Convocazione del concilio
Nei decenni trascorsi dal Concilio di Basilea-Ferrara-Firenze, la necessità di una riforma si era fatta sentire con sempre maggior forza un po’ in tutta la Chiesa. I papi però erano piuttosto restii a convocare un nuovo concilio ecumenico in ragione del fatto che sapevano che il partito conciliarista (quello dei teologi che sostenevano la superiorità dei concili rispetto al vescovo di Roma) godeva di ampi consensi.
La teoria conciliarista era stata solennemente fatta propria dal Regno di Francia con la Prammatica sanzione di Bourges (7 luglio 1438), promulgata da re Carlo VII. Fu proprio su pressione di un re di Francia, Luigi XII, che, per ritorsione contro papa Giulio II, il quale aveva scagliato l’interdetto contro la Francia, alleata del duca di Ferrara, ed aveva mancato di attuare la promessa di convocare un concilio, un gruppo di cardinali scontenti riuniti a Milano convocò un concilio a Pisa. Il concilio si riunì il 1 novembre 1511, alla presenza di quattro cardinali, dei procuratori di altri tre, di due arcivescovi, di quattordici vescovi, di cinque abati, dei procuratori di tre università francesi, più diversi canonisti e teologi. Le sessioni dalla prima alla terza (1511) si tennero a Pisa, dove furono ripubblicati i decreti di Costanza e Basilea, le sessioni dalla quarta all’ottava (1511-12) a Milano, dove Giulio II fu sospeso dalla carica, e le sessioni nove e dieci (1512) rispettivamente ad Asti e a Lione, dove il concilio affermò la propria legittimità.
Fu in risposta a questo conciliabolo di Pisa, noto anche come Concilio di Pisa II, che Giulio II convocò il Quinto Concilio Lateranense (il diciottesimo ecumenico) per il 19 aprile 1512. Il Concilio fu annunciato nella bolla Sacrosanctae Romanae Ecclesiae del 18 luglio 1511, che condannava il progetto di concilio dei cardinali scismatici e giustificava il ritardo con cui il papa si era mosso. A causa della vittoria francese a Ravenna dell’11 aprile 1512, il Concilio si aprì più tardi del previsto, il 3 maggio 1512. Lo status ecumenico del Quinto Concilio Lateranense è stato messo in discussione nel corso dei secoli, ma attualmente è generalmente accettato. Secondo il conteggio del cerimoniere, alla sessione inaugurale parteciparono 16 cardinali e 83 prelati mitrati. In seguito, dopo la morte di Giulio II e la riconciliazione del suo successore con i francesi, il numero dei partecipanti salì a 23 o 24 cardinali e 122 prelati nell’ottava sessione, il 19 dicembre 1513.
Il concilio si svolse in dodici sessioni. Non vi fu la divisione dei padri per nazioni, come a Costanza e a Basilea. Nel periodo leoniano furono invece costituite tre commissioni, corrispondenti ai tre fini per il quale il sinodo era stato convocato: 1) per la pace generale fra i principi cristiani; 2) per la riforma della Chiesa (suddivisa poi in cinque sottocommissioni); 3) per la preservazione della fede e il superamento dello scisma.
Svolgimento del concilio
Essendo Giulio II ammalato, la allocuzione inaugurale fu tenuta dal cardinale Egidio da Viterbo, le cui parole suscitarono negli astanti la più viva emozione sia per la profonda pietà dei contenuti che per l’eleganza dello stile. Del suddetto discorso rimase famosa in particolare la frase: “Sono gli uomini che devono essere trasformati dalla religione, non la religione dagli uomini”.
La prima vera e propria sessione del concilio si tenne il 10 maggio sotto la presidenza del papa. Il veneziano Bernardino Zane tenne un discorso, in cui parlò lungamente del pericolo turco, concentrandosi poi sul tema dell’unità della Chiesa, che deve consistere nell’unione delle membra tra loro e nella sottomissione di queste al capo, cioè il papa quale vicario di Cristo. Anche il papa tenne una breve allocuzione, in cui ricordò ai presenti i compiti che il concilio si poneva: la ricomposizione dello scisma, la riforma della Chiesa e la crociata contro gli infedeli.
