, al di là dell’attendibilità specifica di quest’ultimo dato, testimonia il radicamento della tradizione della presenza di Pietro nella capitale dell’Impero). Insomma, la tradizione paleocristiana colloca unanimemente Pietro, verso la fine della sua vita, a Roma.
Nonostante ciò, ci sono taluni che esprimono scetticismo sulla credibilità di queste fonti, suggerendo che, la tradizione della presenza e del martirio di Pietro a Roma sarebbe una invenzione della chiesa romana al fine di accrescere il proprio prestigio e la propria autorità teologica. Costoro fanno notare, ad esempio, come nell’Epistola ai Romani di Paolo non si faccia alcuna menzione del fatto che Pietro fosse a Roma. Ora, però, a prescindere dal fatto che in un’epoca (stiamo parlando del II secolo) in cui le dispute sul primato petrino erano ancora molto al di là da venire, non si capisce perché la chiesa di Roma avrebbe avuto l’esigenza di accrescere il proprio prestigio e la propria autorità teologica, non è altresì comprensibile il motivo per cui Ignazio di Antiochia, Ireneo di Lione e Dionigi di Corinto (nonché lo sconosciuto autore dell’Apocalisse di Pietro) avrebbero dovuto far propria una tale tradizione (se queta non affondava le sue radici nella testimonianza apostolica) dato che non appartenevano alla chiesa di Roma. D’altro canto ci sono un’infinità di motivi per cui Paolo potrebbe non aver citato Pietro nell’Epistola ai Romani senza che questo possa compromettere la storicità di tale fatto (l’argomento per silenzio, ricordavo sopra, è sempre molto debole). Ad esempio l’Apostolo delle Genti potrebbe aver scritto ai romani in un momento in cui sapeva che Pietro si era assentato dalla città, oppure, Pietro potrebbe semplicemente essere arrivato nella stessa in un periodo più tardo rispetto a quello a cui risale questo testo neotestamentario (che dovrebbe essere stato scritto tra l’anno 55 e l’anno 58).
Di conseguenza, non ci sono dei motivi davvero ragionevoli per negare la storicità della presenza di Pietro a Roma e gli unici che lo fanno sembra proprio che siano spinti da motivi ideologici o teologici che non da vere e circostanziate argomentazioni d’ordine storico.
Adriano Virgili
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