I Promessi Sposi, diciamocelo francamente, dovrebbero chiamarsi i Promessi Noiosi.
Tralasciando la questione della lingua, diamo un’occhiata ai dati di fatto: i personaggi sono quasi tutti standardizzati, e non ci vuole molto a capire cosa rappresentino. Renzo è la gioventù che non sempre sente la voce della ragione, Agnese il buonsenso popolare, Don Abbondio il tipico ecclesiastico che ha preso la tonaca solo per il suo comodo, poi Azzeccagarbugli, i bravi, Fra Cristoforo e avanti così. E lasciamo perdere Lucia, ‘na suora! Insomma, senza scomodare l’Innominato e Sua Em. Rev.ma il Signor Cardinale Borromeo, che danno un tocco di brio, l’universo dei Promessi Sposi non sembra essere questo granché. Per non parlare della trama! Due pa…ginette, e sarebbe risolta. Questi che si vogliono sposare, interviene il brutto e cattivo di turno, i due scappano, e dopo millemila peripezie c’è il lieto fine e vissero tutti felici e contenti. I buoni vincono, i cattivi perdono. Insomma, il romanzo buonista. Poi, ci sono quelle cose che fanno cultura e servono per essere citate di quando in quando con nonchalance: “Carneade, chi era costui?”, i capponi di Renzo, il matrimonio segreto, “non s’ha da fare”. Giusto per dare un tono alla conversazione. C’è però un personaggio che mi incuriosisce molto: più astuto di don Rodrigo (che è un po’ un pirla, per dirla “con voce lombarda”), più furbo di don Abbondio, e anche più potente di Borromeo e dell’Innominato. Chi è? La Provvidenza. Il vero protagonista dei Promessi Sposi, signore e signori, il personaggio senza il quale i ventotto capitoli manzoniani sono davvero una noiosissima tortura, è la divina Provvidenza. Viene invocata spesso dai personaggi, ma Manzoni non la cita mai. Non troviamo mai, per esempio “questo avvenne per intervento della Provvidenza”: il nostro buon Alessandro, o come dicevan tutti Sandro, è riuscito a ricreare sul lago di Como un microsistema interpretabile in due modi, come del resto in due modi sono interpretabili le vicende umane. La storia di Renzo e Lucia si può intendere come un coacervo di sfighe e colpi di fortuna, in sé abbastanza comprensibile ma non del tutto soddisfacente, oppure come una storia guidata dalla Provvidenza. Nel primo caso, restiamo un po’ perplessi: era proprio necessario tutto questo? Che c’entrano alcuni incontri, alcuni passaggi? Nel secondo, invece, è come accendere una luce in una scena buia. Manzoni è stato in grado di nascondere gli interventi della Provvidenza nei luoghi più impensati: lo fa anche Nostro Signore.
Qualcuno potrebbe paragonare la Provvidenza alla Tyche greca. Nelle tragedie di Sofocle, per esempio, gli dei non compaiono mai. In Euripide si sprecano: fanno da valletti, aprono e chiudono lo spettacolo, ballano, saltano. In Sofocle, no; tant’è che alcuni studiosi tentano di spiegare le sue tragedie senza tenerne conto, ma non ci riescono; e vi svelo un segreto: non ci riescono perché non si può. Le vicende di Sofocle, come quelle di tutta la tragedia greca, hanno uno sfondo divino, e tutto sottostà alla Tyche. Manzoni, però, è stato più originale. Del resto, lo è stato anche Gesù Cristo: il problema della Tyche, infatti, è che non si sa bene perché agisca in un modo o nell’altro, e l’unica cosa che uomini e dèi possano fare e arrendersi ad essa e sottostare al suo volere. Se in genere non agisce per il male, non agisce neanche proprio sempre per il bene: fa quello che vuole e basta. La Provvidenza invece, e Manzoni lo sapeva bene, agisce sempre per il bene, anche quando potrebbe sembrare l’opposto. Cioè, no, non nel senso che sia stata lei a mandare la peste, ma nel senso che anche dalla peste è riuscita a trarre del bene. Più i personaggi lo capiscono, e più decidono di stare al gioco, più vanno avanti. Ecco perché la Provvidenza è il personaggio principale: don Rodrigo può tramare finché vuole, ma nell’economia del romanzo c’è un personaggio ancor più potente che riesce a disfare i suoi piani e a far vincere i propri. Accanto a don Rodrigo c’è una sorta di contro-Provvidenza, che agisce con le stesse modalità, ossia in silenzio e senza farsi vedere, ed è il pro pro pro prozio di Manzoni, l’Innominato. Ma anche lui deve cedere a questo personaggio che agisce ancora più nell’ombra, e che a differenza sua arriva nel momento più opportuno – quando i giochi si mettono al peggio. Il cristianesimo di Manzoni, che a volte sì è un po’ stucchevole, con questo personaggio ci ha preso: lo mette in risalto creandogli degli antagonisti, lo fa agire sempre anche quando non sembra, e le sue trame si capiscono solo all’ultimo come i ragionamenti di Sherlock Holmes. Eppure, alla fine, vince sempre. È un personaggio vivo, a tutti gli effetti.

Non è la giustizia in senso terreno, come Sherlock Holmes; non è neanche una forza imprevedibile e latente come la Tyche. Ma per queste cose di vorrebbero altri articoli – mentre per ora ne basta uno, “quando non è d’avanzo”.
Matteo” “Zacky” Zaccaro
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