Il Concilio di Efeso 3. Storia dei Concili. #approfondimenti #concilii

Il nestorianesimo

Chiusa, almeno da un punto di vista teologico, la questione ariana, non passò molto tempo che la Chiesa fu tormentata da una nuova controversia, di segno per molti versi opposto rispetto alla prima: la controversia nestoriana. Questa prende il nome da Nestorio, patriarca di Costantinopoli, il quale avrebbe affermato la totale separazione in Cristo tra la natura umana e quella divina.

Possiamo ricostruire la dottrina di Nestorio solo attraverso i frammenti delle sue lettere e delle sue omelie conservati negli Atti del Concilio di Efeso, le frequenti citazioni presenti nelle opere di san Cirillo di Alessandria, i frammenti di un’apologia personale (Tragoedia) composta dopo la sua deposizione, ma prima del 439, e attraverso il testo di un’altra apologia, Liber Heraclidi, scritta verso la fine della sua vita e conservata in una versione siriaca contenente alcune interpolazioni. Ulteriori informazioni sono reperibili negli scritti di quegli avversari, come Giovanni Cassiano (De Incarnatione Domini contra Nestorium del 429-30) e san Cirillo (Adv. Nestorii Blasphemias del 430), che convinsero i loro contemporanei e i posteri che Nestorio fosse un eretico (cosa di cui invece alcuni studiosi moderni dubitano).

La cristologia di Nestorio è dominata dalla teologia dei Padri cappadoci ed è influenzata dal pensiero stoico. Il suo sforzo speculativo, tuttavia, nel tentativo di evitare l’arianesimo giunse ad affermare, come accennavo sopra, la presenza in Cristo di due nature completamente separate. Lì dove Cirillo parlava di una sola natura (mia physis) in Cristo, nel senso però di un unico soggetto concreto, Nestorio definiva la natura nel senso di ousia, o sostanza, e distingueva quindi tra la natura umana e la natura divina, applicando nella sua cristologia una distinzione tra natura (ousia) e persona (hypostasis). Egli osservava altresì che “ovunque le Scritture menzionano l’economia [della salvezza nell’incarnazione] del Signore”, esse attribuiscono la sua nascita e passione non alla divinità ma all’umanità. Nestorio rifiutò di attribuire alla natura divina gli atti e le sofferenze umane di Gesù (Epist. ad Cyrillum). Questa affermazioni rappresentano il punto cruciale del disaccordo tra Cirillo e Nestorio, ma al contempo evidenziano il fatto che, se loro idee e il loro vocabolario avessero potuto essere chiariti e definiti, la discussione e lo scisma avrebbero potuto forse essere evitati.

Il principale motivo di attrito tra Nestorio ed i suoi avversari fu il suo rifiuto di riconoscere alla Vergine Maria l’attributo di Theotokos (made di Dio). Egli sosteneva che chiamare Maria Madre di Dio sarebbe stato in effetti come dire che la natura divina era nata da una donna; Maria aveva generato solo un uomo, al quale era unito il Verbo di Dio. Nestorio sarebbe stato disposto ad accettare il titolo di Theotokos (Madre di Dio) solo a condizione che la si dicesse contemporaneamente anche anthropotokos (madre dell’uomo); per lui la parola giusta, infatti, avrebbe dovuto essere più semplicemente christotokos (madre di Cristo).

Svolgimento del Concilio

In seguito alle difficoltà provocate dalla predicazione di Nestorio contro il titolo mariano di Theotokos, su mandato di Papa Celestino I e del sinodo romano dell’11 agosto del 430, san Cirillo di Alessandria, si recò a Efeso per presiedere il Concilio ivi convocato dall’imperatore Teodosio II (11 novembre 430) su suggerimento di Nestorio. Sant’Agostino di Ippona, che doveva essere presente al concilio in qualità di rappresentante papale, morì però il 28 agosto di quell’anno, prima dell’inaugurazione dello stesso. Celestino inviò quindi al suo posto alcuni legati, con la consegna di comportarsi in accordo con i desideri di Cirillo.
Il 7 giugno 431, data di apertura del Concilio, molti vescovi, e in particolare i sostenitori orientali di Nestorio, non erano ancora arrivati. Cirillo, nonostante le proteste di alcuni vescovi e del rappresentante dell’imperatore, diede comunque avvio al sinodo. La prima sessione (22 giugno 431), alla quale parteciparono circa 150 vescovi, approvò la dottrina contenuta in una lettera di Cirillo (Epist. 4), ma non 12 anatemi contro Nestorio inclusi nella medesima.

