Il Concilio Vaticano I – 20 Storia dei concili. #cronachedelcristianesimo #concilii

Convocazione del concilio

Pio IX annunciò (6 dicembre 1864) in una riunione della Congregazione dei Riti che intendeva convocare un concilio generale per affrontare i problemi dei tempi correnti. I cardinali di Roma approvarono il progetto del Papa; un ulteriore sostegno venne da un gruppo selezionato di circa quaranta vescovi, di cui fu chiesto il parere.

L’annuncio del concilio provocò una forte reazione delle componenti più radicali della società e degli anticlericali: il deputato Giuseppe Ricciardi promosse la celebrazione di un anti-conclio a Napoli, al quale aderirono, tra gli altri, Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo e Ausonio Franchi. Molti governi europei reagirono con ostentata indifferenza all’iniziativa del papa, di fatto non opponendo alcun impedimento allo svolgimento dello stesso (nel nulla cadde l’iniziativa del ministero degli esteri bavarese di una protesta collettiva contro le temute decisioni religioso-politiche che il concilio si preparava ad emanare).

Nel campo cattolico la notizia del concilio fu accolta con particolare soddisfazione: prelati insigni, con libri e lettere pastorali prepararono i fedeli al grande avvenimento; la stampa (la Civiltà Cattolica, l’Unione cattolica, l’Univers, ecc.) fece eco all’insegnamento dei vescovi, difendendo il concilio dagli attacchi degli avversari.

Anche i gallicani e i liberali francesi, da principio, fecero buon viso all’iniziativa di Pio IX, nella speranza che il concilio svecchiasse le norme del diritto canonico e diminuisse la potenza della curia romana; ma cambiarono immediatamente parere, quando la Civiltà Cattolica del 6 febbraio 1869, riportando una corrispondenza dalla Francia, faceva prevedere che il concilio sarebbe stato molto breve, proponendosi di approvare, in forma positiva, il complesso dottrinale enunciato nel Sillabo e di definire l’infallibilità del papa “per acclamazione”. L’articolo, ritenuto genuina espressione dei circoli romani, attizzò una forte controversia tra le due tendenze che subito si delinearono. Quasi nessuno negava al papa la prerogativa dell’infallibilità, pochissimi (probabilmente non più di cinque vescovi presenti al concilio) la facevano dipendere dal consenso della Chiesa (dottrina gallicana); la polemica pertanto si svolse tra quelli che ne ritenevano opportuna (opportunisti) la definizione, affinché, tolto qualunque dubbio sopra una verità universalmente creduta, aumentasse il prestigio della Chiesa che, ormai tutta incentrata nel suo capo, con maggior forza potesse respingere gli attacchi dell’incredulità (maggioranza), e tra quelli che la giudicavano inopportuna (inopportunisti), nel timore che la società si staccasse sempre più dalla Chiesa e si rendessero più difficile i rapporti con gli orientali ed i protestanti (minoranza).

Il primo importante passo preparatorio del concilio fu la nomina (marzo 1865) della Commissione Centrale Preparatoria, composta da un cardinale bavarese, Karl August von Reisach, e quattro cardinali curiali italiani. In seguito si aggiunsero altre cinque commissioni: Fede e Dogma, Relazioni Politico-Eclesiastiche, Chiese Orientali e Missioni, Disciplina Ecclesiastica e Ordini Religiosi. A queste cinque commissioni subordinate fu assegnato il compito di preparare progetti di costituzioni (schemi) nei loro diversi ambiti.

Seguendo il piano proposto (9 marzo 1865) dal cardinale Giuseppe Bizzarri, le commissioni furono costruite intorno ai membri della curia romana. Dei novantasei consultori, o membri, sessantuno, per lo più italiani, erano regolarmente domiciliati a Roma. Trentacinque teologi furono invitati da fuori Italia. Quasi tutti erano noti simpatizzanti ultramontani. A John Henry Newman fu chiesto di venire, ma rifiutò. Su richiesta dei vescovi tedeschi, invece, furono convocate diverse figure di spicco delle università germanofone, tra cui Hefele, ma non Dollinger. Solo due teologi di lingua inglese parteciparono alla fase preparatoria: William Weathers, inglese, e James A. Corcoran, statunitense.

