Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo.
In un interessante articolo apparso su Aleteia, Philip Kosloski s’è preso la briga di convertire in valuta moderna quei famosi trenta denari per cui Giuda vendette il Cristo. Il calcolo è reso complicato da tante variabili, ma il risultato cui giunge l’articolo è comunque sconfortante: nella migliore delle ipotesi, Giuda avrebbe ricavato, dal suo tradimento, l’equivalente di 3000 dollari attuali (poco più di 2600 euro, secondo il cambio d’oggi).
Ellamiseria.
Vien da chiedersi chi è così scemo da rinnegare tutti i suoi ideali e tradire un amico di vecchia data (per non parlare poi del Dio incarnato!) per poco più 2600 euro? Ci fossero almeno due o tre zeri in più, si potrebbe pensare a una disperata bramosia di denaro… ma per 2600 euro? Verrebbe voglia di guardare Giuda a sopracciglia inarcate e dirgli “ma che davvero?”.
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“Ma che davvero?”, in effetti, è una domanda appropriata. Vien difficile immaginare che sia stata solo la voglia di denaro a spingere Giuda all’estremo gesto: sicuramente, dietro al suo tradimento c’è molto di più. Che, però, noi non conosciamo.
“C’è qualcosa di profondamente insoddisfacente nel ritratto di Giuda che ci viene fornito dai Vangeli”, osserva Mike Aquilina, autore del già citato Villains of the Early Church. “Perché ha tradito Gesù? Non lo sappiamo, e forse è proprio questo il punto, ma la nostra curiosità rimane: cosa gli è passato per la testa?”.
Come capita spesso quando i Vangeli lasciano qualcosa al non detto, ecco che la curiosità dei fedeli trova agile sponda nella fantasiosa immaginazione degli autori di leggende apocrife. E così, nel corso dei secoli, la cattolicità ha visto fiorire attorno a Giuda le dicerie più disparate, tutte tese a fornire una risposta a quella domanda angosciosa che ci lascia attoniti: ma perché?
Secondo una leggenda che appare per la prima volta in alcuni codici medievali di area greca, Giuda era in realtà una letterale spia. Nipote segreto dell’alto sacerdote Caifa, era stato infiltrato tra i discepoli di Gesù in una vera e propria operazione di spionaggio, volta fin dall’inizio a raccogliere ‘prove’ contro il Nazareno e a provocarne la morte, a tempo debito.
Altre leggende di area copta puntano il dito sulla signora Iscariota, che gli autori hanno immaginato essere una donna avida e ambiziosa (era proprio per garantirle lussi e agiatezze che Giuda rubava sistematicamente dal fondo-cassa degli apostoli, secondo queste tradizioni apocrife). Ebbene: in questo caso, sarebbe stata proprio la moglie di Giuda a convincerlo a tradire il Maestro – un maestro la cui sequela non stava portando a niente, e che anzi stava facendo perdere all’Iscariota tempo prezioso.
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Tante ipotesi, tanti tentativi di dare una spiegazione a un gesto che, in sé, resta inspiegabile. E, probabilmente, è proprio questo il punto.
Il punto è che tutti noi siamo, potenzialmente, Giuda. Tutti noi potremmo, potenzialmente, tradire il Cristo, spinti dalle nostre personalissime e risibili motivazioni: ambizione personale, desiderio di compiacere i nostri cari, incapacità a venir meno a un ordine ricevuto da un superiore. Forse forse, persino il desiderio di arricchirsi con un pugnetto di soldi potrebbe essere una motivazione sufficiente a farci vacillare: “in fin dei conti è solo un piccolo illecito, perché non approfittarne?”.
Il tradimento di Giuda destabilizza proprio perché è apparentemente privo di senso: neppure le leggende riescono a trovare una spiegazione pienamente capace di spiegare il gesto. Ma siamo davvero così sicuri che, al suo posto, noi non avremmo mai vacillato?
Lucia Graziano
Tratto da un articolo originariamente pubblicato su Una Penna Spuntata
La domanda è buona e mi fa pensare anche a quanti rapporti interpersonali finiscono per cose che, alla fine, sono davvero di poco conto… ma di solito in questi casi dietro c’era ben altro. A volte, mancando l’autenticità, si passa sopra a tante cose… e alla fine si arriva a un punto in cui la rottura è determinata dalla cosa meno importante. Poi mi viene anche in mente un proverbio: meglio essere re del proprio inferno che sudditi del paradiso di un altro… che fosse invidioso?
Grazie per la bella riflessione!
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