Il 17 maggio si tenne la seconda sessione, nella quale si doveva discutere della nullità del conciliabolo di Pisa. Erano presenti più di cento prelati. Il generale dei domenicani Tommaso de Vio (detto il Gaetano o Caetano) tenne un importantissimo discorso sulla dottrina cattolica intorno alla Chiesa e ai sinodi, nel quale fu condannata senza mezze misure la dottrina conciliarista.
Dopo il discorso di Tommaso de Vio fu letta una lettera del re d’Inghilterra Enrico VIII circa la sua alleanza col Papa; poi uno scritto del re di Spagna, il quale accreditava il suo consigliere Girolamo de Vich in qualità di ambasciatore per sé e per sua figlia Giovanna, regina di Castiglia, onde potesse assistere al concilio e prestare la sua opera in favore del legittimo papa Giulio II contro gli scismatici. Seguì la conferma e delle censure precedentemente emanate dal papa contro il concilio pisano. Al fine di permettere ai delegati che non erano ancora giunti al concilio di potersi unire allo stesso e di evitare la calura estiva, la successiva sessione fu convocata per il 3 dicembre.
Il 3 dicembre, come previsto, si aprì la terza sessione, il cardinale Matteo Lang, delegato imperiale, lesse in nome dell’imperatore Massimiliano una dichiarazione che affermava il totale distacco dallo scisma di Pisa (che il sovrano aveva precedentemente appoggiato) e l’adesione al concilio in corso. Furono quindi nuovamente dichiarati nulli tutti gli atti del concilio di Pisa, fu ribadito l’interdetto contro la Francia e fu stabilita la prossima sessione per il 10 dicembre.
La quarta sessione del concilio, si tenne come da programma, il 10 dicembre sotto la presidenza del Papa. Venne letta innanzi tutto la lettera credenziale dell’ambasciatore veneto Francesco Foscari e quindi lo scritto di Luigi XI del 27 novembre 1461 sull’abolizione della Prammatica sanzione di Buges. Dopo di ciò fu pubblicato un monitorio, in base al quale il clero ed il laicato francese erano citati a comparire.
Alla quinta sessione del concilio (16 febbraio 1513) Giulio II, ormai gravemente ammalato, fece approvare dai padri conciliari una bolla da lui precedentemente promulgata nel 1505 relativa all’elezione del papa, la quale stabiliva che questa fosse da considerarsi nulla se inficiata di simonia.
Morto Giulio II (21 febbraio 1513) ed eletto Leone X (incoronato il 19 marzo 1513), l’11 aprile 1513, giorno della sua solenne presa di possesso del Laterano, Leone X fece pubblicare una costituzione, che esprimeva il suo serio proposito di proseguire il concilio e indiceva la sesta sessione per il 27 aprile. Nella sua allocuzione, il papa incitò i membri del concilio ad adoperarsi per quanto fosse utile al popolo cristiano, dichiarando altresì che intendeva continuare il concilio fino a che nella cristianità fosse sorta la pace.
Si stabilì prima di tutto come si doveva procedere. Generalmente il materiale per le sessioni veniva preparato nei concistori e poi nella cancelleria pontificia. Oltre a ciò Raffaele Riario, decano del collegio cardinalizio, propose l’istituzione di speciali commissioni, alle quali di concerto col papa e con i cardinali, erano demandate le discussioni preliminari. Leone non volle nominare i membri di queste commissioni, come aveva fatto il suo predecessore, e ne lasciò la scelta ai padri del concilio. Di queste commissioni, che si riunirono più volte, la prima doveva dedicare la sua attività al ristabilimento della pace ed alla rimozione dello scisma, la seconda alla riforma della curia, la terza alla Prammatica sanzione e alle altre questioni più propriamente dottrinali. Parecchi temi rimasero riservati alla congregazione generale.