Le commissioni preparatorie non iniziarono a funzionare fino all’estate del 1867 a causa della guerra austro-prussiana e del ritiro della guarnigione francese da Roma. La commissione dogmatica adottò (27 settembre 1867) come guida principale la Quanta cura di Pio IX e il Sillabo. In realtà, solo gli schemi preparati dalla commissione dogmatica furono portati al voto finale del concilio.

Nei primi mesi del 1869, si studiò a lungo la possibilità di una definizione dell’infallibilità papale. La necessità di una definizione era fortemente sollecitata dai sostenitori dell’ultramontanismo. Come accennato poco sopra, alcuni cattolici ritenevano che l’infallibilità non potesse essere definita come dottrina rivelata o almeno che il momento non fosse opportuno per una sua definizione. Un’altra questione che fu al centro dei lavori preparatori per il concilio fu quella delle relazioni tra Chiesa e Stato. Le commissioni preparatorie completarono il loro lavoro solo alla fine del 1869.

Pio IX annunciò formalmente la convocazione del concilio ai circa cinquecento vescovi che parteciparono alla commemorazione del XVIII centenario del martirio di Pietro e Paolo a Roma (29 giugno 1867). Esattamente un anno dopo fu pubblicata la bolla di convocazione, Aeterni Patris. Vennero inviati dei comunicati ai patriarchi ortodossi orientali e ai gruppi protestanti per annunciare il concilio, ma non fu prevista una loro rappresentanza allo stesso. A differenza dei precedenti concili generali, non furono invitati i vari Stati cattolici ad inviare dei propri rappresentanti. L’intera fase preparatoria del Vaticano I era stata una novità nella storia conciliare. Mai prima di allora era stato fatto uno sforzo simile per preparare un ordine del giorno. Il lavoro era stato svolto dai teologi. Nessun vescovo aveva partecipato allo stesso, ad eccezione dei funzionari curiali.

Svolgimento del concilio

L’episcopato mondiale iniziò a riunirsi a Roma solo nel tardo autunno del 1869. Circa più di mille erano coloro che avevano il diritto di partecipare al sinodo; di questi, circa settecento parteciparono alla prima sessione solenne (8 dicembre 1869). Cinquecento provenivano dall’Europa. Anche la maggior parte dei vescovi missionari che rappresentavano l’Asia, l’Africa e l’Oceania erano europei.

La lettera apostolica Multiplices inter (2 dicembre 1869) costituì una sorta di manuale per lo svolgimento del concilio. Cinque cardinali erano già stati nominati dal papa come presidenti. La lettera apostolica riservava al papa il diritto di proporre le questioni da discutere, ma prevedeva anche una commissione speciale per accogliere le proposte dei padri conciliari. Venivano descritti due tipi di incontri: le sessioni solenni cerimoniali e le congregazioni generali in cui si sarebbero discussi gli schemi preparati dalle commissioni preliminari. Se dai dibattiti fosse emersa la necessità di modificare gli schemi, ciò avrebbe dovuto essere fatto da una delle quattro deputazioni elette dal concilio. Si trattava delle deputazioni per la fede, la disciplina ecclesiastica, le Chiese orientali e gli ordini religiosi. Ogni commissione contava ventotto membri. Ogni padre conciliare aveva il diritto di parlare nelle congregazioni generali. Quando una costituzione era pronta per essere votata, si procedeva a una prova preliminare in congregazione generale. In questa fase erano possibili tre votazioni: placet (approvazione), placet juxta modum (approvazione condizionata) e non placet (rifiuto). I membri che esprimevano un voto condizionato dovevano presentare le loro ragioni al segretario, che le trasmetteva alla deputazione competente. Quando la costituzione era finalmente pronta, veniva votata in sessione solenne, alla presenza del papa, con la possibilità di esprimere solo un “sì” o un “no”. Nella fase preliminare erano consentite le votazioni scritte; la votazione finale avveniva per appello nominale. La lettera apostolica imponeva anche la segretezza sugli affari conciliari, ma nella pratica non riuscì a ottenerla. Ai membri era inoltre vietato allontanarsi da Roma senza un esplicito permesso.

Un secondo decreto, l’Apostolicis litteris (20 febbraio 1870), modificò in seguito le regole e richiese che tutti gli emendamenti fossero presentati per iscritto; che la discussione degli schemi nel loro insieme precedesse la discussione dei singoli capitoli; che ai membri delle deputazioni fosse permesso di parlare a voce alta; e che la chiusura di un determinato dibattito fosse imposta da un voto a maggioranza semplice. Queste procedure avevano lo scopo di accelerare l’attività del concilio. Come la creazione delle commissioni preparatorie, erano un’innovazione nella prassi conciliare. Fino al Concilio di Trento compreso, i concili avevano preparato il proprio ordine del giorno e stabilito le proprie regole.

