La vita
Alfonso era il figlio maggiore di Giuseppe de’ Liguori, di una nobile e antica famiglia napoletana e ufficiale della marina reale, e di Anna Cavalieri. Dopo aver ricevuto la sua prima educazione in casa, sotto la cura di tutori, 1708 si iscrisse all’Università di Napoli, dove studiò fino al 21 gennaio 1713, quando, all’età di soli 16 anni, ricevette il suo dottorato in utroque jure. Esercitò la professione di avvocato per alcuni anni, conducendo nel frattempo una vita cristiana esemplare sotto la direzione degli Oratoriani. Quando nel 1723 fu incaricato di difendere gli interessi del duca di Gravina contro il granduca di Toscana, a seguito della sconfitta in questa causa, probabilmente a causa di un intrigo, perse la fiducia nella giustizia terrena, decidendo di rinunciare al mondo e indossare l’abito clericale. Iniziò così gli studi teologici privatamente, unendosi ad un gruppo di sacerdoti secolari (Congregazione delle Missioni Apostoliche), alle cui attività missionarie prese parte dal 1724. Ordinato presbitero il 21 dicembre 1726, si dedicò in modo speciale al lavoro di ascolto delle confessioni e di predicazione. Nel 1727 organizzò le Cappelle Serotine, un’associazione di operai e artigiani formata allo scopo di assistenza reciproca, istruzione religiosa e opere di zelo apostolico. Nel 1729 lasciò la sua casa e prese residenza nel Collegio della Sacra Famiglia, conosciuto anche come Collegio Cinese, fondato a Napoli da Matteo Ripa. Lì si dedicò al ministero pastorale.
Dopo un soggiorno a Scala e provvidenziali incontri con Tommaso Falcoia della società dei Pii Operarii, fatto vescovo di Castellamare di Stabia nel 1730, e suor Maria Celeste Crostarosa (1696-1755), partecipò fattivamente in questo luogo alla fondazione dell’Istituto del Santissimo Salvatore, un ordine di monache contemplative dedicate all’imitazione di Gesù Cristo, che fu approvato da Benedetto XIV nel 1750. Il 9 novembre 1732 fondò sempre a Scala, sotto la direzione del vescovo Falcoia, una congregazione di sacerdoti sotto il titolo del Santissimo Salvatore (conosciuta, dopo il 1749, come Congregazione del Santissimo Redentore). Questa fu concepita come un’associazione di sacerdoti e religiosi che vivevano una vita comune e condividevano il desiderio di imitare Gesù Cristo, in particolare nell’opera di predicazione della parola divina. Questa congregazione fu concepita in modo particolare per sovvenire ai bisogni spirituali della povera gente di campagna, a cui spesso mancavano un’adeguata istruzione catechetica e la più elementare direzione spirituale. Alfonso si dedicò al lavoro delle missioni, all’organizzazione della sua congregazione e alla composizione della sua regola. I suoi primi compagni lo abbandonarono, ma egli rimase fermo nel suo proposito e, in breve tempo, le vocazioni aumentarono di numero, tanto che le nuove fondazioni si moltiplicarono; tra le prime vi furono Villa Liberi (1734), Ciorani (1735), Pagani (1742), Deliceto (1745) e Mater Domini (1746).
