Il Secondo Concilio di Costantinopoli – 5 Storia dei concili. #approfondimenti #concilii

La controversia dei Tre Capitoli

La vicenda ebbe inizio con la condanna del nestorianesimo al Concilio di Efeso da parte di Cirillo di Alessandria nel 431, quando Rabbula di Edessa, che sospettava Teodoro di Mopsuestia di essere l’autore dell’eresia, si oppose alla diffusione dei suoi libri in Armenia. Egli si rivolse Proclo di Costantinopoli per ottenere una condanna ufficiale di Teodoro, e questi gli rispose con una sua celebre lettera, nota come Tomo agli armeni, che condannava la distinzione antiochena tra Figlio di Dio e figlio dell’uomo, insistendo sull’unità di persona in Cristo.

Nel 438 Proclo chiese la condanna di Teodoro, che indicò come autore delle dottrine confutate nel suo Tomo, ma Giovanni di Antiochia rifiutò di anatematizzare un teologo che era morto in comunione con la Chiesa, usando un argomento che sarebbe riapparso spesso nella controversia. Cirillo consigliò a Proclo di non insistere sulla questione, e Teodoro non fu menzionato nel Concilio di Calcedonia.

Su richiesta di Giovanni di Antiochia, Teodoreto di Cirro aveva confutato i 12 anatemi di Cirillo, attribuendo a quest’ultimo tendenze apollinaristiche in una lettera al monaco orientale (Epistolae, 151). Teodoreto, che aveva rifiutato di accettare la condanna di Nestorio al Concilio di Efeso, accettò l’unione del 433 con riluttanza, e scrisse il suo Eranistes (447) contro Eutiche e i suoi sostenitori. Censurato da degli editti imperiali nel 448, fu deposto dal Latrocinio di Efeso nel 449, ma riabilitato al Concilio di Calcedonia del 451 (undicesima sessione, 26 ottobre).

In risposta agli attacchi di Rabbula, Iba, maestro della scuola di Edessa e vescovo dal 448, in una lettera al vescovo Mari di Persia difese Teodoro di Mopsuestia e criticò la cristologia di Cirillo. Sebbene fosse stato deposto dal Latrocinio di Efeso, fu anche lui riabilitato a Calcedonia, quando la sua ortodossia fu riconosciuta dai legati papali.

Quest’agitazione contro il nestorianesimo e il Concilio di Calcedonia spinse l’imperatore Zenone a emanare il suo Enotico (482) nel tentativo di promuovere la riconciliazione nella Chiesa; la polemica però continuò. Sull’onda della stessa, Severo di Antiochia indicò Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia come i veri padri del nestorianesimo. Severo fu aiutato da Filosseno di Mabbug, che chiese la condanna di Teodoreto e Iba insieme a Nestorio. Come reazione, nel 520 il vescovo Sergio tenne una solenne cerimonia a Cirro in onore della memoria di Diodoro, Teodoreto e Nestorio, provocando una dura reprimenda da parte delle autorità governative. Nel 532 al Colloquio di Costantinopoli tra i vescovi ortodossi e quelli monofisiti, questi ultimi affermarono che il Concilio di Calcedonia aveva sbagliato a scagionare Teodoreto e Iba. Nel 542 Teodoro Ascida, cercando di contrastare la repressione dell’origenismo, persuase Giustiniano che, condannando i tre vescovi defunti, avrebbe distrutto il nestorianesimo alle sue radici. Così, Giustiniano nel 544 pubblicò un trattato teologico in forma di editto contro i Tre Capitoli (vale a dire gli scritti Teodoro, Iba e Teodoreto). Egli condusse papa Vigilio a Costantinopoli nel 547 per convincerlo ad accettare la condanna; dopo una considerevole discussione, il papa emise il suo Iudicatum (11 aprile 448) condannando la persona e gli scritti di Teodoro, la Lettera a Mari, presumibilmente scritta da Iba, e gli scritti di Teodoreto contro la fede e Cirillo. Costretto dall’opposizione occidentale guidata dai diaconi Rustico, Facondo di Ermiane, il futuro papa Pelagio I, e molti vescovi africani e dalmati, il papa ritirò lo Iudicatum dopo aver promesso segretamente a Giustiniano che avrebbe lavorato per la condanna dei Tre Capitoli.