Dei cinquantuno schemi preparati in anticipo, solo sei vennero presentati al concilio. I dibattiti riguardarono i vescovi, le sedi vacanti, la vita e la morale del clero e la preparazione di un catechismo elementare universale. Di queste costituzioni, solo quella sul catechismo ricevette un’approvazione preliminare. Una versione ridotta dello schema su fede e ragione fu approvata come costituzione Dei Filius. Lo schema sulla Chiesa fu sostituito da uno che definiva il primato e l’infallibilità del Papa e che fu promulgato come costituzione Pastor aeternus.

I lavori si svolsero in quattro fasi, dopo una prima fase organizzativa. La prima congregazione generale si riunì il 10 dicembre 1869. Il primo ordine del giorno fu la selezione dei membri delle deputazioni e delle commissioni minori. Con poche eccezioni, per le deputazioni furono scelti solo padri noti per essere favorevoli a una definizione dell’infallibilità papale. Questo obiettivo fu raggiunto grazie all’attività di un comitato autoconvocato che comprendeva il cardinale Filippo de Angelis, l’arcivescovo Manning di Westminster, l’arcivescovo Deschamps di Mechelen, il vescovo Senestrey di Regensburg e il vescovo ausiliare Mermillod di Losanna e Ginevra.

Questi prelati e altri costituirono il nucleo del partito “infallibilista”. In opposizione a loro si sviluppò il cosiddetto “comitato internazionale” della minoranza. Gli infallibilisti rappresentavano circa i quattro quinti dei padri conciliari, sebbene vi fossero anche piccoli gruppi che cercavano di mediare tra le parti opposte. I leader della minoranza erano l’arcivescovo Darboy di Parigi, il vescovo Dupanloup di Orleans, il cardinale Mathieu di Besancon, il cardinale Schwarzerberg di Praga, il cardinale Rauscher di Vienna, gli arcivescovi Simor e Haynald di Ungheria, il vescovo Strossmayer di Croazia, l’arcivescovo Kenrick di St. Louis e l’arcivescovo Connolly di Halifax. Tra coloro che cercarono di trovare una soluzione intermedia vi furono il cardinale Bonnechose di Rouen e l’arcivescovo Spalding di Baltimora. Il gruppo di minoranza contestava il modo in cui erano state gestite le elezioni delle deputazioni. Sia l’arcivescovo Kenrick che il vescovo Strossmayer presentarono proteste alla prima congregazione generale. Nelle settimane successive furono presentate altre proteste su questioni procedurali, ma quasi senza eccezioni furono respinte.

La prima fase del dibattito vero e proprio durò dal 28 dicembre 1869 al 10 gennaio 1870. L’argomento era lo schema sulla fede cattolica, un documento di diciotto capitoli che condannava gli errori dei materialisti, dei razionalisti e dei panteisti ed enunciava la dottrina ortodossa sui temi della rivelazione, della fede, dei motivi di credibilità, dell’interrelazione tra fede e scienza, della Trinità, della creazione, dell’incarnazione, della giustizia originale, del peccato originale, della punizione eterna e della grazia. La maggior parte dei padri obiettò che la bozza originale della costituzione era troppo tecnica, troppo lunga e articolata, troppo negativa, troppo apodittica in questioni fino ad allora lasciate alla libera discussione tra i teologi, e priva di tono pastorale. Lo schema, quindi, in gran parte opera di Johannes Franzelin SJ, fu restituito alla deputazione sulla fede per una revisione.

La fase successiva del dibattito (10 gennaio-22 febbraio) prese in considerazione gli schemi sui vescovi, le sedi vacanti, la vita clericale e il catechismo universale. La discussione fu sostanzialmente inconcludente su tutti questi argomenti, tranne che sull’ultimo. Fu chiesta l’autorizzazione alle autorità romane di comporre tale catechismo, che fu concessa (4 maggio) dopo un ulteriore dibattito. La costituzione, tuttavia, non fu mai approvata in seduta solenne.

Il concilio si ritirò (dal 22 febbraio al 18 marzo) per consentire la modifica acustica della sala delle assise e per permettere alle deputazioni conciliari di mettersi in paro il loro lavoro.

