Dal vangelo secondo Matteo
11, 19 – 20
«Non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro» (Mt 11,19-20).
Erano i primi del 596 d.C., allorché, per la prima volta, e dopo aver attraversato a piedi buona parte d’Europa, alcuni monaci missionari guidati da Agostino, misero piede a Thanet, una piccola isoletta quasi attaccata alle coste del Kent, a due passi da Canterbury. Quei missionari erano partiti dal monastero romano sul Celio, fondato da papa Gregorio e famoso per la fervida opera di carità che in esso si svolgeva quotidianamente.
Locazione geografica dell’Isola di Thanet
Veduta area dell’Isola, oggi.
A metterci al corrente di questi primi passi dei missionari è lo storico anglosassone Beda il Venerabile, che nel suo più celebre testo Storia ecclesiastica degli Angli così si esprime:
«In obbedienza agli ordini del papa, i monaci intrapresero quest’opera e avevano già percorso una parte del viaggio, quando, vinti da un terrore che li paralizzava, pensarono di tornarsene in patria piuttosto che recarsi da una gente barbara, feroce, miscredente, della quale non conoscevano neppure la lingua».
Forse tali parole ci lasciano di stucco, forse è ben’altro l’atteggiamento che ci aspetteremmo dai missionari scelti da Gregorio Magno, per quella che si preannunciava essere l’impresa del secolo: ardimentosi, impavidi, disposti al sacrificio, generosi, insomma simili nello spirito a colui che li aveva inviati. Ed invece sulle coste del Kent li troviamo spiazzati e sconvolti di fronte ad una realtà culturale inaccettabile, ma soprattutto incomprensibile. Alle menti dei missionari dovettero affacciarsi tanti interrogativi: E quindi come comunicare con gli Anglosassoni? Potranno questi popoli, dalle usanze ancestrali, accogliere il senso del messaggio cristiano? Sarà possibile che quei crudeli guerrieri scelgano l’Amore come legge della loro vita? Saremo noi capaci di accoglierli come una ricchezza e non come un problema? Lí sulle coste del Kent i missionari compresero che stavano per divenire stranieri in terra straniera, una minoranza senza diritto di parola e questo li spaventò. Tuttavia non si arresero, sorretti dal paterno conforto di Gregorio Magno, che in una lettera li esortò a non mollare, a cercare una via nuova, del tutto inedita, per parlare agli Anglosassoni e questa via era l’incontro.
Per questo, come si legge nella Storia Ecclesiastica, i missionari cominciarono a trascorrere la loro giornata a contatto con la gente, osservando le varie tribù, studiando a fondo i loro usi e costumi, la loro lingua e i loro miti, frequentando i loro riti e le loro feste, per poi trasformare dall’interno quella cultura. Il Vangelo non fu mai imposto dall’alto, come fanno i dominatori, ma silenziosamente seminato fra gli Anglosassoni e mischiato, come lievito nella pasta, nella vita di quest’ultimi.
Tutto questo richiese per i missionari un lavorio non indifferente, sia su loro stessi sia nelle relazioni che mano mano andavano creandosi. E se riflettiamo in profondità su questa dinamica innovativa per il tempo, ci accorgiamo che non è poi cosí scontata neanche per noi, per il nostro tempo. Il dinamismo di inculturazione dell’evangelizzazione in Britannia ci spinge con fiducia verso l’altro, per imparare che esiste un linguaggio comune a tutti gli uomini e che è lo stesso di Dio: l’amore. E se non è sempre facile comprendere come amare, ricordiamoci le parole del Vangelo con cui apro questo articolo. Lo Spirito del Padre, lo Spirito Santo, così come è stato il suggeritore dei Britanni, sarà anche suggeritore dell’amore per ognuno di noi.
Emanuela Maccotta