Convocazione e svolgimento del Concilio

Il Concilio, accettato come il quinto ecumenico, fu convocato dall’imperatore Giustiniano nel 553 e si tenne dal 5 maggio al 2 giugno con 168 vescovi riuniti nella grande sala di Santa Sofia a Costantinopoli. L’obbiettivo era quello di risolvere la controversia dei Tre Capitoli. Tutti i vescovi, tranne 11, provenivano dall’Oriente, poiché papa Vigilio e il suo seguito di vescovi occidentali presenti nella capitale rifiutarono i ripetuti inviti a parteciparvi. Presiedevano i patriarchi Eutichio di Costantinopoli, Apollinare di Alessandria, Domno di Antiochia, e tre vescovi che rappresentavano il neo nominato Eustachio di Gerusalemme; in accordo con la decisione di Giustiniano di dare all’assemblea un’apparenza di completa libertà, non furono nominati i consueti commissari imperiali per governare il dibattito.

L’assemblea conciliare si aprì con l’allocuzione dell’imperatore letta dal notaio Stefano, in cui Giustiniano giustificò la sua regolamentazione degli affari religiosi dell’Impero, indicando come precedente l’attività dei suoi predecessori nella convocazione dei concili generali. Descrivendo il nestorianesimo come il pericolo principale, ricordando ai vescovi il parere scritto sui Tre Capitoli che aveva ricevuto da loro un anno prima e deplorando l’assenza di papa Vigilio, Giustiniano diresse l’attenzione dell’assemblea sugli scritti empi di Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Cirro e la lettera “falsamente attribuita” a Iba di Edessa.

Nelle prime due sessioni (5 e 8 maggio) i vescovi si occuparono dei tentativi di persuadere Vigilio e il suo entourage a unirsi a loro nel Concilio; e nella terza (9 maggio), fecero una professione di fede basata sul messaggio inaugurale di Giustiniano, a cui aggiunsero un anatema contro chiunque si separasse dalla Chiesa, avendo evidentemente in mente Vigilio. La quarta sessione (lunedì 12 maggio) considerò 70 passaggi degli scritti di Teodoro di Mopsuestia e li condannò come insegnamento nestoriano, mentre la quinta sessione (17 maggio), dopo aver considerato le relazioni tra Cirillo di Alessandria e Teodoro, decise che, sebbene fosse deceduto, la persona e le opere di Teodoro dovessero essere anatemizzate. Si stabilì poi che anche gli scritti di Teodoreto di Cirro contro Cirillo erano eretici e venne espresso stupore per la sottigliezza del Concilio di Calcedonia, che aveva scagionato Teodoreto, ma solo dopo il suo esplicito ripudio di Nestorio. La sesta sessione (19 maggio) trattò a lungo la Lettera a Mari e la reputazione di Iba di Edessa, decidendo che egli non era l’autore del documento in oggetto e che quindi la sua assoluzione e riabilitazione a Calcedonia erano giustificate.

Vigilio, nel frattempo, aveva esaminato le stesse questioni nel suo Constitutum I (firmato il 14 maggio 553), composto con l’aiuto del diacono e futuro papa Pelagio I. Il 24 maggio tentò di inviarne una copia ufficiale all’imperatore, ma il documento fu respinto con l’osservazione: “Se il Constitutum concorda con la condanna dei Tre Capitoli, è inutile; se non concorda, Vigilio si contraddice ed è auto-condannato”. Per giustificare questa affermazione, Giustiniano in un messaggio formale alla settima sessione (26 maggio) descrisse le sue relazioni con il papa fin dal suo arrivo a Costantinopoli nel 546 e produsse delle lettere segrete, due firmate dal papa nel 546 e una terza nel 550, in cui Vigilio aveva dato a Giustiniano e sua moglie Teodora la garanzia che avrebbe condannato i Tre Capitoli. Questo messaggio era seguito dall’avviso che l’imperatore aveva ordinato che il nome di Vigilio venisse cancellato dai dittici poiché egli aderiva agli errori dei Tre Capitoli, pur chiarendo non si aveva alcuna volontà di rompere la comunione con Roma: egli ripudiava l’occupante, non la sede – non sedem sed sedentem – utilizzando una distinzione originatasi con papa Lene I. I vescovi appoggiarono l’azione dell’imperatore e condannarono il papa finché non si fosse pentito.