Successivamente (dal 18 marzo al 24 aprile), i prelati discussero una nuova e più breve versione dello schema sulla fede cattolica che includeva solo il materiale della prima metà del documento consegnato loro a dicembre. Questa revisione, opera di Joseph Kleutgen SJ, fu promulgata solennemente come costituzione Dei Filius la domenica di Pasqua, il 24 aprile. Il concilio riprese il dibattito (dal 29 aprile al 4 maggio) sul catechismo universale, ma a quel punto l’attenzione di tutti si concentrò sulla questione dell’infallibilità papale.

Sia durante il concilio che dopo lo stesso, l’attenzione dei più fu concentrata principalmente sui temi del primato e dell’infallibilità del papa. La Dei Filius, però, nella sua stringatezza, è un documento di portata teologica enorme, dalle implicazioni molto pesanti. Questo contiene complessivamente diciotto canoni di valore dogmatico incentrati attorno al rapporto tra la ragione e la fede, canoni che vale qui la pena riportare per intero:

I – Di Dio creatore di tutte le cose

1. Se qualcuno negherà l’unico vero Dio Creatore e Signore di tutte le cose visibili ed invisibili: sia anatema.

2. Se qualcuno non arrossirà affermando che nulla esiste all’infuori della materia: sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che unica e identica è la sostanza, o l’essenza, di Dio e di tutte le cose: sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che le cose finite, sia materiali, sia spirituali, o almeno le spirituali, sono emanate dalla sostanza divina; ovvero che la divina essenza per la sua manifestazione ed evoluzione diventa ogni cosa; ovvero infine che Dio è ente universale od indefinito, il quale determinando se stesso costituisce l’universo delle cose, distinto in generi, specie ed individui: sia anatema.

5. Se qualcuno non dichiara che il mondo e tutte le cose che in esso sono contenute, sia spirituali, sia materiali, secondo tutta la loro sostanza, sono stati da Dio prodotti dal nulla; o dirà che Dio non per volontà libera da ogni necessità, ma tanto necessariamente creò, quanto necessariamente ama se stesso; o negherà che il mondo sia stato creato a gloria di Dio: sia anatema.

II – Della Rivelazione

1. Se qualcuno dirà che l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore, non può essere conosciuto con certezza dal lume naturale della ragione umana, attraverso le cose che da Lui sono state fatte: sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che non è possibile o spiegabile che l’uomo, attraverso la divina Rivelazione, sia ammaestrato e illuminato su Dio e sul culto che Gli si deve prestare: sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che l’uomo non può essere divinamente elevato ad una conoscenza e ad una perfezione che superino quelle naturali, ma che può e deve da se stesso arrivare al possesso di ogni verità e di ogni bene in un continuo progresso: sia anatema.

4. Se qualcuno non accetterà come sacri e canonici i libri interi della sacra Scrittura, in tutte le loro parti, come li ha accreditati il santo Concilio Tridentino, o negherà che siano divinamente ispirati: sia anatema.

III – Della Fede

1. Se qualcuno dirà che la ragione umana è così indipendente che Dio non le può comandare la fede: sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che la fede divina non si distingue dalla conoscenza naturale di Dio e delle cose morali, e che perciò non si richiede alla fede divina che la verità rivelata sia creduta per l’autorità di Dio rivelante: sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che la Rivelazione divina non può rendersi credibile per segni esterni, e che perciò gli uomini devono procedere verso la fede solo attraverso l’interiore esperienza o l’ispirazione privata di ciascuno: sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che i miracoli sono impossibili e che quindi la loro narrazione, anche se contenuta nella sacra Scrittura, sia da relegare tra le favole e i miti; ovvero che i miracoli non si possono mai conoscere con certezza, né per mezzo di essi si può conoscere e provare sufficientemente la divina origine della religione cristiana: sia anatema.

5. Se qualcuno dirà che l’assenso alla fede cristiana non è libero, ma che si produce necessariamente dagli argomenti della ragione umana; ovvero che la grazia di Dio è necessaria alla sola fede viva che opera per la carità: sia anatema.

6. Se qualcuno dirà che la condizione dei fedeli e quella di coloro che ancora non sono arrivati all’unica vera fede sono pari, così che i cattolici possono avere giusto motivo per mettere in dubbio la fede che già ricevettero sotto il magistero della Chiesa, sospendendone l’assenso finché non abbiano compiuto la dimostrazione scientifica della credibilità e della verità della loro fede: sia anatema.