Il 25 febbraio 1749, Benedetto XIV con il suo breve Ad pastoralis dignitatis fastigium approvò la Congregazione del Santissimo Redentore. Alfonso fu eletto superiore generale a vita nel capitolo generale dello stesso anno. A causa dell’ostilità del marchese Tanucci e del governo, che si opponeva agli ordini religiosi, Alfonso non poté ottenere a Napoli l’exequatur reale al breve di Benedetto XIV. Un decreto reale del 9 dicembre 1752 diede poche garanzie per l’avvenire dell’istituto, che allora stava estendendo la sua attività nello Stato Pontificio e in Sicilia. Alfonso governò la sua congregazione, fu un infaticabile predicatore e si occupò della scrittura e di altri lavori apostolici. Fu nominato vescovo di Sant’Agata dei Goti e fu consacrato a Roma, presso Santa Maria Sopra Minerva, il 20 giugno 1762. Come vescovo si distinse presto per il suo lavoro di riforma. Mise fine agli abusi, restaurò le chiese, lottò per il rispetto della liturgia, riformò il suo seminario, visitò la sua diocesi, promosse le missioni e spesso vi prese parte personalmente, ed esercitò la carità verso tutti, specialmente durante la grande carestia del 1763-64. Si occupò del governo della sua congregazione, che nel capitolo generale del 1764 adottò le costituzioni completate, e continuò a scrivere. Nel 1768 fu colpito da una dolorosa malattia che rese difficile il ministero pastorale; presentò le dimissioni dalla sua sede, che furono accettate da Pio VI nel 1775. Si ritirò allora a Pagani, dove si dedicò al governo della sua congregazione. Problemi riguardanti il governo causati dalle autorità del Regno di Napoli rattristarono i suoi ultimi anni. Il futuro della congregazione sembrava precario dopo la soppressione dei gesuiti. Egli negoziò attraverso un intermediario con il governo per ottenere la sua approvazione, ma la regola approvata dal re e imposta alla congregazione differiva notevolmente da quella approvata da Benedetto XIV. La Santa Sede, nella sua lotta con il Regno di Napoli, tolse il loro status canonico alle case del regno e diede alle case dello Stato Pontificio il loro proprio superiore. Alfonso morì prima della riunificazione dei due rami della sua congregazione, che in seguito si espanse in tutto il mondo. Beatificato il 15 settembre 1816 da Pio VII, canonizzato il 26 maggio 1839 da Gregorio XVI, dichiarato Dottore della Chiesa da Pio IX nel 1871, Alfonso fu infine fatto patrono dei confessori e dei moralisti da Pio XII, il 26 aprile 1950.
Le opere
La produzione letteraria di Sant’Alfonso è davvero smisurata. Tra il 1728 e il 1778 pubblicò la bellezza 111 opere (alcune delle quali anche piuttosto corpose), ma ne scrisse anche altre, che furono pubblicate solo postume. Per quanto riguarda le edizioni e le traduzioni, P. De Meulemeester nel 1933 contò 4.110 edizioni del testo originale (402 apparvero prima della sua morte) e 12.925 edizioni di traduzioni in 61 lingue.
Opere sulla predicazione. La sua opera principale in questo campo fu la Selva di materie predicabili ed istruttive (1760), un trattato completo sulla perfezione sacerdotale, il lavoro pastorale delle missioni e la sostanza e la forma della predicazione. Oltre a questo pubblicò la Lettera ad un religioso amico ove si tratta del modo di predicare (1761) in cui insisteva sulla necessità di predicare il Vangelo in modo semplice, senza ornamenti superflui, in modo che tutti, anche gli uomini più semplici, potessero capire il predicatore. Vanno menzionati anche i suoi sermoni, e specialmente i Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell’anno (1771), che furono molto ammirati da Newman.
Opere spirituali. Si tratta di opere dal carattere marcatamente ascetico, ma solidamente fondate sulla teologia. Erano il frutto della sua vita interiore e della sua predicazione. Il punto di partenza della sua spiritualità era la rivelazione dell’amore di Dio per l’uomo. Contrariamente all’insegnamento dei giansenisti, infatti, secondo Sant’Alfonso Dio offre ad ogni uomo la possibilità di salvezza e di santificazione. Questa consiste essenzialmente nella risposta d’amore che l’uomo fa al dono dell’amore di Dio. All’uomo che si volge verso Dio e si distacca dalle creature e dagli impulsi disordinati della concupiscenza, Alfonso presenta i temi proposti da Sant’Ignazio nella prima settimana dei suoi Esercizi spirituali: la morte, il giudizio, il cielo e l’inferno. Tale fu il soggetto del suo Apparecchio alla morte (1758) e della Via della salute (1766). Ma il motivo supremo dell’amore del cristiano per Dio è Cristo, la rivelazione perfetta dell’amore di Dio per l’uomo. La spiritualità di Sant’Alfonso era decisamente cristocentrica. Nelle sue opere dedicate ai misteri di Cristo – Santo Natale (1758), Riflessioni ed affetti sopra la passione di Gesù Cristo (1761), Riflessioni sulla passione di Gesù Cristo (1773), e Novena del Cuore di Gesù (1758) – è sempre l’amore di Cristo ad essere sottolineato, un amore che l’uomo deve ripagare amando Cristo a sua volta. La sintesi più perfetta di questa spiritualità si trova nella Pratica di amar Gesù Cristo (1768), scritta come un commento all’inno alla carità di San Paolo (1 Corinzi 13). L’amore di Dio non è autentico se non si esprime nel fare la volontà di Dio nello stato e nella condizione a cui si è chiamati. Da qui l’importanza della scelta dello stato. Alfonso sviluppa questa dottrina per tutti gli stati della vita nella sua piccola opera Uniformità alla volontà di Dio (1755). A fortiori, questo principio è applicabile a vocazioni particolari: sacerdotali, come nella già citata Selva; religiose, come in Avvisi spettanti alla vocazione (1749), e La vera sposa di Gesù Cristo (1760-61), un trattato completo sulla perfezione religiosa.