Il 26 giugno giunsero finalmente ad Efeso Giovanni d’Antiochia e i vescovi orientali (partigiani di Nestorio) i quali, a questo punto, si rifiutarono di unirsi al sinodo guidato da Cirillo e ne tennero uno proprio, che scomunicò quest’ultimo ed il vescovo di Efeso, Memnone. Informato di questi avvenimenti, l’imperatore Teodosio in un rescritto del 29 giugno annullò le decisioni di Cirillo del 22 giugno. Poi arrivarono i rappresentati del Papa. Il sinodo guidato da Cirillo si riunì quindi nuovamente in loro presenza e, informati di quanto era precedentemente accaduto, essi confermarono espressamente la condanna di Nestorio, appellandosi all’autorità della Sede Apostolica (10-11 luglio). Il 16 scomunicarono Giovanni di Antiochia e i suoi seguaci, compreso Teodoreto di Cirro (che pur essendo amico di Nestorio non aveva mai condiviso gli esiti delle sue speculazioni teologiche). Il 22 luglio, un’ultima sessione del Concilio proibì la composizione di una formula di fede diversa dal Credo Niceno e rinnovò la condanna degli errori di Nestorio.
In agosto, un rescritto imperiale impose ai vescovi di tornare ognuno nelle rispettive sedi e dichiarò deposti Nestorio, Cirillo e Memnone, ordinando altresì che fossero trattenuti in arresto. A questo punto, entrambi i partiti intensificarono i loro sforzi per assicurarsi l’appoggio dell’Imperatore. I vescovi orientali gli presentarono una formula di fede che riconosceva Maria come Theotokos, cercando in modo infruttuoso di ottenere la condanna degli anatemi di Cirillo. Da parte sua, quest’ultimo si rivolse a potenti membri della corte ai quali inviò ricchi doni. Dopo una serie di conferenze teologiche a Calcedonia, Teodosio sciolse il Concilio in settembre. Cirillo sfuggì all’arresto e tornò ad Alessandria in trionfo, mentre Nestorio fu confinato in un monastero vicino ad Antiochia.
Nell’aprile del 433, dopo lunghi negoziati, Cirillo e Giovanni di Antiochia raggiunsero un accordo. Giovanni espose la fede dei vescovi orientali, confessando che la Vergine Maria è la Theotokos, “perché il Verbo di Dio si è fatto carne e si è fatto uomo”. In Cristo le nature sono distinte, ma sono al contempo unite e assegnate a una sola persona (prosōpōn). I vescovi orientali anatemizzarono Nestorio e approvarono la sua deposizione. Cirillo aderì alla professione di fede con entusiasmo, si astenne in seguito dal riferirsi alla sua contestata formula della natura unica, e non fece più alcuna menzione degli anatemi. Papa Sisto III, che era nel frattempo succeduto a Celestino (31 luglio 432), inviò a Cirillo e a Giovanni calorose congratulazioni (Epist. 5 e 6; 17 settembre 433).

Alla questione di quale tra i due sinodi che si erano svolti contemporaneamente ad Efeso (quello tenuto da Cirillo o quello dei vescovi orientali) fosse da considerarsi come il vero Concilio di Efeso, alcuni storici moderni, come cercò di fare anche all’epoca Teodosio II, danno una risposta in qualche modo di compromesso, tenendo in considerazione il fatto della successiva riconciliazione tra Cirillo e Giovanni. Tuttavia, sebbene non ci siano grossi dubbi sul fatto che Cirillo abbia agito in fretta e con imprudenza, c’è da considerare che le sue azioni non oltrepassarono il mandato ricevuto da Celestino e da Teodosio e che gli emissari romani si unirono a lui al loro arrivo. Di conseguenza fu il sinodo di Cirillo e non quello di Giovanni a corrispondere alle intenzioni del Papa, e fu questo che fu approvato da Sisto III. Inoltre la Chiesa riconobbe il concilio di Cirillo come quello che aveva dato espressione alla sua fede. Nel successivo Concilio di Calcedonia (451) i padri affermeranno l’adesione “alle ordinanze e a tutte le dottrine di fede del Santo Sinodo tenuto molto tempo fa a Efeso sotto la guida di Celestino di Roma e di Cirillo di Alessandria” (Acta conciliorum oecumenicorum 2.1.2:127; e Leone, Epist. 93).