IV – Fede e Ragione

1. Se qualcuno dirà che nella rivelazione divina non è contenuto alcun mistero vero e propriamente detto, ma che tutti i dogmi della fede possono essere compresi e dimostrati dalla ragione debitamente coltivata per mezzo dei principi naturali: sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che le discipline umane devono essere trattate con tale libertà che le loro asserzioni, anche se contrarie alla dottrina rivelata, possono essere ritenute vere e non possono essere condannate dalla Chiesa: sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che può accadere che ai dogmi della Chiesa si possa un giorno – nel continuo progresso della scienza – attribuire un senso diverso da quello che ha inteso e intende dare la Chiesa: sia anatema.

Come si è detto il testo della Dei Filius, pur se in una versione riveduta e abbreviata rispetto al documento preparatorio, fu approvata dai padri conciliari senza grossi problemi. Molto complesse furono invece le discussioni attorno al tema che maggiormente divideva i cattolici alla vigilia del concilio: quello di una possibile definizione dell’infallibilità papale.

Abbiamo già ricordato come la maggior parte dei cattolici fosse favorevole all’idea dell’infallibilità del papa, ma esisteva una grande confusione sull’esatto significato di questa dottrina. Partigiani troppo zelanti come William George Ward volevano che tutti i pronunciamenti papali fossero considerati infallibili; vescovi come Manning e Mermillod parlavano dell’incarnazione dello Spirito Santo o del Figlio di Dio nel Papa. Manning sovrapponeva i concetti di infallibilità e di ispirazione;

Quattordici vescovi tedeschi riuniti a Fulda (settembre 1869) inviarono un memorandum al Papa sostenendo l’inopportunità di una definizione dogmatica relativa alla dottrina dell’infallibilità. In Francia, il decano della facoltà teologica di Parigi, Maret, si opponeva fortemente alla definizione, mentre Dupanloup sosteneva la sua non opportunità. Opinioni simili esistevano anche in altri paesi. Così tutta la gerarchia ungherese e la maggior parte dei vescovi austriaci e tedeschi erano apertamente contrari o inopportunisti. Tra gli altri presenti a Roma, Lord Acton e il teologo del cardinale bavarese Hohenlohe, Johann Friedrich, contestarono fortemente una tale definizione.

La prima prova della forza relativa delle parti opposte si ebbe all’inizio di gennaio, quando gli infallibilisti raccolsero circa cinquecento firme per le petizioni a favore della definizione. L’opposizione riuscì a ottenere solo centotrentasei firme per le sue contropetizioni. Il 9 febbraio, la congregazione per le petizioni accolse la richiesta della maggioranza e chiese di aggiungere un capitolo sull’infallibilità allo schema sulla Chiesa. Con l’approvazione papale, il testo già elaborato dalla commissione preparatoria fu distribuito ai padri conciliari, ai quali furono richiesti commenti scritti allo stesso (6 marzo). Nei mesi di marzo e aprile le controversie extraconciliari animarono la scena. Kenrick pubblicò due opuscoli che attaccavano la definizione. Lui e Purcell si schierarono con Dupanloup in uno scambio epistolare con Spalding. Dall’altra parte, Manning, Senestrey e altri erano riusciti a persuadere il Papa a permettere che la questione fosse portata in aula.

Il 29 aprile fu annunciata una nuova costituzione che conteneva le definizioni del primato e dell’infallibilità del papa. Ne seguì un dibattito (dal 13 maggio al 13 luglio). Intervennero oltre centocinquanta padri conciliari, la maggior parte dei quali si espresse a favore delle definizioni. Gli oppositori fondavano le loro argomentazioni principalmente su difficoltà storiche e sull’inopportunità di sollevare la questione. Infine, una formula proposta dal cardinale Cullen di Dublino fu accettata dalla maggioranza dei padri per esprimere la natura e la portata dell’infallibilità. In una votazione di prova (13 luglio), quattrocentocinquantuno approvarono le due definizioni, ottantotto le respinsero e sessantadue ne dettero un’approvazione condizionata. In quest’ultimo gruppo c’erano alcuni che volevano che le definizioni fossero rafforzate e altri che desideravano attenuarle. Nella sessione solenne del 18 luglio, presieduta da Pio IX, la costituzione Pastor aeternus fu adottata con quattrocentotrentatré voti favorevoli e due contrari. Il breve testo, conteneva, tra le altre cose, le seguenti definizioni dogmatiche:

Se qualcuno dunque affermerà che il beato Pietro Apostolo non è stato costituito da Cristo Signore Principe di tutti gli Apostoli e capo visibile di tutta la Chiesa militante, o che non abbia ricevuto dallo stesso Signore Nostro Gesù Cristo un vero e proprio primato di giurisdizione, ma soltanto di onore: sia anatema.