Quali mezzi ha dato Dio ai cristiani per raggiungere la santità? I sacramenti, prima di tutto. Alfonso insisteva particolarmente sulla Penitenza e sull’Eucaristia. Nel suo volume Del sagrificio di Gesù Cristo (1775) studiò l’essenza della Messa e i mezzi per parteciparvi pienamente. Contro i giansenisti raccomandò la comunione frequente. La devozione al Santissimo Sacramento occupava un posto di primaria importanza nella sua spiritualità. Il suo libro Visita al SS. Sacramento (1745) divenne un’opera popolarissima ed ebbe la bellezza di 40 edizioni mentre Alfonso era ancora in vita.
La preghiera ha un posto di importanza centrale nell’economia della salvezza e della santificazione. Alfonso trattò magistralmente il tema in quella che fu, dal punto di vista teologico, la sua opera più importante, Del gran mezzo della preghiera (1759). La prima parte, ascetica, mostra l’assoluta necessità della preghiera per la salvezza. La seconda parte, teologica, è diretta contro l’insegnamento giansenista sulla salvezza e la predestinazione. Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini; Cristo è morto per tutti; Dio dà a tutti la grazia necessaria per la salvezza e il singolo sarà certamente salvato se risponderà in maniera positiva alla stessa. Di fronte al giansenismo e all’insegnamento delle diverse scuole teologiche sul tema della grazia, Alfonso espone la propria comprensione della medesima. Da un lato c’è una grazia efficace necessaria per la salvezza; normalmente questa agisce con una specie di movimento morale, determinando infallibilmente con la propria forza intrinseca il consenso della volontà dell’uomo, ma lasciando intatta la sua libertà. Ma c’è anche una grazia sufficiente, che è veramente attiva e dà all’uomo il potere di compiere atti psicologicamente più semplici nell’ordine della salvezza, come quello della preghiera imperfetta. Chi corrisponde a questa grazia sufficiente otterrà necessariamente la grazia efficace. Ma la grazia sufficiente è fallibilmente attiva. L’uomo può non corrispondervi e privarsene di fatto. In che modo questa grazia è fallibilmente attiva? San Alfonso non ha mai preteso di risolvere esplicitamente questa questione.
L’oggetto della preghiera cristiana è prima l’amore di Dio – cioè il compimento della sua volontà – poi la perseveranza in questo amore, e infine la grazia di pregare sempre. Tra le forme di preghiera raccomandate dal santo c’è la preghiera liturgica (per la quale nel 1774 curò una traduzione italiana del salterio, la splendida Traduzione de’ Salmi e Cantici) e la preghiera mentale. Per lui l’orazione mentale è moralmente necessaria per assicurare la pratica efficace della preghiera e di conseguenza la perseveranza nella grazia di Dio, il progresso nella carità e l’unione con Dio. Il metodo estremamente flessibile e facile dell’orazione mentale, descritto in diverse sue opere, portò al piccolo capolavoro Modo di conversare continuamente ed alla familiare con Dio (1753).
La Vergine Maria appare in tutte le opere spirituali di Sant’Alfonso. A lei dedicò il più elaborato dei suoi libri, Le glorie di Maria (1750), che è una delle grandi opere della mariologia cattolica. Rispondendo alle critiche di L. A. Muratori sulla deviazione della devozione mariana, Alfonso stabilì fermamente il ruolo di Maria nella storia della salvezza e fondò con solide argomentazioni teologiche la devozione alla stessa. Per la grazia del Redentore immacolato nel suo concepimento (con la sua argomentazione Alfonso ha contribuito a preparare la strada alla definizione di questo dogma da parte di Pio IX), Maria ha cooperato direttamente alla redenzione del mondo operata da Gesù sul Calvario; è la Corredentrice e di conseguenza la mediatrice universale, ma non esclusiva, della grazia. Attraverso di lei si ottiene soprattutto la grazia della preghiera, e così la preghiera a Maria conduce a Gesù. Sant’Alfonso considerava l’autentica devozione a Maria una garanzia e un segno di salvezza. Le glorie di Maria ebbe un’enorme influenza nel mondo cattolico durante tutto il XIX secolo e contribuì al grande sviluppo della devozione mariana in quel periodo.