I decreti conciliari

Nell’ottava sessione (2 giugno) una dichiarazione dottrinale e 14 anatemi preparati sotto Teodoro Ascida furono accettati come conclusione del Concilio. La dichiarazione fornisce un lungo riassunto delle azioni del Concilio e una professione di fede nell’Incarnazione. Accenna al tentativo di indurre Vigilio a partecipare, ma non dice nulla della sua condanna nella settima sessione; infine insiste sull’autorità del Concilio di Calcedonia e di papa Leone I, mentre fa ripetuti sforzi per giustificare la sua condanna dei Tre Capitoli.

Ricavati quasi alla lettera dall’editto del 551, gli anatemi (da 1 a 10) riprendono in forma negativa la cristologia alessandrina volta a distruggere la dottrina nestoriana che divideva Cristo in due persone e accettano la formula teopaschita “Uno della Trinità patì nella carne”. Gli ultimi quattro anatemi condannano una serie di eretici da Origene e Ario a Eutiche e Nestorio (11); e insieme ai loro insegnamenti eretici, vengono condannati Teodoro di Mopsuestia (12) e Teodoreto di Cirro (13), così come la Lettera a Mari (14). Infine il Concilio decreta la deposizione dei chierici e l’anatemizzazione dei laici che sfidano i suoi decreti.

Giustiniano ritardò la pubblicazione dell’editto conciliare fino al 14 luglio, poi richiese che questo fosse firmato da tutti i metropoliti, i vescovi e i capi monastici. Fu esercitata una notevole pressione su Vigilio, che, separato da Pelagio, il suo principale consigliere, alla fine vacillò, e l’8 dicembre 553 indirizzò una lettera al patriarca Eutichio di Costantinopoli in cui accettava il Concilio e le sue decisioni, dando la colpa della sua precedente ostinazione all’inganno del diavolo (nel far ciò si apellò alle Retractationes di Sant’Agostino come precedente per il suo cambiamento di idea).

Il 23 febbraio 554, Vigilio pubblicò il Constitutum II, riaffermando la sua adesione alla condanna conciliare dei Tre Capitoli. Accettò l’affermazione che Iba non era l’autore della Lettera a Mari, che Teodoro era stato condannato virtualmente da papa Damaso, e che Teodoreto era stato riabilitato a Calcedonia solo dopo aver ripudiato il suo precedente insegnamento nestoriano. Non disse nulla della dottrina espressa nei primi dieci anatemi, mentre annullava esplicitamente “qualsiasi cosa venisse portata in mio nome in difesa dei Tre Capitoli”.

Conseguenze del Concilio

In Oriente il Concilio fu accettato senza difficoltà ovunque tranne che in Egitto, dove un gruppo di monaci, chiamati isochristes (uguali a Cristo), perché sostenevano che nella risurrezione tutti gli uomini sarebbero stati uguali a Cristo, rifiutarono di accettare la sua condanna di Origene. In Occidente, e in particolare in Africa, Italia settentrionale, Dalmazia e Gallia, scoppiò invece un’aperta ribellione tra i vescovi. Il diacono Pelagio scrisse un Refutatorium contro Vigilio e un In defensione trium capitulorum, che, insieme all’opera omonima di Facondo di Ermiane, ripudiava la condanna dei Tre Capitoli. Questo provocò la reazione dell’autorità governativa, la quale esiliò Pelagio, Vittore di Tunnuna, Rustico e Liberato di Cartagine, Facondo di Ermiane e Felice, abate del monastero Gillitanum.

