Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo (Mt 15,21)
Era un giorno come tanti altri. Come ogni giorno, tornavo dal mio consueto lavoro nei campi. È un lavoro faticoso, ma, quando hai braccia forti, è il modo per far trovare il pane sulla tavola alla tua famiglia.
In realtà, a ben pensarci, non era propriamente un giorno come gli altri. Era la Parasceve che precedeva la Pasqua, cioè lo shabbat più sacro per noi ebrei. Sapevo che avrei trovato molta folla, per le anguste vie di Gerusalemme, lastricate a pietre lisce e levigate dal calpestio di migliaia e migliaia di persone. Da buon ebreo, anch’io, con loro e come loro, mi affrettavo verso casa, così da poter celebrare la festa con i miei familiari. Ma i tempi della natura non sono quelli che stabiliscono le autorità religiose: per chi lavora la terra, ogni ora di luce è preziosa in vista del raccolto. Saper ritmare il lavoro al tempo stabilito dalla natura è la sapienza di chi, come me, si sporca le mani nella terra chiara, ai margini del deserto, e non appartiene ai saperi puri dei sacerdoti e dei leviti, che non s’immischiano di queste cose popolari. Sarà per questo che ci giudicano impuri e cercano di evitarci, quando capitiamo vicino a loro.
Quella sera, m’imbattei in una lunga processione di uomini e donne di ogni tipo. Inizialmente, pensai fosse religiosa, ma ben presto mi accorsi che non era così. Innanzitutto, perché vi erano diversi romani. Non fu immediato individuare il malcapitato che i soldati stavano conducendo a forza verso il Calvario, mentre questi, assai malmesso, pareva soccombere sotto il peso della trave che gli avevano legato addosso. Doveva essere stato un uomo forte e robusto, sicuramente non vecchio, ma dovevano essersi accaniti con violenza contro di lui per ridurlo in quello stato.
Poco male, non era affar mio. Non che io sia un uomo insensibile, ma insomma: avevo imparato a stare al mondo e, particolarmente, da quando i Romani spadroneggiavano nelle nostre terre, ogni persona accorta sapeva bene che era più conveniente andare per la propria strada che fare gli eroi. Soprattutto, se avevi una famiglia a cui badare, che avrebbe sofferto per l’assenza del proprio capofamiglia. Quindi, l’unica cosa a cui badai fu soltanto come riuscire ad evitare quella folla scomposta, per riprendere in fretta la via verso casa.
Non mi fu consentito. Una delle guardie mi notò. Il vigore della mia mole aveva catturato la sua attenzione. Quel disgraziato non ce la faceva, ma quello mica poteva accettare di sporcarsi le mani ad aiutarlo! Perché, del resto, avrei dovuto farlo io? In effetti, non l’avrei fatto, se non fossi stato costretto. E avrei voluto, in quel momento, poter sfuggire a quel destino. Ma erano guardie romane, armate di tutto punto: avrei potuto sfuggire ad una, forse a due, ma dopo mi avrebbero agguantato e costretto con la forza. Tanto valeva sottostare al loro volere!
Accondiscesi quindi, seppur di malavoglia. Non mi restava altra scelta, a quanto pareva. Acconsentii alla deviazione di percorso, sperando che, con la collaborazione di quel malcapitato, essa non si protraesse troppo a lungo.
Cominciai a camminare e, da subito, mi accorsi che era necessario che io rallentassi il passo, per evitare che la sua debolezza lo facesse incespicare, trascinando anche me, con lui. Una volta riuscii a sorreggerlo, per evitarne la caduta, ma la seconda non feci a tempo: mi scivolò tra le dita, e mi trascinò, con lui, nella polvere. Fu allora che udii il suo nome: Yehoshu’a. Qualcuno, tra la folla, lo aveva chiamato. Era una voce di donna. Non poteva che essere sua madre.
Quel nome risuonò nella mia mente. Ricordai. Non mi era nuovo. Era lo stesso di quel profeta, che, qualche giorno prima, aveva ricevuto un’accoglienza trionfale, nella città. Cos’era successo in quei pochi giorni? A chi aveva dato fastidio, perché, di un profeta, rimanesse un cencio d’uomo, alla mercé di una folla ora contro di lui? Non mi ero mai interessato di politica: era qualcosa in cui quelli come me non avevano mai avuto voce in capitolo. Quindi, non ero in grado di decifrare cosa potesse essere capitato a quell’uomo privo di forze che stavo accompagnando fin sul Golgota.
Mi stavo giusto domandando se, di tutta quella folla osannante, neppure uno gli fosse rimasto fedele, uno che potesse alleviare questa sua fatica, quando vidi accorrere, con tenero istinto femminile, una donna che, intrufolandosi scaltramente tra le guardie, in quel momento impegnate a tenere lontana la folla, non ebbero il tempo d’intervenire. E così, quell’uomo ebbe diritto a ricevere la carezza di un panno, a detergere sangue e sudore. Ma pareva avere ricevuto sin troppo perché, come fulmine a ciel sereno, con malagrazia, una delle guardie intervenne, rimproverando il condannato, la donna e i suoi colleghi troppo distratti, vomitando insulti ed improperi a casaccio.
Il sangue mi ribollì nelle vene, a questa nuova vessazione nei nostri confronti. Minacciai di non proseguire. La guardia dovette convenire che il prigioniero era stremato, così scese al compromesso di una sosta, per farci rifiatare.

Poco dopo, riprendemmo il cammino e, mano a mano che la strada ci avvicinava alla meta, mi accorgevo che la maggior parte del peso gravava ormai sulle mie spalle. Per un attimo, incrociai il suo sguardo e, in quell’attimo, ebbi la sensazione che quella strada percorsa assieme ci avesse reso come fratelli. Presi fiato e sistemai meglio il peso sulle mie spalle; quindi, al vedere le altre due croci già fissate, mi affiorò alle labbra l’istintiva rassicurazione, verso il mio compagno martoriato:
«Siamo vicini!». Quando le parole sgorgarono, me ne pentii. Mi accorsi che suonavano quasi beffarde, per un condannato a morte. Eravamo vicini solo all’inizio della fine. Ma l’uomo non parve offeso, anzi: lo vidi rivolgersi verso di me e in quel volto devastato mi sembrò di vedere un sorriso grato. Come se, oltre le parole, vi avesse letto la vera intenzione del cuore.
Ne rimasi inebetito. Quasi paralizzato. Tanto che non mi accorsi nemmeno quando, con una spinta, mi allontanarono da lui, per inchiodarlo sulla croce. La folla mi si richiuse intorno. Ed io mi allontanai, confuso, riprendendo il tragitto verso casa.
Domani sarebbe stato un sabato importante e a casa mi aspettavano. Sapevo di dovermi affrettare. Eppure, avevo una strana sensazione che mi premeva nel petto: quegli occhi che scrutavano il cuore, pur velati di stanchezza e fatica, avevano uno sguardo che non avevo mai incontrato, prima di quel giorno, sul Golgota.
Maddalena Negri
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