Opere dogmatiche. Queste, per la maggior parte, furono composte durante il suo episcopato e sono principalmente opere di di tipo controversistico. Con un fine pastorale in vista, Alfonso confutava i principali errori del suo tempo e si rivolgeva ai non credenti allo scopo di mostrare loro la verità della religione cattolica. Ricorse ad argomenti psicologici e morali oltre che intellettuali, volendo raggiungere tutto l’uomo. La sua Verità della fede (1767) è divisa secondo un triplice scopo, una struttura non comune nelle opere apologetiche dell’epoca. Per i materialisti cercò di dimostrare, contro gli argomenti di Hobbes, Locke e Spinoza, l’esistenza di un Dio personale e la spiritualità dell’anima; per i deisti, mostrò sia la necessità di una religione rivelata che la verità della religione cristiana; per i cristiani separati, sostenne che la Chiesa cattolica era la sola Chiesa di Cristo autenticata dai segni della verità. Sottolineò la necessità di un’autorità suprema nella Chiesa dotata del privilegio dell’infallibilità. Questo tema fu sviluppato nelle Vindiciae pro suprema pontificis potestate contra Febronium, stampate nel 1768 sotto lo pseudonimo di Honorius de Honoriis. Egli portò un sostegno decisivo alla dottrina dell’infallibilità del papa, che il Concilio Vaticano I avrebbe riconosciuto. La sua Opera dommatica contro gli eretici pretesi riformati (1769) prese i canoni e i decreti del Concilio di Trento ed espose la loro importanza teologica in opposizione alla dottrina protestante. Questi studi mostrano che Alfonso era un eccellente teologo dogmatico. Nel suo Trionfo della Chiesa ossia istoria delle eresie colle loro confutazioni (1772) tracciò la storia delle eresie dall’antichità ai suoi tempi e ne propose una confutazione sistematica. Nella sua Condotta ammirabile della divina Provvidenza (1775) espose le sue opinioni sulla storia della salvezza e sull’unità e perpetuità della Chiesa alla maniera del Discours sur l’histoire universelle di Bossuet, ma in un modo che rese il suo pensiero molto più accessibile ai semplici fedeli cristiani.
Opere morali. Un terzo degli scritti di Sat’Alfonso è dedicato alla teologia morale. Scrivendo con un occhio alle necessità pastorali quotidiane del ministero, elaborò la sua teologia morale ad uso dei suoi religiosi e dei sacerdoti impegnati nel lavoro pastorale, specialmente quello del confessionale. Essa completava la sua dottrina spirituale nella misura in cui cercava la volontà di Dio in tutte le circostanze della vita. La sua grande opera in campo morale fu la Theologia moralis, che iniziò come semplici annotazioni sui Medulla theologiae moralis di H. Busembaum(1ª ed., 1748); nella seconda edizione (1753-55) divenne più propriamente l’opera di Alfonso stesso, sebbene aderisse al piano dei Medulla e delle Institutiones morales. Con l’apparizione della terza edizione (1757) la Theologia moralis in tre volumi prese il suo aspetto definitivo. Alfonso, tuttavia, lavorò incessantemente per perfezionare le edizioni successive (4° ed., 1760; 5°, 1763; 6°, 1767; 7°, 1772; 8° – che Alfonso considerava definitiva – 1779; 9°, 1785). Dal 1791 al 1905, data dell’edizione critica di P. Gaude, ci furono 60 edizioni complete di quest’opera. Nel 1755 apparve la sua Pratica del confessore per ben esercitare il suo ministero, che costituì l’anima, per così dire, della sua grande opera di teologia morale. L’Istruzione e pratica per un confessore (1757), tradotta in latino con il titolo Homo apostolicus, era un’opera originale, la più perfetta, forse, di tutti gli scritti del santo per l’unità di tono e la fermezza del pensiero; era intesa come un esempio di come dovrebbe essere un manuale di teologia morale. Il confessore diretto per le confessioni della gente di compagna (1764) fu scritto dal vescovo di Sant’Agata per i sacerdoti della sua diocesi. Una serie di note e “dissertazioni”, 18 in tutto, dedicate al probabilismo e all’esposizione del proprio sistema morale, fu pubblicata tra il 1749 e il 1777. La più importante di queste fu intitolata Dell’uso moderato dell’opinione probabile (1765).
