Il nostro tempo fa molta fatica a coniugare la ricerca scientifica con la santità di vita: per molti nostri contemporanei[1], essere scienziati equivale ad essere atei o – nel migliore dei casi – agnostici. Tanti – ahimè – si sono convinti dell’impossibilità di dire qualcosa circa il senso ultimo della vita.
Tuttavia, questo modo di procedere contrasta quel desiderio del cuore e quella sete della ragione presente in tutti noi – come già annotava Aristotele al principio della sua Metafisica. Abbiamo, infatti, tutti percezione immediata di quanto la nostra intelligenza desideri conoscere il vero e di come la nostra volontà voglia aderire e fruire del bene.
Negare ciò vuol dire negare la nostra natura. Per tale ragione, noi – come credenti e in particolare come fedeli impegnati nello studio – dobbiamo mostrare il vero volto della ricerca e non lasciarci trascinare, ma superare, la «mentalità di questo secolo». Dobbiamo essere consapevoli e mostrare al mondo che anche l’intelligenza ha delle regole, ha un’etica, una strada da seguire e la prima di queste regole è proprio l’adesione al reale e al vero. Dobbiamo fare di tutto per non soffocare i nostri desideri connaturali.
In questo senso, la ricerca scientifica (sia nel campo filosofico che in quello delle c.d. scienze positive) si presenta come uno degli strumenti più preziosi che l’uomo ha a disposizione per corrispondere al desiderio di cui sopra e, quindi, di una “via per santificarsi”. Tenendo presente le belle parole di Benedetto XVI: «Dio non è il concorrente della nostra esistenza, ma piuttosto ne è il vero garante, il garante della grandezza della persona umana» e – aggiungo – delle sue opere.

Proprio perché anche l’intelligenza può presentarsi come “via alla santità”, la Chiesa, con il suo costante insegnamento di Madre, ha sempre tenuto in gran conto la ricerca scientifica e la possibilità di coniugare questa con la fede – come recita l’ormai famoso incipit della Lettera enciclica Fides et ratio: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso».
Giovanni Covino con gli amici del blog Briciole di filosofia
[1] Mi sembra davvero coerente il legame fra questo articolo e la pandemia, sebbene l’autore non abbia esplicitamente inserito nel concetto di contemporaneità il riferimento al Covid19. (Nota di fra Gabrio.)