Aspetti dogmatici

Il Concilio aveva condannato Nestorio e la sua “predicazione empia” in termini generali; non voleva definire o proclamare una fede diversa da quella di Nicea. Ma un’espressione positiva delle tesi condivise dai padri conciliari fu esposta nella lettera di Cirillo che fu letta e approvata nella prima sessione. In breve, Cirillo sosteneva che la natura (physis) del Verbo non ha subito alcun cambiamento nel diventare carne. Il Verbo è unito secondo la sostanza (hypostasis) alla carne resa viva da un’anima razionale. Le due nature sono unite in una vera unione, e costituiscono un solo Cristo e l’unico Figlio. La differenza nelle nature non è soppressa dall’unione, ma l’incontro indescrivibile della divinità e dell’umanità produce un solo Cristo. Il Verbo stesso è nato dalla Vergine e ha assunto la natura umana. Non è la natura del Verbo che ha sofferto sulla croce; ma poiché il Suo stesso corpo ha sofferto, si può dire che Egli ha sofferto ed è morto per noi. C’è un solo Cristo e Signore, il cristiano quindi non adora un uomo con il Verbo, ma adora un solo e unico Cristo. Rifiutare l’unione secondo l’ipostasi è parlare di due figli. La Scrittura non dice che il Verbo è unito al prosōpōn di un uomo, ma che il Verbo si è fatto carne. Così si può dire che Maria è Theotokos, in quanto madre della persona del Verbo, che è Dio, anche se solo per ciò che concerne la sua natura umana.

Dato che la lettera di Cirillo a Nestorio (Epist. 17) non vide approvati dal Concilio i suoi anatemi, non si può certamente affermare che questi siano da considerarsi come una definizione solenne dello stesso. Tuttavia, nell’insieme dei fatti e del contesto, a parte alcune formule che erano ancora bisognose di ulteriori precisazioni, possiamo dire che i suddetti rappresentano il pensiero del Concilio e che fu così che questi vennero intesi dalla tradizione ecclesiale successiva.

Per quanto riguarda la maternità di Maria, il Concilio non fornì una definizione dogmatica in senso formale. Anche qui, tuttavia, bisogna tener conto del contesto e dell’atmosfera. “Tutto questo dibattito sulla fede”, dice Cirillo, “è stato intrapreso solo perché eravamo convinti che la Beata Vergine è la Madre di Dio” (Epist. 39 a Giovanni di Antiochia nel 433). La lettera di Cirillo che il concilio adottò come espressione della sua fede ricorda l’uso tradizionale della parola Theotokos ed esplicitamente insegna la maternità divina di Maria in intima relazione con il mistero dell’unione ipostatica. La tradizione non ha quindi torto nel vedere nelle decisioni del Concilio l’equivalente di una vera e propria definizione dogmatica.

Il significato Concilio di Efeso nella storia della Chiesa

Sebbene fosse stato convocato da Teodosio II su richiesta di Nestorio, il concilio che avrebbe dovuto condannare Cirillo portò alla sconfitta di Nestorio. Il Papa diede il suo esplicito consenso al sinodo convocato dal sovrano e inviò i suoi legati a Efeso. E’ questo un fatto molto importante, in quanto il Concilio fu infatti un’assemblea quasi esclusivamente orientale. Il suo carattere ecumenico deriva quindi dalla presenza dei delegati romani, che rappresentavano sia la sede papale che l’episcopato occidentale, il cui giudizio sulla questione discussa ad Efeso era stato espresso nel sinodo di Roma dell’agosto del 430.

Cirillo agì più o meno come rappresentante di Papa Celestino. Quando arrivarono i delegati romani, intervennero con piena autorità, e il presbitero Filippo ci racconta come tutti ammisero che “il santo e benedetto apostolo Pietro, principe e capo degli apostoli, colonna della fede, fondamento della Chiesa cattolica, ricevette da Nostro Signore Gesù Cristo, il Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del regno e il potere di legare o perdonare i peccati. È lui che fino ad ora e sempre vive e giudica attraverso i suoi successori”. Queste espressioni furono ripetute nel Concilio Vaticano I. Secondo l’interpretazione tradizionale, il Concilio di Efeso ha quindi esposto una forte affermazione dell’autorità dottrinale del vescovo di Roma. Fu proprio il suo assenso, infatti, a confermare le decisioni conciliari. Le lettere di Sisto III (Epist. 1, 2) ai vescovi orientali e a Cirillo hanno quasi il carattere di una conferma ufficiale: “quaecumque sancta synodus, nobis confirmantibus, rejecit“.

