«Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant’anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s’alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire unnon so che d’altero ed’inquieto; e subito s’abbassava, per riflessione d’umiltà. La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del volto, alle quali un’astinenza, già da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d’espressione. Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvoltasfolgoravano, con vivacità repentina;come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso».
Con queste parole Alessandro Manzoni presenta una delle più significative figure «dalla parte del bene» del suo capolavoro letterario: I promessi sposi.
La trama è nota: il matrimonio di due giovani abitanti di Lecco, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella viene ostacolato da un signorotto locale, don Rodrigo, che attraverso i suoi bravi riesce a dissuadere il curato del paese dal celebrare le nozze.
Fino a questo punto, il clero lombardo dell’epoca viene tristemente rappresentato da una figura debole quale quella di don Abbondio «un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro» che non incarna minimamente i valori della cristianità tanto cari allo scrittore lombardo.
Al pavido curato subentra però, provvidenzialmente, un religioso caratterizzato da luminose virtù: padre Cristoforo, frate cappuccino di Pescarenico.

Battezzato col nome di Lodovico, figlio di un ricco mercante e ben istruito, nella sua giovinezza oziosa «aveva contratte abitudini signorili»: con indole «onesta insieme e violenta», aveva sempre sentito «un orrore spontaneo e sincero per l’angherie e per i soprusi» e si era proposto spesso come «protettor degli oppressi e un vendicator de’ torti». Un giorno però, a causa di un alterco con un nobile arrogante aveva finito per scontrarsi in un pericoloso duello: il suo servo Cristoforo per proteggerlo era stato ucciso e lui stesso aveva compiuto un omicidio per vendicarlo. Lodovico turbato dall’accaduto, con sincero dolore e pentimento, aveva quindi indossato il saio cappuccino e aveva scelto per sé il nome del servitore ucciso, così da poter rammentare continuamente il peccato da espiare.
La vocazione religiosa aveva poi trasformato l’inclinazione vendicativa di Lodovico/Cristoforo in un cristiano senso di protezione nei confronti dei più deboli, senza però snaturare l’indole del frate: date queste premesse, uno scontro con don Rodrigo si preannunciava inevitabile.
Una volta venuto a conoscenza dei soprusi perpetrati ai danni di Renzo e Lucia, infatti, padre Cristoforo affronta con grinta cavalleresca lo sprezzante signorotto e, «piantandogli in faccia due occhi fiammanti», evoca la giustizia divina pronunciando la celebre frase «Verrà un giorno…»: in questa circostanza, racconta lo scrittore lombardo, «l’uomo vecchio» si trova improvvisamente «d’accordo col nuovo». Ed è proprio questo perpetuo e irrequieto contrasto tra l’uomo antico e quello rinnovato dalla fede che costituisce il fascino realistico del frate, costantemente diviso tra due aspetti apparentemente inconciliabili del suo temperamento: spirito cristiano e indole battagliera. Padre Cristoforo prima che mediatore per i poveri umili si presenta mediatore di se stesso: sebbene infatti, nell’immaginario collettivo, egli evochi un ideale ieratico e solenne di religiosità, bisogna rammentare che in molti passaggi del romanzo egli è descritto da Manzoni come un uomo devoto assai poco convenzionale: basti pensare al fra Cristoforo che approva l’indiscrezione del vecchio servo di don Rodrigo, a quello che per la fretta si sposta «correndo e quasi saltelloni» e a quello che introduce donne di notte nel convento pronunciando quel suggestivo «Omnia munda mundi». In altre parole, l’uomo “sopra le righe” nella vita del secolo resta fuori degli schemi anche nella vita del chiostro. Non a caso, quando Padre Cristoforo nel lazzaretto ascolta i propositi di vendetta di Renzo nei confronti di don Rodrigo, trova le parole giuste per motivarlo al perdono: conoscendo bene il veleno del risentimento, gli somministra l’antidoto della pace. Inoltre, a lui è assegnato il compito di rendere meno imperscrutabile la volontà di quel Dio manzoniano che «non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande»: a Renzo che si tormenta al pensiero di scoprire la sua amata morta di peste, rammenta infatti che il Padre celeste avrebbe comunque «pensato a lei, perché lei è una di quell’anime a cui son riservate le consolazioni eterne», rendendo il giovane «preparato sia a ricevere una grazia, sia a fare un sacrificio» per poi lodare, in ogni caso, Dio. E quando finalmente, ritrovata Lucia, il frate ne scioglie il voto di castità, egli ribadisce a Renzo che la felicità a cui dovrebbe tendere come cristiano non è «una consolazione temporale e mondana» ma quella «che non avrà fine».

E’ tale la statura umana e spirituale che Manzoni ha attribuito alla figura di Lodovico/Cristoforo che ancora oggi, ai giovani sposi cristiani, viene indirizzato questo “suo” meraviglioso viatico: «Amatevi come compagni di viaggio, con questo pensiero d’avere a lasciarvi, e con la speranza di ritrovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che v’ha condotti a questo stato, non per mezzo dell’allegrezze turbolente e passeggiere, ma co’ travagli e tra le miserie, per disporvi a una allegrezza raccolta e tranquilla. Se Dio vi concede figliuoli, abbiate in mira d’allevarli per Lui, d’istillar loro l’amore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto».
Laura Cascio
Immagine fra Cristoforo Public Domain Media Search Engine Public Domain Image e wikicommons
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