Se qualcuno dunque affermerà che non è per disposizione dello stesso Cristo Signore, cioè per diritto divino, che il beato Pietro abbia per sempre successori nel Primato sulla Chiesa universale, o che il Romano Pontefice non sia il successore del beato Pietro nello stesso Primato: sia anatema.

Se qualcuno affermerà che il Romano Pontefice ha semplicemente un compito ispettivo o direttivo, e non il pieno e supremo potere di giurisdizione su tutta la Chiesa, non solo per quanto riguarda la fede e i costumi, ma anche per ciò che concerne la disciplina e il governo della Chiesa diffusa su tutta la terra; o che è investito soltanto del ruolo principale e non di tutta la pienezza di questo supremo potere; o che questo suo potere non è ordinario e diretto sia su tutte e singole le Chiese, sia su tutti e su ciascun fedele e pastore: sia anatema.

Entrambi i vescovi che avevano votato negativamente accettarono immediatamente le definizioni. Si trattava dell’italiano Luigi Riccio di Caiazzo e dello statunitense Edward Fitzgerald. Sessantuno padri avevano presentato proteste scritte contro le definizioni e avevano lasciato Roma alla vigilia della sessione solenne. Alla fine, però tutti aderirono alla decisione del concilio. Nessun vescovo lasciò la Chiesa a seguito del concilio. Dollinger fu scomunicato per aver rifiutato di accettare l’infallibilità. Friedrich e alcuni dei suoi seguaci, in opposizione alla dottrina dell’infallibilità, formarono il gruppo scismatico dei cosiddetti vecchi cattolici, gruppo che da principio conobbe un relativo successo numerico, ma che col passare degli anni si andò via via contraendo (anche se, con dimensioni molto ridotte, esiste ancora oggi).

Nulla di particolarmente importante fu fatto nelle tre sessioni estive a cui parteciparono circa cento padri dopo le definizioni di cui sopra. L’ottantanovesima e ultima congregazione si tenne il 1 settembre. Una settimana dopo iniziò l’invasione sabauda di ciò che rimaneva degli Stati della Chiesa. Roma si arrende il 20 settembre. La guerra franco-prussiana, scoppiata a luglio, costò al papa il sostegno militare francese (sul quale fino ad allora aveva potuto contare). Pio IX sospese il concilio a tempo indeterminato il 20 ottobre. Le sessioni non ripresero mai.

Le controversie continuarono, ma non furono tali da disturbare molto la Chiesa. I poteri secolari erano troppo impegnati in questioni di tipo politico per preoccuparsi di tematiche puramente teologiche. All’interno della Chiesa, le definizioni del primato e dell’infallibilità rafforzarono il potere spirituale del papato in un momento in cui stava perdendo l’autorità temporale che aveva detenuto per un millennio. Il concilio annichilì ciò che rimaneva del conciliarismo e del gallicanesimo. Questi furono i suoi risultati più importanti. Inoltre preparò la strada agli sviluppi teologici del secolo successivo, stabilendo la posizione del papa in modo fermo e inequivocabile. Alcune questioni rimasero irrisolte, ad esempio lo status dei vescovi in relazione al papa.

Adriano Virgili

Alcuni riferimenti bibliografici:

Pietro Palazzini (a cura di), Dizionario dei concili, Roma, Città Nuova, 1963-1968, VI Voll.

Giuseppe Alberigo (a cura di), Decisioni dei concili ecumenici, Torino, UTET, 1978

Pierre-Thomas Camelot, Paul Christophe, Francis Frost, I concili ecumenici, Brescia, Queriniana, 2001

Klaus Schatz, Storia dei Concili. La Chiesa nei suoi punti focali, Bologna, EDB, 2012

Giovanni Vian (a cura di), L’età contemporanea (secoli XIX-XXI), Roma, Carocci, 2015

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