Della prima parte della vita di Cirillo (Gerusalemme, 313 o 315 – Gerusalemme, 387) non sappiamo praticamente nulla, è possibile che la sua famiglia avesse legami con Cesarea. Divenne chierico nella sua Chiesa natale e fu elevato al diaconato da Macario di Gerusalemme. Nel 342 o poco dopo fu ordinato presbitero dal vescovo Massimo, famoso come confessore durante la persecuzione di Diocleziano.
Nella controversia ariana, scoppiata quando Cirillo era ancora un ragazzo, la Chiesa di Gerusalemme sotto Macario e Massimo era stata strettamente nicena e filo-antanasiana. La vicina Chiesa di Cesarea, metropoli della Palestina, aveva avuto vescovi anti-antanasiani, prima nel moderato Eusebio di Cesarea e, dal 337, ne ebbe di nuovo uno con Acacio, che molto probabilmente divenne poi ariano. Nel luglio del 335, su pressione di Costantino I, che desiderava fortemente l’unione della cristianità e che era giunto a pensare che Ario fosse ortodosso e che Atanasio di Alessandria fosse un piantagrane, un concilio che si tenne a Tiro depose Atanasio. L’imperatore quindi si recò a Gerusalemme per inaugurare la nuova magnifica chiesa da lui fatta edificare e riammettere solennemente gli ariani alla comunione. A questi eventi svoltisi Gerusalemme e presieduti da Eusebio, Cirillo era certamente presente.
A Sardica, nel 342 o 343, Massimo di Gerusalemme sedeva con Atanasio e i vescovi occidentali quando quel concilio depose alcuni vescovi orientali antiniceni, tra cui Acacio di Cesarea, metropolita dello stesso Massimo. Sebbene ripudiati in Oriente, i decreti di Sardica comportarono un gran trambusto nella Chiesa di Palestina. Sembra che Acacio si sia vendicato scomunicando e deponendo Massimo. Cirillo, ormai presbitero anziano, era senza dubbio di nuovo presente quando nel 346, con Massimo a presiedere, un concilio di 16 vescovi si riunì a Gerusalemme con l’intento di dare un clamoroso benvenuto ad Atanasio al momento suo ritorno dall’esilio.
Nel 348 Massimo morì e probabilmente alla fine del 350 Cirillo gli succedette sulla cattedra episcopale, ma non senza problemi. Secondo san Girolamo, il vescovo di Gerusalemme sarebbe stato ucciso. Massimo, vedendo avvicinarsi la morte, volle indicare un certo Eraclio come suo successore, per evitare che la sede cadesse nelle mani di un ariano. Cirillo, dopo essersi sottoposto alla riordinazione, fu consacrato vescovo di Gerusalemme da Acacio e dai suoi alleati ariani in Palestina. Sebbene la stigmatizzazione di Cirillo come ariano da parte di Girolamo sia assolutamente ingiusta, il suo resoconto dei fatti deve essere, in linea di massima, corretto, poiché la storia è ripetuta, con piccole varianti, da Socrate scolastico e da Sozomeno. La testimonianza di Girolamo è apparentemente ammessa anche da Rufino di Aquileia e si adatta perfettamente all’intero schema delle relazioni tra Gerusalemme e Cesarea.
Le circostanze della sua elezione non gettano alcun discredito su Cirillo. La nomina del proprio successore da parte di Massimo era una flagrante violazione dei canoni di Nicea e Antiochia. L’accettazione del vescovato da parte di Cirillo, quindi, fu probabilmente dovuta alla necessità di salvaguardare legge ecclesiastica, l’ordine e la pace. Probabilmente nel 351 Cirillo, per la prima volta, condusse la catechesi quaresimale e pasquale e poi (7 maggio 351) scrisse all’imperatore Costanzo II una famosa lettera in occasione dell’apparizione di una croce luminosa su Gerusalemme.
Forse il metropolita di Cesarea Acacio pensava che Cirillo sarebbe stato una sorta di burattino nelle sue mani, ma si sbagliava. Nel 355 Cirillo fu messo sotto accusa da Acacio per una violazione dei canoni, in quanto aveva venduto beni della Chiesa per sfamare i poveri affamati della sua diocesi. Ma la causa della controversia era più profonda. Probabilmente Acacio mostrava ormai spiccate tendenze ariane e la vera ragione della tensione tra lui e Cirillo era probabilmente d’ordine dottrinale. A questo si aggiungeva la crescente importanza della Chiesa di Gerusalemme a scapito di quella di Cesarea. Nel 357 Acacio con l’aiuto dei suoi alleati tra i vescovi della provincia riuscì a deporre Cirillo, il quale però prontamente presentò un appello all’imperatore, che lo accolse.
In seguito Cirillo rinnovò il suo sodalizio con gli altri leader del partito omousiano che nel 358 pubblicarono il loro storico manifesto contro gli ariani anomei. Nel settembre del 359, sotto l’ala protettrice di Silvano di Tarso, Cirillo partecipò al concilio di Seleucia che, dopo il ritiro degli acaciani, depose i leader acaciani e anomei, reintegrò Cirillo e adottò il secondo credo moderato del Concilio di Antiochia del 341. Gli inviati dei tre partiti rappresentati a Seleucia si recarono a Costantinopoli per ottenere udienza dall’imperatore. Se, come è probabile, Cirillo era tra i dieci inviati del partito moderato, non riconquistò la sua sede in quel momento, perché furono gli acaciani a conquistare il favore Costanzo, ed il concilio di Cosantinopoli del 360 depose Basilio, Eustasio, Silvano e Cirillo.