Nella storia del dogma dell’incarnazione, il Concilio di Efeso segna una pietra miliare decisiva. Esso ha riconosciuto e santificato la teologia di san Cirillo: l’unità del Verbo Incarnato, l’unione di due nature in un’unica ipostasi la cui differenza non è soppressa dall’unione stessa, la dichiarazione che Dio Verbo nacque, soffrì e morì nella carne alla quale era unito. Diverse di queste formule contenevano ancora alcune ambiguità che il successivo Concilio di Calcedonia avrebbe poi risolto, ma la maternità divina di Maria fu concordemente accettata da tutti senza ulteriori discussioni.

Efeso è il primo Concilio di cui si sono conservati gli Acta originali. Questi non sono gli Acta ufficiali, ma raccolte individuali, che riuniscono il resoconto verbale delle riunioni e documenti di vario genere. La principale di queste raccolte è stata compilata sotto la direzione di Cirillo subito dopo la chiusura del Concilio e ci è giunta in tre collezioni greche, la Vaticana, la Segueriana e l’Atheniensis. Sono state tradotte in latino già all’inizio del VI secolo e sono state conservate in diverse collezioni, come, ad esempio, Turonensis, Palatina, Veronensis, Casinensis (Monte Cassino). Una collezione proveniente dagli ambienti nestoriani fu tradotta in latino dal diacono Rustico (564-565) ed è stata conservata sotto il titolo di Synodicum nel Casinensis. Sono note anche altre collezioni latine (Veronensis, Palatina).

La Chiesa nestoriana dopo il Concilio

Dopo il Concilio di Efeso un forte partito nestoriano sopravvisse nella Siria orientale intorno alla scuola teologica di Iba di Edessa, che era apparentemente un nestoriano convinto. Dopo la pace teologica raggiunta nell’accordo del 433 tra Cirillo di Alessandria e Giovanni di Antiochia, un certo numero di vescovi che rifiutarono quell’accordo si avvicinarono alla Chiesa siriaca di Persia, che adottò ufficialmente il nestorianesimo al sinodo di Seleucia nel 486. I nestoriani furono espulsi da Edessa nel 489 dall’imperatore Zenone ed emigrarono in Persia. Fu così che la Chiesa nestoriana si staccò dalla fede della Chiesa di Costantinopoli e dall’Impero bizantino.

Il nestorianesimo della Chiesa persiana fu notevolmente rafforzato al sinodo del 612 quando adottò i principi eterodossi del catholicos Babai il Grande: due nature, due hypostasis, un solo prosōpōn; con termine il Theotokos formalmente escluso. Questa Chiesa continuò a sopravvivere nonostante i periodi di persecuzione sotto i Sassanidi, e anche dopo le invasioni dei Turchi e dei Mongoli. La sua forza è testimoniata dalle scuole teologiche di Seleucia e Nisibi, il suo monachesimo e l’espansione missionaria in Arabia, India (Malabar), Turkistan, Tibet e persino in Cina, dove l’iscrizione bilingue (in siriaco e cinese) di Si-ngan-fou attesta la sua presenza nel 781. La sanguinosa persecuzione di Tamerlano (1380) ha successivamente quasi distrutto però la Chiesa nestoriana, che oggi ha dimensioni molto ridotte in Iraq, Iran e Siria e conta un certo numero di congregazioni negli Stati Uniti.

Una riunione dei nestoriani di Cipro con Roma ebbe luogo nel 1445. Nel 1553 il patriarca nestoriano Giovanni Sulaqua professò la fede cattolica a Roma e fu riconosciuto come patriarca di Mosul. L’unione così raggiunta continua ancora oggi. Dal 1696 il patriarca caldeo ha il titolo di patriarca di Babilonia. La Chiesa caldea conta circa 180.000 aderenti. I nestoriani del Malabar, riuniti con Roma nel 1599, hanno circa 1.300.000 fedeli e usano l’antica liturgia siriaca di Addai e Mari.

Adriano Virgili.


Alcuni riferimenti bibliografici:

Giuseppe Alberigo (a cura di), Decisioni dei concili ecumenici, Torino, UTET, 1978

Pierre-Thomas Camelot, Paul Christophe, Francis Frost, I concili ecumenici, Brescia, Queriniana, 2001

Giancarlo Rinaldi, Cristianesimi nell’antichità, Chieti, GBU, 2008

Klaus Schatz, Storia dei Concili. La Chiesa nei suoi punti focali, Bologna, EDB, 2012

Emanuela Prinzivalli (a cura di), Storia del cristianesimo. L’età antica (secoli I-VII), Roma, Carocci, 2015

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