Sat’Alfonso dedicò molto tempo all’elaborazione del suo sistema, noto come equiprobabilismo, che cercava di trovare una via di mezzo tra probabilismo e probabiliorismo. A partire dal 1749 scrisse una serie di dissertazioni sull’argomento. Il suo pensiero si fissò definitivamente tra il 1759 e il 1765, durante la sua controversia con il domenicano Vincenzo Patuzzi, che si rivelò un’esperienza fruttuosa per Alfonso e gli fornì un’occasione per consolidare il suo pensiero. Dal 1767 al 1778, quando la sua attività letteraria ebbe termine, fu costretto a velare un po’ il suo pensiero a causa delle persecuzioni antigesuitiche, ma non lo modificò sostanzialmente. L’equiprobabilismo, che si oppone sia al lassismo che al rigorismo, non era un compromesso tra i due, ma un tentativo di sintesi, di equilibrio superiore degli stessi. Nel riconoscere l’obbligo dell’opinione più probabile a favore della legge, Sant’Alfonso riconosceva anche la legge come valore morale. Rifiutando il probabilismo come soluzione universalmente valida e meccanicamente applicabile dei casi di coscienza, egli proclamò la necessità di una decisione personale di coscienza. Nel caso in cui vengono presentate due opinioni equiprobabili, una a favore della legge e l’altra della libertà, Alfonso, nel lasciare l’uomo libero di prendere la propria decisione, affermava allo stesso tempo il valore morale della libertà umana. L’uomo, che è creato a immagine di Dio, imita il suo Creatore nel fare il bene liberamente.
L’influenza
L’influenza di Sant’Alfonso sulla teologia morale è stata duratura e la direzione pratica da lui tracciata è stata sostanzialmente adottata dalla Chiesa.. Tra i maggiori eventi della storia della Chiesa nel XIX secolo c’è stata la progressiva convergenza dei moralisti e del clero proprio verso il suo pensiero morale. Eliminando il rigorismo, facilitando l’accesso ai sacramenti, egli infuse una nuova giovinezza nel cristianesimo. In Francia la penetrazione del pensiero alfonsiano fu forse più rapida che altrove. Tra i suoi propagatori in quel paese ci furono Jean Marie de Lamennais; Bruno Lanteri, l’apostolo di Torino; e il cardinale Gousset, arcivescovo di Reims, che evocò nel 1831 la risposta della Sacra Penitenzieria favorevole alla teologia morale alfonsiana. Il Curato d’Ars mitigò il suo rigore dopo aver conosciuto i principi del Liguori. Allo stesso tempo gli svizzeri, i belgi, i tedeschi e gli spagnoli accolsero la sua dottrina morale. La proclamazione di Sant’Alfonso come Dottore della Chiesa non fece che suggellare tutto questo.
Si può dire che l’influenza di Sant’Alfonso sul cattolicesimo del XIX secolo fu molto ampia e profonda. Ciò che aveva scritto contribuì alla definizione dei dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’infallibilità del papa. Fece molto per modellare la forma che prese la devozione popolare, specialmente la devozione verso l’Eucaristia e la Vergine Maria. Il suo insegnamento sulla preghiera arrivò anche oltre la Chiesa cattolica, fino a pensatori come Kierkegaard. Difese la Chiesa contro il razionalismo e il dispotismo illuminato. Soprattutto, diede al giansenismo nella sua forma pratica un colpo dal quale non poté riprendersi. La sua spiritualità si richiamava al grande messaggio dell’amore di Dio per tutti gli uomini; la sua dottrina morale, ispirata dal Vangelo, rendeva possibile ai cristiani di tutto il mondo affrontare le perplessità con cui dovevano confrontarsi per adattarsi con successo al mondo in cui vivevano.
Adriano Virgili
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