Alla settima sessione (17 giugno 1513), il papa fece dare lettura di una bolla con la quale prometteva di mandare ai vari regnanti ambascerie per la pace ed, in vista di una sempre più probabile adesione dei francesi al concilio, rinviava al mese di novembre la sessione successiva, al fine di permettere agli stessi di inviare i propri delegati.
Nel mentre, le deputazioni speciali non rimasero oziose. Con grande impegno il papa spingeva cardinali e vescovi a prendervi parte ed egli stesso non lasciò Roma che per breve tempo. Un decreto di Leone X del 20 settembre precisò la sua posizione rispetto agli hussiti boemi, lasciando intravedere che potesse dimostrarsi tollerante nei loro confronti in merito all’accesso del laicato al calice e alla sottrazione dei beni ecclesiastici, ma non relativamente alla punizione dei peccatori ed alla facoltà di predicare.
Il 13 ottobre la commissione deputata alla riforma si divise in cinque sottocommissioni, una per ciascuna delle autorità curiali, il cui miglioramento era ad essa affidato.
Il 19 dicembre 1513, infine, si aprì l’ottava sessione, che segnò l’adesione ufficiale della Regno di Francia al concilio. In questa, ottenuta l’approvazione pontificia per un mandato penale contro le usurpazioni ecclesiastiche degli impiegati francesi in Provenza, fu promulgata una bolla che condannava alcune posizioni dei filosofi aristotelici, come quella relativa alla mortalità dell’anima razionale e quella relativa all’unicità dell’intelletto (di cui però si riconobbe l’ammissibilità a livello filosofico). Fu proclamato come dogma che l’anima è la forma del corpo, come aveva già insegnato il concilio di Vienne (1311-1312), e che ogni uomo ha un’anima propria.
In questa fondamentale sessione si dette pure lettura di una costituzione sui mezzi per stabilire la pace nella cristianità, indire una crociata e ricondurre i boemi all’unità con Roma. Da ultimo fu presentato un decreto sulla riforma della curia, che abbassava in modo consistente le tasse e colpiva vari altri abusi dei suoi membri.
In merito alla riforma della Chiesa, Ferdinando il Cattolico aveva già fatto preparare nell’inverno 1511-12 dai vescovi e dai teologi una serie di proposte e aveva inviato gli ambasciatori spagnoli al concilio con delle precise istruzioni. Con questo egli cercava non solo di salvare gli interessi nazionali della Spagna nel campo ecclesiastico, ma richiedeva anche una riforma generale della Chiesa, con l’esatta osservanza del Ius commune, e di aver riguardo, nel conferimento dei benefici da parte della Curia romana, alle necessità spirituali delle anime; inoltre domandava la convocazione periodica di concili generali (ogni 10 o 15 anni). Ma né questo programma spagnolo di riforma né il più ampio memoriale abbozzato per Leone X dai due camaldolesi Pietro Quirini e Paolo Giustiniani furono mai presentati al concilio.
La nona sessione ebbe luogo il 5 maggio del 1514. Vi si accetto una bolla sulla riforma della curia e della Chiesa. La prima parte di essa insisteva perché i vescovadi e le abbazie fossero concessi a persone degne ed a norma dei canoni e regolava il modo delle provvisioni e i processi concistoriali. La seconda parte si occupava dei cardinali, della loro vita, della loro famiglia e servitù, delle loro funzioni, chiese titolari e commende, delle relazioni coi loro congiunti, delle loro legazioni e del loro dovere di residenza e di discrezione. L’ultima sezione della bolla mirava invece ad elevare sotto l’aspetto religioso e morale il clero ed il laicato.
La decima sessione si ebbe il 4 maggio 1515, vi fu approvato un decreto concernente la dignità episcopale, uno relativo all’approvazione dei Monti di Pietà e uno che colpiva con la scomunica e con gravi ammende coloro che avessero pubblicato delle opere senza l’approvazione ecclesiastica
Nella decima sessione avrebbe dovuto venir decisa la riforma del calendario. Ma qui le idee erano cosi disparate che Leone X dovette rinunciare a proporre la cosa all’attenzione dei padri conciliari.