Con l’ascesa al trono di Giuliano l’Apostata, che revocò le sentenze di esilio episcopale emanate sotto Costanzo, Cirillo fu richiamato a Gerusalemme. Mantenne la sua sede durante il breve regno di Giuliano e dell’ortodosso Gioviano e, alla morte del vescovo Acacio nel 366, ottenne, contro l’opposizione ariana, la nomina di suo nipote Gelasio alla sede metropolitana di Cesarea. Gelasio fu bandito da Valente, di orientamento ariano (367 circa), ma tornò infine alla sua sede poco prima o poco dopo la morte di di quest’ultimo (9 agosto 378).
C’è da dire che Cirillo non vacillò mai nell’adesione alla fede ortodossa, per la quale patì molte sofferenze. Rifiutò con fermezza ogni complicità con l’arianesimo sostenuto dalla sede imperiale e a separarlo dal credo di Nicea non fu una differenza dottrinale, bensì solo verbale. Ma quando Cirillo accettò la “consustanzialità” (homoousios) e raggiunse formalmente l’ortodossia nicena? Socrate Scolastico, seguito da Sozomeno, dice che ciò avvenne attorno al 381. Sembrerebbe che l’accettazione del termine da parte di Cirillo risalga al momento in cui Teodosio I divenne Augusto d’Oriente (gennaio 379) e rese obbligatoria la sottoscrizione della formula nicena, formula che Cirillo accettò al fine di garantire l’unità della Chiesa.
Sebbene gli atti del secondo concilio ecumenico (Costantinopoli I, 381) siano quasi del tutto perduti, sembra che Cirillo abbia avuto un ruolo di primo piano nelle sue deliberazioni. Socrate lo nomina al secondo posto, Sozomeno al terzo, tra i capi del partito omousiano. Probabilmente l’influenza di Cirillo fu particolarmente forte durante le ultime sessioni, quando Melezio era morto e Gregorio di Nazianzo aveva lasciato l’assemblea.
La fama di Cirillo come scrittore è dovuta alle sulle sue grandi Catechesi quaresimali e pre-battesimali. Sebbene l’influenza asiatica traspaia nell’uso in queste piuttosto frequente dell’anafora e, raramente, di altri tropi, lo stile di esposizione, o meglio di dimostrazione, del credo è semplice, nobile, eloquente, talvolta poetico e sempre altamente biblico. In modo piuttosto sorprendente, nonostante i forti legami storici tra le due Chiese di Gerusalemme e Alessandria, le Catechesi riproducono – anche se in modo molto diverso, perché Cirillo è rigorosamente alieno da qualsiasi tipo di speculazione filosofica – lo schema alessandrino pistis-gnosis (fede-conoscenza). Lo scopo dell’istruzione impartita ai candidati all’illuminazione (Battesimo) è l’impartizione della gnosi: una conoscenza esoterica, trascendente e soprannaturale.
L'”illuminazione” data in queste catechesi consiste nell’impartire la dottrina rivelata o gnosi, cioè nella conversione della semplice fede (pistis) dei candidati in conoscenza fondata o scienza teologica attraverso la dimostrazione della Scrittura. La dimostrazione scritturistica verifica il credo e ne illumina i singoli articoli mettendoli in relazione con l’intera storia della salvezza. Mentre negli apologeti precedenti la dimostrazione a partire dalla Scrittura, in particolare dei miracoli e delle profezie, aveva lo scopo di stabilire le credenziali del Vangelo contro le critiche dei pagani, le Catechesi si collocano più nella tradizione alessandrina, in cui le Scritture sono considerate in un certo senso auto-autenticantesi. Il movimento è quindi “di fede in fede” e la gnosi è considerata sia come una conoscenza spirituale superiore sia come un’elaborazione scientifica dei dogmi della fede attraverso lo studio delle Scritture. Le Catechesi sono principalmente un’opera di teologia sistematica e dogmatica, piuttosto che apologetica.
Poiché le Catechesi sono un esempio monumentale di quella tradizione teologica apofatica che enfatizza il carattere misterioso e trascendente della rivelazione e rifugge dall’uso di analogie umane o filosofiche per trovare risposte certe a domande che non trovano risposta nella rivelazione, ci si chiede se l’esitazione di Cirillo riguardo all’homoousios non sia dovuta in parte ai suoi principi teologici.
Ci sono però molte altre possibili ragioni per questa esitazione, tra cui la riluttanza ad accettare un termine non scritturistico nel credo; la presunta connessione del termine con Paolo di Samosata; le sue sospette implicazioni sabelliane; e il suo alto grado di ambiguità nel IV secolo, specialmente dopo l’equiparazione di ousia e ipostasi a Nicea. È possibile che Cirillo abbia ritardato l’accettazione del termine fino a quando lo intese come un’affermazione che andava oltre l’eterna generazione del Figlio e l’uguaglianza di natura con il Padre, e come una violazione del mistero dell’Essere divino, una pretesa di “risolvere il problema” della Trinità nell’Unità. Evidentemente alla fine raggiunse la convinzione che non si trattava altro che di un’espressione sintetica dei dati scritturisici e della fede tradizionale della Chiesa.
Cirillo è venerato come santo da tute le confessioni cristiane che ammettono il culto dei santi ed è stato proclamato dottore della Chiesa da papa Leone XIII nel 1882.
Adriano Virgili
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