“Due monaci buddisti, in cammino verso il monastero, incontrarono sulla riva del fiume una donna molto bella. Come loro, ella desiderava attraversare il fiume, ma l’acqua era troppo alta. Così uno dei due monaci se la pose sulle spalle e la portò all’altra sponda.
Il monaco che era con lui era scandalizzato. Per due ore intere lo rimproverò per la sua negligenza nel rispettare la santa regola: aveva dimenticato che era un monaco? Come aveva osato toccare una donna? E peggio, trasportarla attraverso il fiume? E cosa avrebbe detto la gente? Non aveva screditato la loro santa religione? E così via.
Il monaco rimproverato ascoltò pazientemente l’interminabile predica. Alla fine lo interruppe dicendo: «Fratello, io ho lasciato quella donna al fiume. Non sarà che tu te la stai ancora portando dietro?».” (Anthony de Mello)
«Omnia munda mundis (tutto è puro, per i puri)» chiosa fra Cristoforo, nel capitolo ottavo de I promessi sposi, quando, sdegnato, fra Fazio, brontolava, al vedere chiudere le porte del convento dopo l’ingresso di due donne (Agnese e Lucia), accompagnate da Renzo: «ma padre, padre! di notte… in chiesa… con donne… chiudere… la regola… ma padre!». L’espressione latina lascia senza parole le (timide) proteste del sagrestano, che si arrende di fronte a tale risposta e non osa chiedere oltre (“Basta! lei ne sa più di me”).
Non era un uomo malvagio, il monaco buddhista del racconto di Anthony De Mello, né lo era il buon fra Fazio dei Promessi Sposi, – più confuso che sdegnato, in verità, e, quindi, facilmente convinto dalla santità dell’uomo che lo aveva contraddetto -. Entrambi avevano abbracciato con ardore la regola, convinti che essa potesse salvarli.
I loro confratelli, invece, persuasi della bontà della loro azione, si sono ricordati che le regole sono per l’uomo, non viceversa (cfr. Mc 2,27).
Nessuna legge, da sola, può bastare a comprendere l’uomo, in tutte le sue situazioni, sfaccettature, necessità: per questo, fondamentale è comprendere quale spirito animi la Legge, per poi adempierlo con grande ardore e rigore, perché possa essere a vantaggio della piena fioritura dell’essere umano, nella sua integralità di anima, mente e corpo (perché solo nell’unione di questi suoi tre aspetti, l’uomo è costitutivamente se stesso).
Alle volte, anche noi siamo tentati di ragionare come fra Fazio. Ci illudiamo della comodità di imbrigliare Dio entro gli schemi della comprensibilità umana, rischiando di vedere il male anche dove non c’è. È bene precisare una cosa: è fondamentale riconoscere il Male, anche quando si mostra travestito da bene. A volte, però, ci lasciamo travolgere da ragionamenti puramente umani e non siamo in grado di guardare con lo sguardo di Dio il bene che si manifesta. Specie quando è quello altrui. È quel che resta del peccato originale: quell’invidia che, strisciante, s’intrufola nei nostri rapporti ed insinua il dubbio della malafede (altrui).
“A pensare male si fa peccato, ma ci si azzecca” recita un proverbio. Chissà perché, però, lo applichiamo sempre agli altri.
La fede più difficile non è – tutto sommato – quella in Dio, bensì quella nei nostri simili. Quando pensiamo alla purezza, istintivamente, pensiamo al comando di non commettere atti impuri. Forse, però, ancora più frequente, ciò che dobbiamo purificare è il nostro sguardo sugli altri: sempre svelto a cogliere il negativo, molto meno ad apprezzare e valorizzare il positivo, quando pure entrambi si mostrano sotto i nostri occhi!
Maddalena Negri
Fonte immagine: Divinemagazine
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