L’undicesima sessione ebbe luogo solamente il 19 dicembre 1516. Vi comparvero, per prestare obbedienza, tre inviati dei maroniti, i quali presentarono una lettera di omaggio del loro patriarca Simon Pietro. Questa sessione fu importante, però, prima di tutto per la conferma del concordato con i francesi, l’abolizione della Prammatica sanzione e l’affermazione dell’autorità papale sui concili. Nella medesima furono anche stabiliti i confini tra i diritti del clero secolare e quelli dei regolari, per quanto lo permisero le questioni lasciate aperte sui privilegi degli ordini. Ai vescovi fu concessa la podestà di visitare le parrocchie monastiche, il diritto di esaminare i candidati regolari agli ordini sacri, la facoltà di consacrare e parecchie altre cose; furono fissate delle rigide condizioni per l’amministrazione dei sacramenti e delle esequie da parte dei religiosi e raccomandate alle due parti mutuo rispetto e carità.
A questo punto, il complicarsi della situazione politica internazionale convinse il papa ad optare per una rapida chiusura del concilio. La dodicesima e ultima sessione si tenne quindi pochi mesi dopo l’undicesima, cioè il 16 marzo 1517. In questa occasione Leone si limitò a promulgare un’ultima bolla contro l’usanza del popolo romano di saccheggiare le case dei cardinali durante la vacanza ella Santa Sede. Quindi il patriarca di Aquileia lesse la bolla che imponeva per tre anni una una decima per finanziare una guerra contro i turchi, confermava il concilio e ne ordinava la chiusura.
Dopo il concilio
Si è spesso asserito che il Quinto Concilio Lateranense sia stato chiuso eccessivamente presto in ragione di quanto da lì a poco sarebbe avvenuto ad opera di Martin Lutero. C’è da considerare, però, che il concilio si era già protratto molto a lungo, che non c’erano grosse speranze che al medesimo potessero aggiungersi altri prelati e che, anzi, molti sovrani europei premevano perché i membri del concilio facessero rientro nelle loro sedi di appartenenza. Visti poi i venti di guerra che soffiavano in Italia era davvero impossibile pensare che il concilio potesse protrarsi ulteriormente e, del resto, poco ciò sarebbe servito per arginare la tempesta che si stava per abbattere sulla Chiesa per via della Riforma. Ovviamente, però, si sarebbe potuto fare molto di più per riformare la Chiesa di quanto non si fece, specialmente in considerazione del fatto che molte delle decisioni prese al concilio non fecero che richiamare precedenti disposizioni, mentre le necessità della Chiesa esigevano misure assai più radicali.
D’altro canto non si può negare che il Quinto Concilio Lateranense promulgò diverse norme molto opportune, che servirono poi come punto di partenza per quanto fu deciso nel successivo Concilio di Trento. Il problema fu semmai che, per quanto il concilio avevesse preso delle decisioni che avrebbero certamente potuto contribuire ad un miglioramento della Chiesa, poco ci si curò della loro esecuzione. Le sue bolle di riforma, infatti, furono inviate in ogni luogo, ma di fatto furono eseguite soltanto in Spagna e Portogallo, come pure in alcune regioni d’Italia ed anche qui solo in parte. Fu così quindi che la Chiesa giunse sostanzialmente impreparata per assorbire il colpo di quella Riforma protestante che si andava profilando all’orizzonte.
Adriano Virgili
Alcuni riferimenti bibliografici:
Pietro Palazzini (a cura di), Dizionario dei concili, Roma, Città Nuova, 1963-1968, VI Voll.
Giuseppe Alberigo (a cura di), Decisioni dei concili ecumenici, Torino, UTET, 1978
Pierre-Thomas Camelot, Paul Christophe, Francis Frost, I concili ecumenici, Brescia, Queriniana, 2001
Klaus Schatz, Storia dei Concili. La Chiesa nei suoi punti focali, Bologna, EDB, 2012
Vincenzo Lavenia (a cura di), Storia del cristianesimo. L’età moderna (secoli XVI-XVIII), Roma, Carocci, 2015
Rispondi