Alla morte di Vigilio (7 giugno 555), tuttavia, Giustiniano scelse Pelagio come nuovo vescovo di Roma, e con l’aiuto del generale bizantino Narsete lo fece insediare, nonostante l’opposizione locale. La domenica di Pasqua (16 aprile 556), Pelagio si discolpò con un giuramento, fu consacrato e inviò una lettera a tutto il popolo cristiano, in cui dichiarava la sua adesione alla dottrina dei quattro concili ecumenici e alla fede di Calcedonia, ma non diceva nulla di Vigilio, né del Concilio del 553. Con l’aiuto del potere civile costrinse i vescovi della Toscana e della Sicilia a entrare in comunione con lui; ma non ebbe successo nelle province di Milano e Aquileia, i cui metropoliti si staccarono completamente dalla comunione con Roma.

Nonostante la protesta di Pelagio che “non è mai stato permesso che un sinodo particolare giudichi un concilio generale” e il suo appello sia al generale Narsete che a Giustiniano, i milanesi rimasero in scisma fino al 572; mentre ad Aquileia dove il metropolita prese il titolo di patriarca (570), nonostante gli sforzi dei papi Pelagio II e Gregorio I (590-604) lo scisma continuò fino al pontificato di Sergio I (687-701), quando dopo un sinodo a Pavia i legati di Aquileia accettarono il concilio di Costantinopoli II come universale e il metropolita fece la sua sottomissione a Roma.

Da un punto di vista storico il Concilio presenta diverse difficoltà. Gli Atti sono conservati in latino (J. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, 9.163-658) in due revisioni, la più breve delle quali fu probabilmente preparata per Vigilio da Giustiniano e usata da Pelagio, poiché non fa menzione della condanna di Vigilio da parte di Giustiniano e del Concilio nella settima sessione. Fu questa versione che fu impiegata dai teologi nella loro valutazione del Concilio, fino a quando la versione più lunga fu scoperta e pubblicata da É. Baluze nel 1683. Al Terzo Concilio di Costantinopoli le lettere segrete di Vigilio a Giustiniano e Teodora furono contestate e dichiarate false, ma le prove fornite da Facondo di Ermiane (Adv. Mocianum) e Giustiniano (Mansi 9:366) testimoniano la loro autenticità. Anche le prove contemporanee (Pelagio, In def. trium cap.) testimoniano l’autenticità della lettera di Vigilio a Eutichio dell’8 dicembre 553 e del Constitutum II .

Da un punto di vista teologico, le decisioni del Concilio annichilirono qualsiasi tendenza nestoriana poteva essere rimasta nel pensiero calcedoniano. Ma, come Giustiniano sembra aver riconosciuto alla fine del suo regno, il pericolo maggiore risiedeva nel monofisismo. Il Costantinopolitano II stabilì il fatto che le due nature umana e divina sono inviolabilmente unite nella persona di Cristo, ma non fece adeguatamente i conti con le qualità della natura umana. Così aprì la strada alle dispute sulle due volontà e le due energie in Cristo che sarebbero state oggetto dei due successivi concili ecumenici e che sono tornate come problemi oggi riguardo all’auto-comprensione di Gesù in relazione agli studi sul Gesù storico.

Adriano Virgili

Alcuni riferimenti bibliografici:

Giuseppe Alberigo (a cura di), Decisioni dei concili ecumenici, Torino, UTET, 1978

Pierre-Thomas Camelot, Paul Christophe, Francis Frost, I concili ecumenici, Brescia, Queriniana, 2001

Giancarlo Rinaldi, Cristianesimi nell’antichità, Chieti, GBU, 2008

Klaus Schatz, Storia dei Concili. La Chiesa nei suoi punti focali, Bologna, EDB, 2012

Emanuela Prinzivalli (a cura di), Storia del cristianesimo. L’età antica (secoli I-VII), Roma, Carocci, 2015

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